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30 Gennaio, 2024

Benoît Mandelbrot e le sinuosità della costa della Bretagna

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Benoît Mandelbrot (1924-2010) è stato un matematico nato in Polonia, approdato giovane a Parigi, che ha spesso evitato una carriera accademica che lo rendesse poco libero nella ricerca. Ha per anni lavorato per l’IBM, ed  è poi stato trionfalmente riaccolto dal mondo accademico grazie alla sua idea di frattale.

La geometria frattale della natura

The fractal Geometry of Nature, pubblicato nel 1982, è il suo più importante libro, conclusione di una ricerca ispirata da una concezione della matematica antiplatonica ed antiformalista, semmai galileiana nel senso che la matematica doveva essere per lui non una sublime astrazione teorica ideale, ma tenere dietro al modo in cui noi realmente vediamo e percepiamo la realtà. Una geometria, perciò, che non poteva essere quella lineare e perfetta di Euclide, ma che desse ragione di come la realtà ci si presenta discontinua, complessa e frastagliata.

Ci sono domini – sostiene Mandelbrot – in cui “il modello omogeneo perfettamente continuo perde ogni efficacia”. La geometria della natura è caotica. E tuttavia: “tra il dominio del caos incontrollato e  l’ordine eccessivo di Euclide, si estende ormai una nuova zona  di ordine frattale.”

Mandelbrot ha saputo dimostrare che quegli oggetti incongrui che la matematica tra fine Ottocento ed inizio Novecento aveva riconosciuto come galleria dei Mostri (ed innanzitutto gli insiemi di Cantor e la curva di Peano), erano in realtà forieri di importanti scoperte ed opportunità per la matematica di descrivere il turbine di ciò che è reale.
La dimensione fisica effettiva di molti oggetti naturali non può essere univocamente ricondotta alla dimensione 0 di un punto ovvero alla dimensione 1 delle linee, o a quella 2 delle superfici su un piano o a quella 3 di un corpo nello spazio, ma a dimensioni intermedie tra queste, appunto frattali.

Le sinuosità della costa della Bretagna, secondo un esempio che fa Mandelbrot, frastagliano all’infinito la distanza lineare che ci può essere tra i due estremi di una curva. In maniera apparentemente paradossale: “più vicino ci si tiene alla costa, più lunga sarà, inevitabilmente, la distanza percorsa.” La lunghezza delle coste naturali è in realtà infinita.

Ma l’altra cosa interessante è che, soggiacente a questa complicazione e disordine, troviamo una struttura ordinata e ricorrente, una ricorsività di somiglianze, una autosimilarità. “Il  fatto è che se le coste sono molto irregolari, i gradi di irregolarità che corrispondono alle diverse scale sono suppergiù uguali.”

In ogni dettaglio, all’infinito, si ritrova la struttura del tutto. “Si può vedere questo meccanismo come una specie di cascata, o meglio come un fuoco d’artificio a stadi successivi, in cui  ogni stadio genera dettagli più piccoli dello stadio che lo ha  preceduto. Nel caso in cui ogni pezzetto di costa sia così, statisticamente parlando, omotetico al tutto – fatti salvi alcuni  particolari di cui scegliamo di non occuparci -, si dirà che la  costa possiede un’omotetia interna.” Un’omotetia è quella similitudine in cui una trasformazione geometrica conserva l’ampiezza degli angoli. C’è una similitudine tra il tutto e le sue parti, perfino quelle infinitesimali.

Una volta trovata la regolarità di una struttura simile, si scoprono numerosi campi di applicazione e per esempio l’imaging medico. Lo scambio che avviene nel polmone tra aria e sangue è, secondo Mandelbrot, un oggetto frattale. Così come il sistema della vena porta può essere raffigurato come un albero frattale, con il vantaggio di poter meglio individuare quale sia un ramo malato da eliminare.

La formula della bellezza

Nel 2012 è uscita postuma una briosa autobiografia di Mandelbrot, The Fractalist: Memoir of a Scientific Maverick, tradotta in italiano (2014) come La formula della bellezza. La mia vita da vagabondo nella scienza.

