BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VII • Numero 28 • Dicembre 2018
Bio-economia: matrice della nostra comprensione ufficiale della realtà
A seguito dell’argomentazione sull’Enlivenment1, quale nuovo modo di intendere l’interazione tra natura ed economia e, di conseguenza, di intendere la vita, apparsa in BIO 26,2 in questo numero intendiamo esplorare, a un livello più specifico, come la nozione di vita sia stata modificata, ideologicamente, nella narrativa ufficiale che ci fornisce il senso di chi siamo noi, esseri umani, rendendola un processo meccanico vincolato alla metafora dell’efficienza economica.
Per condurre tale indagine, si deve spostare l’attenzione alle interconnessioni e al sostegno reciproco tra le due metafisiche guide della nostra cultura. Queste sono il Neo-darwinismo ortodosso e il Neo-liberismo. Il primo con il suo assioma di ottimizzazione biologica, in cui gli adattamenti funzionali vengono interpretati come intenzionale creazione di biodiversità, il secondo, invece, con il suo concetto dell’intrinseca efficienza economica della natura, “efficienza naturale” che di per sé creerebbe la società di mercato con la sua ricchezza e distribuzione di opportunità.
Per oltre 150 anni, entrambe le ipotesi sono diventate flussi intrecciati di un modello di pensiero che costituisce la matrice fondamentale della nostra comprensione ufficiale della realtà, del nostro mondo e della nostra vita. Le premesse del neo-darwinismo e del neo-liberismo costituiscono la tacita, scontata comprensione di “come funziona il mondo”. All’interno delle loro strutture logiche, le due correnti, cioè la teoria dell’ottimizzazione biologica e quella dell’efficienza economica, sono così reciprocamente rinforzanti e normative che studiosi rispettabili le considerano valide oltre ogni dubbio, come documenta il biologo Andreas Weber nel suo saggio “The Economy of Wastefulness: The Biology of the Commons”.3
Non è un caso che nel neo-liberismo i nuovi significati di “eco-nomia” e di “eco-logia” risultino essere termini quasi identici. Entrambi i concetti si basano sulla metafora delle faccende domestiche e della fornitura di beni e servizi imprescindibili e/o ritenuti necessari ad affrontare la sopravvivenza e la vita quotidiana. Entrambi hanno un modo particolare e correlato di concepire l’organizzazione di questa “offerta di beni e servizi imprescindibili e/o ritenuti necessari a vivere”. I concetti di eco-nomia e di eco-logia, oggi in voga, partono dall’idea che mantenere una casa – o guadagnarsi da vivere – sia un teatro di competizione e contesa il cui oggetto è un’efficienza sempre più ottimale. Nella narrativa neo-darwinista e neo-liberale, la casa4 non è, tuttavia, un luogo in cui agenti senzienti perseguono un orizzonte di senso esistenziale. Il processo di gestione domestica è, stranamente, concepito come completamente privo di soggettività. La logica di questo processo non ha bisogno di tener conto della presenza effettiva di soggetti. In effetti, si potrebbe dire che nemmeno ha bisogno di prendere in considerazione la vita.
La gestione domestica nel neo-liberismo neo-darwiniano risulta priva di soggetto e auto-organizzata, nel senso che le cosiddette “leggi eterne esterne” (quella della selezione e quella della sopravvivenza economica) puniscono o premiano il comportamento di “scatole nere atomistiche” chiamate, nel loro insieme, “Homo economicus”. Per ottenere risultati in questo quadro di pensiero, né l’economia contemporanea né le “eco-scienze” devono considerare l’esperienza reale vissuta. Il modello di pensiero unico dominante esclude la vita nel senso esistenziale ed esperienziale. Si potrebbe, quindi, dire, come sostiene Andreas Weber, nel suo saggio “Enlivenment. Towards a fundamental shift in the concepts of nature, culture and politics”, che la prevalente “megascienza bio-economica”, la profonda metafisica della nostra epoca, è una scienza del meccanismo privo di senso, tranne quel significato trascendente ufficialmente aggiunto dalle religioni.5
Bio-economia: metafisica dell’eco-efficienza
Darwinismo e liberalismo nacquero nell’Inghilterra pre-vittoriana all’incirca nello stesso periodo. Infatti, le loro premesse teoriche si riferiscono, implicitamente ed esplicitamente, alle condizioni e alle pratiche sociali di un paese che subisce gli sconvolgenti turbamenti dell’industrializzazione. A quel tempo esisteva una società rigidamente stratificata senza alcun sistema strutturato di assistenza sociale e cooperazione.
