René Thom e la Teoria delle Catastrofi come matematica delle trasformazioni

27 Febbraio, 2024
Tempo di lettura: 5 minuti

René Thom (1923-2002) è stato un matematico francese, noto in particolare per la teoria delle catastrofi, un tentativo di applicare la matematica ai fenomeni naturali discontinui. Se per catastrofe si intende un cambiamento improvviso in una struttura, la sua ricerca si colloca, analogicamente, allo snodo di differenti discipline: dalla fisica alla meteorologia alla biologia alla linguistica alla sociologia all’economia. In ogni campo il suo impegno è stato quello di una Apologia del logos (titolo di una raccolta di suoi articoli), di una difesa cioè di come si possano razionalmente comprendere fenomeni pur apparentemente irrazionali.

Parabole e catastrofi

Comprendere razionalmente significa fondamentalmente riconoscere delle forme, ed in quelle forme un certo ordine. La catastrofe è allora il limite in cui un ordine cambia e prende un’altra forma. Già solo dinamicamente una figura si riferisce allo sfondo, una forma al contenuto, uno spazio chiuso ad uno aperto. Quella tra ordine e disordine, tra caos e Cosmo è una dicotomia fondamentale della nostra concettualizzazione della realtà.

Si possono riconoscere nella scienza due diversi atteggiamenti. Uno è quello riduzionista, che spiega un effetto dalla sua causa, ovvero che – ipotesi atomistica – divide in elementi indivisibili la struttura stessa che vuole spiegare. E tuttavia dovunque la spiegazione riduzionistica incontra delle discontinuità, deve volgere al secondo atteggiamento, quello che Thom chiama di una spiegazione strutturale. Ciò che può portare agli assiomi di un sistema formale; oppure al tentativo di spiegare dinamicamente quelle regole: cioè alla teoria delle catastrofi.

La ricerca di Thom riguardò subito l’invarianza topologica delle variazioni, un po’ come l’autosimilarità dell’insieme di Mandelbrot. Comunque, un modo di rendere la matematica viva al di là delle sue mere formalizzazioni. “Un mezzo unico per descrivere tutte le deformazioni possibili” di una struttura originaria.

Thom dice di non essere propriamente un matematico, per il fatto “che io amo le cose in movimento, le cose flessibili”. E tuttavia ricorda come la matematica debba salvare la fisica e la scienza dalla possibile deriva positivistica, rischio presente da Newton in poi, dal suo hypotheses non fingo. La matematica è la questione filosofica, che ci obbliga a cercare una spiegazione razionale di ciò che può apparire informe, disordinato, increspato, discontinuo, irreversibile. “La meccanica quantistica pone dei problemi filosofici significativi”.

Così come la biologia, secondo Thom, può e deve smarcarsi dall’approccio esperienziale della medicina clinica, per ragionare su teorie come quelle che lui propone: sistema dinamico, campo morfogenetico, attrattore. È possibile un’analisi concettuale dei processi viventi, anche potenzialmente per fare in modo che la biologia abbia un migliore impatto sul miglioramento della salute.
In particolare va rivisto il dogma della biologia molecolare, a partire dall’idea che il flusso dell’informazione genetica sia unidirezionale, dal DNA alle cellule e non viceversa. “Tutta la biologia molecolare è fondata sull’idea che per ogni processo si possa trovare un agente chimico responsabile”. Ma anche questa è una ingenua mitologia, una abdicazione alla complessità, come sarebbe – Thom fa un esempio – voler combattere ogni tipo di virus con l’interferone.

Scrive Thom: “Io continuo a credere che sia unicamente per mezzo del perfezionamento di quelle che i positivisti denigrano come entità teoriche, che una qualsiasi disciplina possa sperare di fare dei progressi veramente significativi”. “Ciò che limita il vero non è il falso ma l’insignificante”.

Ci sono dei protocolli sperimentali che si autolegittimano senza alcun costrutto. “L’inflazione sperimentale non è meno dannosa dell’inflazione economica: si hanno degli strumenti, li si utilizza massivamente e ne si tira fuori una quantità infinita di dati, dai quali finalmente non si sa tirar fuori nulla”. Lo scopo della scienza deve essere invece di migliorare la nostra comprensione del mondo. Thom fa riferimento ad Heidegger: la scienza come tecnica ha trasformato il mondo, ma la scienza non pensa, bisogna allora interpretare il mondo.

