Parleremo qui di Niels Bohr, fisico danese nato nel 1885 e morto nel 1962, per l’argomento filosofico del suo contributo più noto alla meccanica quantistica, la teoria della complementarità, che poté poi essere inclusa nel principio di indeterminazione di Heisenberg, e che risultò invece a lungo ostica, pur nella assidua affettuosa reciproca frequentazione tra i due, ad Einstein, che volle sempre in qualche modo cercare di preservare il paradigma realista dell’epistemologia della fisica classica. Abraham Pais, collega di entrambi, ha scritto due preziose biografie in cui rivive la tensione ed il fascino di questo confronto tra Bohr ed Einstein.
Nato in riferimento alla doppia natura ondulatoria e corpuscolare della luce, il principio di complementarità sembra poter assurgere in alcune riflessioni di Bohr a nuovo principio della conoscenza in generale.
Bohr fu, tra coloro che gettarono il decisivo ponte tra la teoria dei quanti e la meccanica quantistica, quello che più nitidamente e consapevolmente individuò e riconobbe la natura probabilistica della nuova fisica ed il fatto che essa inevitabilmente inficiasse il paradigma causale della fisica classica. Men che prevedere uno stato futuro di un sistema fisico, non se ne può conoscere con certezza il suo stato attuale.
I concetti di onda e di particella sono entrambi necessari a definire lo stato di un elettrone, ma poiché d’altronde questi concetti si escludono a vicenda, dobbiamo accettare come sua intrinseca proprietà che la struttura di un atomo non sia completamente conoscibile e descrivibile.
La complementarietà: un nuovo tipo di relatività
Per la fisica classica, il comportamento corpuscolare e quello ondulatorio si escludono a vicenda. Per il fisico quantistico, che un oggetto si comporti come particella o come onda dipende dal dispositivo sperimentale con il quale lo si osserva; ed i due tipi di comportamento sono entrambi necessari alla comprensione dell’oggetto.
Scrive Bohr: “Ci ritroviamo esattamente sulla via percorsa da Einstein: dobbiamo progressivamente adattare i nostri modi di percezione, partendo dalle sensazioni e andando verso un graduale approfondimento delle leggi naturali”. Egli individua in effetti nella relatività e nella complementarità le grandi lezioni epistemologiche del XX secolo. La nuova concezione di Einstein dello spazio, del tempo e della gravitazione, ed il nuovo modello dell’atomo di Bohr sono i maggiori risultati di queste lezioni epistemologiche.
Bohr filosofo del XX secolo
Non può essere scopo di questo articolo entrare nei dettagli di come Bohr abbia contributo in modo decisivo alla nascita di una nuova fisica. L’intenzione è invece di indicare in Bohr un importante filosofo del secolo scorso. La sua ricerca dei fondamenti filosofici della teoria dei quanti lo rende filosofo sicuramente più originale e radicale dei filosofi accademici che pure lo schernivano quando egli invece cercava un costruttivo rapporto tra scienza e filosofia.
La maniera di pensare complementare dovette sembrare a Bohr come rivoluzionaria e liberatoria in molti campi della conoscenza. In psicologia, per pensare a noi stessi al tempo stesso come attori e spettatori della nostra vita, in quella consapevolezza della reciprocità dei due aspetti che è propria della meditazione. Anche la questione del libero arbitrio Bohr suggerì che potesse essere reinterpretata alla luce della complementarità: ciò che io voglio e ciò che io devo sono due aspetti contraddittori ma complementari, così come ciò che sono libero di scegliere e ciò che sono determinato a fare.
Complementari sono pure l’emozione e la ragione. Se – scrive Bohr – “esiste un antico detto, secondo il quale se cerchiamo di analizzare le nostre emozioni non le proviamo più”, è perché pensiero e sentimento sono tra loro in una relazione complementare.
Complementari sono anche la fisica e la biologia: l’inspiegabilità della stabilità atomica e quella della vita possono essere considerate due facce della stessa medaglia. “l ragionamenti di tipo meccanico e vitalistico vengono usati in maniera tipicamente complementare”. Ma appunto, non devono essere isolati nella polarità della loro contraddizione quanto invece compresi nella necessità del loro rimando reciproco. Solo così si possono sfidare i problemi epistemologici posti dal tentativo di definire che cosa sia la vita.
