Il rombo del temporale sovrastava il rumore del traffico. La trama buia del cielo, lacerata da numerosi fulmini, lasciava cadere sulla città, cupa e grigia, gigantesche cateratte d’acqua. Bob, dall’interno della sua automobile, osservava il labirinto di strade e di vie delimitate dai muri grigi degli edifici sui quali torreggiavano camini e antenne televisive. I primi colpi di proiettile partirono da un furgone nero e trapassarono la carrozzeria della sua Ford all’altezza del cruscotto: schegge di vetro gli rimbalzarono contro il volto e gocce di sangue gli macchiarono il colletto della camicia.
Il panico invase la mente di Bob. Pensò che se non trovava al più presto un Pronto Soccorso rischiava di morire dissanguato. Un’altra ondata di proiettili, sparati da una Jeep rossa, gli mandò in frantumi il lunotto posteriore. Cercò di sottrarsi all’inferno di fuoco guidando l’automobile a ridosso del muro nero di una fabbrica abbandonata, sul marciapiede sconnesso dal quale le ruote sollevavano spruzzi di acqua sudicia. Un ringhiante Doberman, apparso improvvisamente sull’asfalto, gli bloccò il passaggio. Bob ruotò il volante in tempo per evitare il feroce animale che, come uno spettro, svanì allo spegnersi dei fanali, distrutti da un’altra grandinata di proiettili provenienti da un grosso Tir. Bob riuscì a fuggire e arrestò l’auto all’interno di un buio vicolo di periferia. Gli passarono accanto, senza vederlo, sia la Jeep sia il Tir, una dietro l’altro. Lui riaccese il motore e svoltò a sinistra. C’erano ancora duecento metri prima che la strada curvasse verso l’interno in direzione della tangenziale. Il furgone nero lo speronò sulla fiancata sinistra prima che lui riuscisse a svoltare. Bob frenò per non finire in un canale pieno d’acqua, appena prima che una marea di proiettili mandasse in frantumi i finestrini laterali di destra.
Allora lui imboccò contromano la corsia di sinistra, scartò bruscamente il grosso Tir, superò la Jeep e proseguì la sua folle corsa all’interno di una buia stradina di campagna. L’oscurità e gli alberi dalla folta chioma gli offrirono un rifugio sicuro. Alle sue spalle non si vedeva nessuno: forse li aveva seminati, forse questa volta era veramente in salvo. Non fece a tempo a cullarsi nell’illusione che un albero, dopo una scossa di terremoto, crollò a pochi centimetri dalla sua auto. Il furgone nero sbucò dal nulla. Bob cercò di ripartire pigiando sull’acceleratore ma un grosso serpente gli sgusciò da sotto il sedile e gli immobilizzò le gambe.
Dal furgone scese un uomo dai capelli rossi che aprì la portiera e gli sedette accanto.
– Dai, metti in moto che partiamo!- Ordinò.
Bob, sentiva il sudore infradiciargli tutto il corpo. Strillò: – Il serpente mi impedisce di muovermi.-
Romeo Taddei, insegnante di scuola guida, si grattò i rossi capelli e sbuffò: – Roberto, devi metterti in testa che le tue sono soltanto allucinazioni provocate dalla paura di guidare. Non c’è nessun serpente. Sei tu che, come al solito, ogni volta che ti metti al volante, immagini ogni genere di catastrofe, o ti sembra di vedere persone che ti sparano, o cani e serpenti che ti aggrediscono. Queste sono solo crisi di panico che, se vuoi ottenere la patente, devi essere in grado di superare. –
Poi Romeo aggiunse: – Perché non prendi Lac caninum, il rimedio adatto per curare questo particolare tipo di allucinazioni?-