Watzlawick e la costruzione della realtà

6 Dicembre, 2022
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Paul Watzlawick (1921-2007) è stato una figura originale nel panorama della psicologia del secolo scorso. Di origini austriache, si è laureato a Venezia in Filosofia con una tesi su Dostoevskij e dopo un training psicoanalitico di indirizzo jungiano ha aderito entusiasticamente alla scuola di Palo Alto di Gregory Bateson. Dice di lui un suo allievo nella prefazione a Guardarsi dentro rende ciechi, una raccolta di suoi scritti: “quest’uomo gentile ha portato un messaggio chiaro e destinato a persistere e cioè l’idea che l’esistenza umana nel mondo abbia sempre e comunque un aspetto relazionale e contestuale”.

Pragmatica della comunicazione umana

Se nelle leggi della natura si è imposto come principio esplicativo ulteriore a materia ed energia quello di informazione, a maggior ragione la psichiatria e la psicologia non possono prescindere dalla dimensione della comunicazione, in quanto scambio di informazioni. Watzlawick cita lo psichiatra Thomas Hora: “Per comprendere se stesso, l’uomo ha bisogno di essere capito dall’altro”.
Il pensiero in sé e per sé non è pensabile, sarebbe quell’intangibile limite già da Kant indicato come noumeno. Il pensiero è sempre pensiero di qualcosa, se non pensiero verso qualcuno.
La pragmatica della comunicazione si colloca tra la cibernetica e la filosofia dell’esistenza. La comunicazione sia pure una relazione di segni, ma dipende dal contesto che le dà senso. “Questo significa che all’estremità clinica dello spettro, un comportamento folle non è necessariamente la manifestazione di una mente malata, ma può essere l’unica possibile reazione a un contesto comunicativo assurdo o ingestibile”.
La ricerca del senso è d’altronde sottratta alla psicoanalitica ricerca nel passato di un trauma che spieghi l’attuale disagio. “Lo spostamento dalla mente dell’individuo al contesto comunicativo rende meno importante la ricerca delle origini di uno specifico comportamento (ad esempio un sintomo) nel passato, rispetto allo studio del suo funzionamento nel qui e ora”. Il sintomo è attualmente una forma di comunicazione.
Il paradosso è un aspetto della comunicazione incline a provocare sintomi. Una frase come sii spontaneo complica e rende indecidibile il messaggio della comunicazione. Richiederebbe un metalivello comunicativo che ne mostri la struttura autocontraddittoria. Una frase che da un punto di vista logico si avvolge in un loop ha bisogno di un’interpretazione. Il doppio legame è stato descritto dalla scuola di Palo Alto come la posizione insostenibile di chi in un contesto comunicativo si trovi invischiato in quel circolo vizioso, tale per cui ogni risposta sarà sbagliata o comunque non potrà essere senz’altro considerata come quella giusta. “La nostra teoria è che il dialogo incomprensibile degli schizofrenici derivi dal loro tentativo di dire qualcosa e contemporaneamente non dire”. Lo schizofrenico è una persona incastrata in un dilemma. Lui mostra l’aspetto patologico di un legame che è peraltro reciproco e relazionale: “questo schema lega tutti i partecipanti, non ci sono cattivi e non ci sono vittime”.
Il paradosso gioca d’altronde anche un ruolo creativo nella comunicazione. “La fantasia, il gioco, lo humour, l’amore, la creatività artistica e l’esperienza religiosa sarebbero impossibili se l’uomo non fosse capace di sperimentare il paradosso”. I koan zen propongono intenzionalmente dei paradossi “per creare una impasse psicologica attraverso cui la mente può ottenere l’illuminazione “. La stessa psicoterapia può utilizzare dei paradossi, secondo un principio che si potrebbe definire omeopatico.
Watzlawick affida ad alcune righe zen la condivisione dello spirito del suo interesse nella comunicazione:

Pensare / di non pensarti più / è pensarti ancora.
Allora lasciami provare / a non pensare / che non ti penserò.