Bohr ritrova l’importanza per la conoscenza di quello che Kant aveva già chiamato giudizio teleologico. «Una descrizione delle funzioni interne di un organismo, e della sua reazione agli stimoli esterni, richiede il concetto di scopo, che è estraneo alla fisica e alla chimica”. “I punti di vista detti meccanicistico e finalistico non sono in contraddizione fra loro, ma manifestano una mutua relazione di complementarità”.
In altri suoi interventi l’estensione che Bohr propose del principio di complementarietà diviene ancora più eclettica: ad un congresso internazionale di antropologia espose delle sue riflessioni sulla complementarità tra istinto e ragione, tra natura ed educazione. E se è l’educazione a renderci umani, tuttavia: “la sbalorditiva capacità delle genti cosiddette primitive di orientarsi nelle foreste o nei deserti potrebbe giustificare la conclusione che fatti del genere sono possibili solo quando non si faccia alcun ricorso al pensiero concettuale”. Anche dunque nel contesto antropologico e sociologico principi apparentemente contraddittori devono tuttavia essere compresi nella loro correlazione. Un logico direbbe che due opposti principi si presentano tuttavia nella loro disgiunzione a volte esclusiva altre volte inclusiva. Così come un logico direbbe, dopo Gödel, che sono complementari consistenza e completezza di un sistema logico.
Sicuramente ne scaturisce un punto di vista aperto e pluralista: “Possiamo dire davvero che culture umane diverse sono complementari le une rispetto alle altre”. Ci troverei anzi ancora un’eco kantiana, quella della pace perpetua come utopistico ma necessario obiettivo. “Oggi che i destini di tutti i popoli sono così inseparabilmente connessi una collaborazione svolta nella fiducia reciproca, basata sulla piena valutazione di ogni aspetto della condizione umana, è più necessaria di quanto non lo sia mai stata nella storia dell’umanità”.
Conclusione: il linguaggio
“Da che cosa dipendiamo noi esseri umani? Dipendiamo dalle nostre parole. Siamo sospesi nel linguaggio. Il nostro compito consiste nel comunicare agli altri esperienze e idee. Dobbiamo sforzarci in continuazione di estendere l’ambito delle nostre descrizioni, ma in modo tale che i nostri messaggi non perdano il loro carattere di obiettività e di mancanza di ambiguità.” E tuttavia ogni maggiore chiarezza in un aspetto delle nostre descrizioni può comportare una maggiore ambiguità su un altro piano. Non possiamo che utilizzare il linguaggio per descrivere la realtà, ma sapendo che c’è una realtà che il linguaggio non può descrivere, ovvero una realtà che era altro prima che noi la nominassimo. Senza considerare l’impossibilità stessa di dire cosa sia il linguaggio, se non facendo ricorso all’espediente di riconoscerlo attraverso un metalinguaggio.
Più ancora di cosa sia reale, quel che conta è ciò che sia comunicabile. Potremmo dire che Bohr ha subito percorso il tratto che separa il Tractatus di Wittgenstein dalla sua teoria dei giochi linguistici, la rinuncia cioè ad una concezione positivista del linguaggio a favore di una comprensione degli aspetti complementari che coesistono nel linguaggio inteso come comunicazione. Siamo sospesi nel linguaggio. E non possiamo tirarcene fuori, quanto invece riconoscere di essere intrinsecamente coinvolti in esso, di essere noi ed il linguaggio complementari.
Concludo con una frase tratta da uno scritto minore di Bohr, che il suo biografo Abraham Pais pone in epigrafe all’analisi del suo pensiero filosofico: “Anche se la combinazione più stretta possibile di giustizia e amore ha uno scopo comune in ogni cultura, si deve riconoscere che in qualsiasi situazione che richieda la rigorosa applicazione della giustizia non c’è spazio per il manifestarsi dell’amore, e che, d’altra parte, le esigenze ultime del sentimento d’amore possono trovarsi in conflitto con tutte le idee di giustizia.” Amore e giustizia, complementari.