Il sogno cui Mandelbrot racconta di aver dedicato la sua vita di ricerca è misurare la rugosità. Misurare le forme che sfuggono alla geometria euclidea, le forme irregolari, frammentate, complesse. Questa ricerca è stata oltremodo ricompensata dall’essersi potuta integrare in una teoria della bellezza.
“Che forma ha una nuvola, una fiamma o una saldatura? Come si distribuiscono le galassie nell’universo? Come si può descrivere – per poterla regolare – la volatilità dei prezzi sul mercato finanziario?” La ricerca di Mandelbrot è nata dal voler rispondere a queste naturali domande. “C’è qualche altro numero in grado di misurare la «rugosità complessiva» di un pezzo di ferro arrugginito, o di un frammento di pietra, di metallo o di vetro? Oppure la complessità di un brano musicale o di un’opera d’arte astratta?” Anche il disordine e la turbolenza apparenti nascondono in realtà un mondo di bellezza e di eleganti forme. Il rugoso non è informe.

Mandelbrot racconta di come lo studio (da parte di un matematico, Zipf) della irregolare funzione matematica della distribuzione della frequenza delle parole (in un testo scritto o in un discorso), una funzione non continua ma con misteriose irregolarità, fu l’occasione della sua prima svolta kepleriana. Fu Keplero che comprese che rivelazione fosse per la conoscenza accettare la natura ellittica e non circolare delle orbite dei pianeti. Una nuova sfida partiva per Mandelbrot dalle sorprese dell’applicazione della termodinamica statistica alla teoria dell’informazione. E la cibernetica diventava per Mandelbrot così anche la chiave d’accesso, fondamentale per l’elaborazione della sua geometria frattale, al mondo dei computer.

Mandelbrot si intrigò anche dell’andamento non lineare dei prezzi del mercato finanziario, dove bisogna sempre pensare possibile l’imprevisto, il cigno nero. Anche i diagrammi dei prezzi potevano essere raffigurati come curve frattali auto-affini, che “non pretendono di predire con certezza il futuro”, ma “producono un quadro dei rischi di mercato più realistico di quanto ottenuto tramite la sola osservazione”.

I tempi erano maturi perché la geometria frattale sapesse cogliere dietro quelle irregolarità e turbolenze, l’iterazione di una similitudine ripetuta all’infinito. “Se ingrandite un frammento del bordo di un insieme di Mandelbrot, lo spettacolo diventa sempre più bello, strano e barocco, complicandosi nell’infinità di modi di cui le immagini incluse nel volume cercano di dare un’idea”.

La formula straordinariamente semplice dell’insieme di Mandelbrot è la matrice di immagini estremamente complesse.

Prendi la costante c; situa la z iniziale all’origine del piano; al posto di z metti «z volte z»; aggiungi c; ricomincia.

In breve tempo Mandelbrot divenne noto come il padre della geometria frattale. Il suo principio è che la rugosità reale è spesso frattale e misurabile. “L’infinito mare della complessità include due isole di semplicità: una è la semplicità euclidea; l’altra la semplicità relativa in cui la rugosità c’è, ma è la stessa in tutte le scale.”

I colori dell’infinito

Tra gli sviluppi della teoria dei frattali, c’è quella che concerne la sua misteriosa bellezza. I colori dell’infinito è il titolo di un film dedicato a questo aspetto; di arte della ruvidezza parlò lo stesso Mandelbrot. Che definiva le forme frattali: “granulose, gorgoniche, intramezzate, brufolose, butterate, ramificate, simili ad alghe, strane, ingarbugliate, tortuose, sinuose, increspate, rugose”. C’è una bellezza in questa proliferazione di dettagli via via che la scala di grandezza si rimpicciolisce all’infinito. È il frastagliarsi dei confini e dei limiti delle linee divisorie, che l’arte ha proposto, dal barocco alla teoria dell’ornamento in architettura.

Nella morfologia della geometria frattale ciò che è semplice ed elementare rivela al suo interno un mondo magico. E l’immaginazione rigorosa di Mandelbrot si è irradiata in tanti diversi campi della conoscenza e dell’arte.
Un genio eclettico ed un po’ folle, non senza la giusta autoironia.

In una poesia a lui dedicata, un umorista statunitense, Demetri Martin, ha voluto omaggiarlo con questo palindromo: Dammit I’m mad.