Terapia breve

La possibilità di una terapia breve è la conseguenza di un approccio sistemico. “Il nostro presupposto fondamentale è che, a prescindere dalle origini e dall’eziologia… i problemi che inducono le persone a rivolgersi allo psicoterapeuta persistono solo se vengono mantenuti dal comportamento attuale del paziente e di coloro che interagiscono con lui”. Da qui la presunzione che modificare o eliminare il sintomo, inteso come il comportamento che mantiene il problema, possa costituire la risoluzione del problema.
“La soluzione dei problemi richiede soprattutto una sostituzione degli schemi di comportamento in modo da interromperne il feedback positivo”. Il terapeuta cercherà dunque di promuovere dei cambiamenti vantaggiosi, “concentrandosi sul sintomo presentato e lavorando alla sua eliminazione in modo circoscritto”. Una strategia che se non è proprio riduttiva come quella di una psicologia puramente comportamentale, rappresenta d’altronde deliberatamente un pensare in piccolo. Piuttosto che guardare alla dubbia realtà di problemi presunti fondamentali, si tratta pragmaticamente di sostituire un circolo virtuoso ad un circolo vizioso. Eventuali dinamiche più profonde vengono considerate aleatorie rispetto alla focalizzazione sui sistemi relazionali. Eventuali cause sottostanti non osservabili vengono considerate come solo una distrazione del terapeuta dall’attualità del sintomo.

Istruzioni per rendersi infelici

L’assunto filosofico di Watzlawick, che può definirsi costruttivista, è che noi ci costruiamo la realtà in cui viviamo, piuttosto che adattarci ad una realtà precostituita. Paradossalmente un insuccesso può rafforzare ulteriormente una costruzione, un contesto relazionale anziché mettersi in discussione si nutre dei suoi fallimenti : la medicina contribuisce alla diffusione delle malattie, una famiglia ha bisogno che al suo interno ci sia un bambino problematico, il sistema giudiziario e le carceri creano più criminali. “Un sistema intrappolato in questo dilemma può essere considerato impegnato in un Gioco senza fine.” Le premesse del sistema reiterano azioni ritenute confermative di quelle premesse, ostacolando così il cambiamento. È il modello caratteristico, secondo l’interpretazione epistemologica di Popper, di una società chiusa, autoreferente, che non mette in conto che le sue premesse possano essere falsificabili, modificabili. Bisognerebbe imparare dagli insuccessi, ma a questo scopo potrebbe essere necessario un intervento esterno, se il sistema omeostatico di autoregolazione non funziona e si è generato uno stato patologico. Watzlawick cita il poeta Hölderlin: “Ciò che trasforma lo Stato in un inferno, è il tentativo dell’uomo di farne un paradiso”.
Spesso inconsapevolmente noi ci programmiamo per costruire, piuttosto che la nostra felicità, la nostra infelicità. Ci diamo istruzioni per renderci infelici, ed ogni insuccesso rafforza in noi la giustezza di quelle premesse, anziché metterle in discussione.
Un pizzico di infelicità è d’altronde ciò che rende originale la vita di ciascuno di noi. Come secondo il celebre incipit dell’Anna Karenina di Tolstoj: “Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.
Oggi siamo assediati da edulcorate immagini di felicità. Eppure nulla sarebbe più difficile da sopportare di una serie di giorni felici. “Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità”. Si tratta piuttosto di rendersi felicemente infelici.
Watzlawick sciorina dunque ironicamente un catalogo di schemi di comportamento che ci procurino infelicità, dimostrando quanto noi ad essi ci affezioniamo come l’aspetto che più ci appartiene e più caratterizza la nostra vita, e quanto tuttavia essi possano essere modificabili.
Nella ricerca della felicità ciò che conta è la ricerca, non la sua realizzazione. La felicità non è la meta ma il viaggio. Ed è un gioco serio questa ricerca. Watzlawick cita Alan Watts. “La vita è un gioco la cui prima regola è: essa non è un gioco, è una cosa molto seria”.
Ma la citazione a cui Watzlawick si affida in conclusione è dai Demoni di Dostoevskij, uno dei cui personaggi dice: “Tutto è buono… Tutto. L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante…
“Così disperatamente semplice è la soluzione”.

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