Daniel aprì gli occhi e guardò la radiosveglia. Erano le 23,55. Scese dal letto e, al buio, cercò le ciabatte. Urla di fame gli sconvolgevano la mente. Lo stomaco iniziò a pulsare in modo doloroso, gli intestini si contrassero, la saliva traboccò con violenza dalla sua bocca. Scese in cantina, sconvolto. Divorò due prosciutti e un chilo di formaggio, poi svuotò le decine di vasetti di sottaceti, di funghi e di cipolline che trovò nel frigorifero. Non gli bastò. Mangiò la torta destinata al compleanno del figlio. Ma la fame aumentava. Era il preludio alla trasformazione.
In lontananza una campana batté i rintocchi della mezzanotte. Daniel spalancò la finestra lottando contro il terrore che gli paralizzava i muscoli. Il bagliore della luna piena lo colpì con violenza, facendolo arretrare.
– Perché questa maledizione atroce è toccata a me?- Gridò.
La bestia che giaceva assopita dentro di lui, come ad ogni plenilunio, iniziò a risvegliarsi. Daniel si strappò i vestiti da dosso. Lunghi peli ispidi gli spuntarono sulla schiena. I tratti umani del volto si deformarono e assunsero i connotati dell’orrendo animale. Le orecchie si allungarono. Le guance e il naso si trasformarono in un muso deforme, mentre le dita delle mani e dei piedi si rattrappivano. Il suo corpo sussultò, si espanse, triplicò di volume.
– Perché non posso essere come tutti gli altri?- Grugnì, con voce bassa e alterata, la lingua ormai incapace di articolare suoni umani.
Rabbia e dolore gli invasero i pensieri. Più volte aveva cercato d’impedire quella trasformazione. Più volte aveva pensato di farla finita. Più volte aveva caricato la sua pistola con l’unica cosa che potesse ucciderlo: una pallottola d’argento sparata in pieno cuore. Invano. Ogni volta prevaleva in lui la speranza di trovare una cura a quella terribile maledizione.
Gli partì qualcosa lungo il cranio, un formicolio che migrò dalla base del collo fino alle ultime vertebre della schiena. Ecco, infine, l’ultima metamorfosi. Dal coccige fuoriuscì un ricciolo di coda. Si guardò allo specchio. Un grasso maialino. Nelle notti di luna piena lui diventava un grasso maialino!
Uscì di casa, con il muso alzato, annusando nell’aria l’odore delle ghiande. Rabbrividì dal disgusto. Perché gli era toccata in sorte quella terribile maledizione? Perché, nelle notti di luna piena, non poteva essere un lupo mannaro, assetato di sangue, come tutti gli altri? Perché, anziché carne, doveva grufolare tra i viali della città a caccia di ghiande?
Meno male che, prima del mutamento, era riuscito ad ingerire alcuni granuli di Antimonium crudum. Almeno così, dopo tutto il cibo divorato in cantina e le ghiande che avrebbe mangiato sotto le querce, non si sarebbe dovuto lamentare, il giorno dopo, del solito peso allo stomaco, dell’abituale e fastidiosa emicrania che, insieme, gli conferivano il consueto pessimo umore.