Innamorata ingenua che trasudi lacrime
dopo avere assaporato le labbra pietrificate dell’amore.
Il ventre vuoto del pensiero abbandona la speranza
e con la polvere dell’indifferenza
crei l’infinito nulla
i cui organi seminano le orme stanche del tuo futuro.
Madre delusa che ai margini di un muto dolore
respiri l’immateriale fumo
di un sogno sconvolto dall’aborto.
Il cibo sottoforma di gelido metallo
penetra la tua bocca,
come una corrente nera scende nello stomaco
fino a renderti greve l’intestino.
L’allegria è un latte indigesto che non tolleri.
Pelle di casalinga acre,
offesa da eruzioni che,
come nuvole ispide,
sfregiano il cielo del tuo volto.
Lenta solitudine,
volo di un vecchio corvo che si abbassa
e punge la tua testa con becco deforme.
Umile lavandaia,
nelle tue varici stagna il sangue cupo della rassegnazione.
Un veleno sottile ti invade il cuore,
corrode la nudità della tua anima.
Il tuo utero è lo stelo di un fiore che vibra tra le note di un desiderio infranto.
Ma dall’odore del giorno morente
ecco emergere angeli dai riflessi argentati,
fulmini che esplodono tra le nervature di un firmamento sconvolto
e ti trascinano al galoppo sulla criniera del temporale.
La tua triste maschera di cera,
dilaniata da unghie incandescenti,
è una fiamma che brucia.
Sale un urlo di gioia nella ruota dell’estasi,
mentre una danza vibrante scuote spiriti volanti
che attraversano la pianura dell’entusiasmo.
La felicità accarezza il tuo animo e ogni fremito si propaga lungo argini di serenità.
Il rumore del tramonto è breve.
La sera ritorna e il buio divora le stelle dell’illusione.
La tua intera vita si rovescia in un penoso spasmo.
Si smarrisce l’angelo dell’esultanza,
ritorna il cuore denso dell’ombra.
Donna senza mestruo,
l’età che avanza e ti sommerge
è un’onda ostile,
nell’abisso una musica d’inchiostro ti attende.
È una marea nera. Una schiuma senza ritorno.