Settant’anni o poco meno. Forse qualcuno in più. Troppi, comunque, da ricordare. Pedalava adagio, Frumuchan lo zingaro, lungo la ripida salita. Il suo corpo, magro e curvo, era un puntino sperduto nell’immensità della montagna.
I rintocchi di una campana lontana penetrarono il profondo silenzio.
Frumuchan, colpito da un’improvvisa vertigine, si guardò intorno. – Perché sono qua?- Si domandò senza trovare una risposta. Si fermò e il suo sguardo venne sommerso dalla marea dei ricordi.
Tra le tante immagini, più o meno sfumate ma tutte pungenti come spilli, emerse quella del padre. – No, figlio mio – Gli disse un giorno, guardandolo con i suoi occhi duri e neri, mentre i lineamenti del volto divenivano ancora più marcati . – Chi, come te, ha il terrore dei coltelli non può fare questo mestiere, temerario e rischioso, il lavoro in cui si sono distinti tanti componenti della nostra famiglia. –
Frumuchan, nervosamente, iniziò a grattarsi la pelle quando il ricordo riportò gli scherni rivolti a lui dai bambini del campo nomadi: – Sei un vigliacco! Vattene da qua, codardo! –
Fu colto da un forte torpore. In quel momento il sole era un avvoltoio luminoso che volteggiava alto nel cielo. Raggi arroventati colpivano l’asfalto e rimbalzano obliqui contro il suo volto secco e rugoso. Gocce di sudore gli rigavano la fronte, scendevano lungo le guance scavate, diagonali cadevano sulle labbra screpolate. – Non sono un vigliacco: io farò lo stesso lavoro dei nostri avi. Lo eseguirò meglio di te!- Osò dire, prima di andarsene, a suo padre, guardandolo diritto negli occhi.
Fu più facile dirlo che farlo. I timori erano tanti. Lui ci provò. Decapitò le sue paure raggiungendo i luoghi più lontani e impervi della regione, quelli dove nessuno voleva andare. Sfidò il freddo. Superò i morsi della fame, nutrendosi di tutto ciò che trovava e, a volte, persino di terra. Dormì, solo, sotto una coperta di stelle. Passarono tanti anni e il casco di capelli neri, che gli scivolava sulle spalle, si tramutò in rade ciocche bianche.
Lui divenne bravo. Il più abile di tutti. Però non riuscì mai a liberarsi dal terrore provocato dai freddi scintillii delle lame d’acciaio, dalla vista del sangue e da tutta quella atmosfera di sadismo che scoppiava al suo arrivo.
Frumuchan riprese a pedalare. La strada, dopo un paio di curve, divenne larga e costeggiata da alberi. Le case del paese apparvero in un luccichio di vetri e di tetti. Lui socchiuse gli occhi. Tremò al pensiero che, dietro ogni finestra, ci fosse qualcuno ad attenderlo. Gente armata di coltelli, di roncole e di forbici, impaziente di gettarsi contro di lui. Frumuchan, ancora una volta, cercò nell’orgoglio lo stimolo a proseguire.
Giunto al centro della piazza, all’ombra della grande statua, si fermò e gridò: – Sono arrivato. E’ arrivato l’arrotino!- Sicuramente Frumuchan non avrebbe avuto tutti questi problemi se si fosse curato con il rimedio Alumina, vi pare?