La Teoria delle Catastrofi è in questo senso una teoria, che fornisce un linguaggio per organizzare i dati dell’esperienza anche più imprevedibili. “Io ritengo che tutti i progressi della scienza, almeno quelli decisivi, sono legati sempre a delle migliori possibilità di modellizzazione, ad una più grande capacità di modellizzazione dei fenomeni”. Questa è la filosofia della Teoria delle Catastrofi: “si tratta di una teoria ermeneutica che si sforza, di fronte a qualsiasi dato sperimentale, di costruire il più semplice oggetto matematico che lo possa generare”. Avere per esempio un modello della catastrofe ultravioletta di una scatola nera – esperienza da cui scaturì l’ipotesi della fisica quantistica – e di ogni possibile cambio di colore.

Una morfologia come campo di scatole nere con finestra, nella dinamica che le sottende, ciò fa della Teoria delle Catastrofi una nuova Filosofia della Natura. La quale peraltro può collegarsi anche con la nozione più soggettiva di crisi, che può essere in certi casi un segnale premonitore, un avvertimento in anticipo della catastrofe.
Thom rimette in una maniera interessante il pensiero analogico al centro della ricerca scientifica. “Non si ha comunque alcuna certezza quanto al funzionamento dell’analogia: nel caso sia vera allora si dimostra sterile, nel caso sia audace allora può essere feconda”.

Il linguaggio stesso, il lògos, può essere inteso come l’elaborazione di un bisogno primario. “Credo che l’origine del linguaggio sia proprio questa: un processo che permette di disinnescare il potere seduttivo delle forme esterne attraverso la costruzione di concetti”. È questa origine che può rendere pregnante un concetto.

Prevedere non è spiegare

È stato in tutto il suo percorso di ricerca interesse costante di René Thom quello di mostrare l’esistenza, a fianco di una scienza quantitativa e predittiva, di un approccio qualitativo forse più fine e più per la conoscenza prezioso.
A cominciare dal tornare ad affrontare questioni filosofiche a fondamento della conoscenza, come quella della realtà esterna e se la natura sia fondamentalmente continua o discontinua. “Basilarmente io credo nel carattere continuo dell’universo e dei fenomeni”. “L’essenza della Teoria delle Catastrofi è di ricondurre le discontinuità apparenti alla manifestazione di un’evoluzione lenta sottostante. Il problema allora è di determinare questa evoluzione lenta, che in quanto tale esige l’introduzione di nuove dimensioni, di nuovi parametri”. Una sorta di onda lunga, comprensiva di tutte le sue pieghe, ramificazioni e variazioni.

L’impero digitale del discreto, secondo cui tutto è riducibile ad un certo numero di bits, è solo una semplificazione a vantaggio della nostra percezione, che è basilarmente una percezione di ciò che è discontinuo. Il predatore e la preda hanno bisogno di riconoscersi reciprocamente nei contorni che li delimitano. Il linguaggio ha bisogno di elaborare dei fonemi che siano ben scanditi. La trasformazione continua è più difficilmente percepibile, sebbene siano nella nostra intuizione spazio e tempo due grandezze continue. Il continuo è una sorta di sostrato universale del pensiero, ma nulla si può effettivamente pensare senza fare ricorso a qualcosa che sia discreto. L’opposizione tra continuo e discreto è un’aporia fondamentale.

“Per lo spazio, il sistema funziona su una base essenzialmente continua”. “Noi realizziamo praticamente il continuo attraverso la motricità. Ed abbiamo una misura del continuo tramite la nostra sensibilità innata”. Dalla matematica può giungere dunque anche una differente filosofia. “Io sono un matematico, ed ho perciò l’abitudine di pensare l’infinito”. La discretizzazione dell’universo è più utile alla tecnologia che non alla sua comprensione.

L’infinito è la dimensione anche di una apertura al sacro. “Il sacro si realizza ogni volta che noi siamo in presenza di una forma che ci appare rivestita di un potere infinito, il quale è costituito al tempo stesso di attrazione e repulsione”.

Finalmente l’infinito è il limite del determinismo; d’altronde a noi appariranno più semplici proprio le cose più complesse. “Noi siamo composti di cellule, dobbiamo essere infinitamente più complessi di una cellula isolata. E tuttavia comprendiamo molto più facilmente come un gatto possa muoversi anziché come si sposti una cellula”.

Concludiamo con questa immagine di Renè Thom: sopra l’oceano di ciò che è Insignificante, si trova l’approdo di un continente dove da un lato c’è ciò che è Vero, dall’altro ciò che è Falso. Ciò che separa queste due sponde è un fiume, il fiume del Senso.

0 commenti

NEWSLETTER

Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti.

Share This