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9 Febbraio, 2025

Omeopatia: sensazioni come se…

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Spesso mi chiedono un testo che parli di Omeopatia in modo chiaro e semplice,  o la Materia Medica che mi piace di più…
Ce ne sono diversi  ma penso che, nella libreria di chi vuole capire come funzioni l’Omeopatia, non possa … anzi, non debba mancare un libro, forse meno conosciuto, che si chiama: “Sensazioni come se…“.

Per me questo, soprattutto al giorno d’oggi, è la pietra miliare per la comprensione dell’Omeopatia. I vari sintomi vengono descritti, nelle loro caratteristiche,  in modo metaforico: come se avessi del fuoco nello stomaco…come se avessi una spina in gola… come se avessi un chiodo sopra l’occhio.

Perché è una pietra miliare per la comprensione dell’Omeopatia e perché proprio oggi?

Perché oggi i pazienti non sono in grado di descrivere i loro sintomi secondo ciò che “sentono”. Non c’è percezione del corpo. Il paziente si identifica con la malattia ed ha i sintomi della malattia così come glieli han descritti o, peggio, per come li ha letti su internet.

La difficoltà maggiore che incontro oggi è sapere dal paziente come è un determinato sintomo, di descrivermelo per poterlo capire meglio. Perché per un omeopata (in realtà dovrebbe essere così per ogni medico) non è importante sapere che quel paziente “ha dolore al ginocchio perché ha l’artrosi” ma di sapere quali siano i sintomi, le sensazioni, quando compare, quando scompare, come si sente quando compare il dolore… ma poi, il dolore com’è?

Nella peggiore delle ipotesi la risposta è: dottoressa, il dolore dell’artrosi, fa male e non posso camminare.

Nella migliore è: che intende?

Intendo che voglio sapere come ti fa male il ginocchio e voglio che tu, paziente, me lo descriva. Che tu utilizzi un linguaggio non strettamente logico, perché il sintomo non è logico e non è asettico. Ogni sintomo ha delle caratteristiche proprie, specifiche per quella persona in quel momento, che dicono tanto del paziente ma, soprattutto,  che evocano delle risposte emotive nel paziente.
Risposte che collegano con la parte più profonda del paziente, quella parte che non va, che il paziente non vuole o non riesce a vedere.  Come detto più volte, il sintomo ha un valore simbolico molto forte, e la sua descrizione dice molto del paziente. Il modo in cui il paziente lo descrive, le parole che usa, il tono.

I paragoni (le metafore) che il paziente riferisce per descrivere quel sintomo al medico dicono molto sul paziente, sul suo adattamento, sulla sua costituzione…

Ma oggi,  con l’identificazione con la malattia e con questa dannata generalizzazione per cui i sintomi della malattia sono sempre quelli per tutti, la capacità di descrizione è quasi azzerata. Se chiedi che tipo di dolore abbia, ti mettono davanti lastre, esami del sangue, visite di ogni tipo e/o ti dicono cosa lo faccia passare.

Ma a me quello non serve, non mi dice nulla della persona che ho davanti.
Io voglio sapere se quel dolore è bruciante, come se ci fosse del fuoco dentro al ginocchio che aumenta ogni volta che prova a muoverlo, come se, col movimento, si mettesse benzina su quel fuoco.
Oppure se gli sembra di avere tanti chiodi, che pungono e trafiggono per cui preferisce tenere il ginocchio fermo in modo che quei chiodi non entrino nell’associazione. O se è come se avesse qualcosa che stringe forte, come un tutore di ferro troppo stretto che glielo comprime ed immobilizza.

Insomma, sapere “la sensazione come se…”.

Quando una persona sente ma soprattutto descrive il sintomo in questo modo, significa che è in contatto col proprio corpo, che sente le variazioni e, quindi, è in grado di descriverle e di comunicarle. Ma, soprattutto, che è in grado di comunicare e di entrare quindi in un relazione terapeutica col medico.

Mettere sulla scrivania le lastre non è entrare in relazione così come dire cosa faccia passare il dolore. Quel paziente non è in contatto con sé stesso e quindi non può entrare in relazione con nessuno, meno che mai col medico.

Descrivere il sintomo con la “sensazione come se ” usando quindi un linguaggio non logico ma metaforico significa mettere in comune non solo il sintomo ma la persona in toto, compreso il suo mondo emotivo.

Per questo consiglio a tutto, medici, pazienti ma anche a persone comuni (non malate) di leggere questo libro. Ed iniziare a ritrovare un linguaggio ed una modalità di comunicazione che non sia solo fredda e razionale.  Perché la malattia è sempre la conseguenza di un problema di adattamento non funzionale e, quindi, di comunicazione e di relazione. E non può essere spiegata con un linguaggio logico.

 

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