Attraverso la loro vicinanza intellettuale, la teoria evoluzionista darwiniana, nella sua interpretazione politica liberista, e la teoria del libero mercato di Adam Smith divennero una sorta di “economia politica della natura”. Mentre Charles Darwin era impegnato nel trovare una spiegazione per la diversità della natura vivente, l’economista politico Thomas Robert Malthus propose un’idea che divenne un punto cruciale nello sviluppo della teoria evoluzionista neo-liberale e, quindi, per la comprensione dell’evoluzione (in senso neo-liberista), non come un processo adattivo che accade a caso, ma come risultato di un processo di ottimizzazione.
Malthus era ossessionato dall’idea di scarsità come forza trainante del cambiamento sociale. Egli sosteneva che non ci sarebbero mai abbastanza risorse per nutrire popolazioni che si moltiplicano costantemente, per cui una lotta per il dominio, nella quale i più deboli perdono, deve necessariamente aver luogo. Sembra che Charles Darwin abbia adottato questo assioma della teoria socio-economica di Malthus, sulla società industriale vittoriana, e lo abbia applicato alla sua articolata teoria del cambiamento e dello sviluppo naturale. È interessante notare che anche la parte empirico-biologica della teoria di Darwin, quella che si occupa della “selezione”, non era basata su osservazioni di cambiamenti naturali a lungo termine ma sulle esperienze e le pratiche degli allevatori vittoriani.6
La disciplina risultante, una biologia che prende le sue metafore dal darwinismo ortodosso, costituisce una riflessione accurata delle pratiche sociali pre-vittoriane piuttosto che della realtà naturale. Sulla scia di questa acquisizione metaforica, concetti come “lotta per l’esistenza”, “competizione” e “fitness” (che erano giustificazioni centrali dello status quo politico nell’Inghilterra pre-vittoriana) diventarono, tacitamente, il punto principale della comprensione di noi stessi in quanto esseri senzienti e sociali. E lo sono tuttora, specialmente in quelle parti del mondo che ancora assomigliano all’Inghilterra pre-vittoriana. Così, i cambiamenti biologici, tecnologici e sociali, vengono intesi come prodotti della somma di ego individuali che si sforzano nello sfidarsi l’un l’altro. Nella rivalità perenne, le specie idonee (potenti corporazioni) sfruttano le nicchie (mercati) e moltiplicano il loro tasso di sopravvivenza (margini di profitto), mentre le specie più deboli (meno efficienti) si estinguono (in bancarotta). Questa metafisica dell’economia e della natura, tuttavia, ci avverte Andreas Weber è molto più rivelatrice dell’opinione della nostra società su sé stessa di quanto possa essere un resoconto oggettivo del mondo biologico.7
Questo reciproco prestito di metafore tra le discipline non ha solo trasformato la biologia, ma si rispecchia, anche, sull’economia che divenne, sempre più, una scienza naturale “dura”. L’economia ha, deliberatamente, derivato i suoi modelli dalla biologia e dalla fisica, culminando nella formulazione del concetto matematico di Homo economicus. Se si studiano i classici liberali, che oggi sono diffusamente insegnati nelle università, i libri di testo invocano tuttora economisti del XIX secolo che mescolano concetti delle scienze naturali con la teoria economica. William Jevons, economista e logico britannico, arrivò a postulare che l’economia descrivesse le “leggi del cuore”, e Léon Walras, economista francese, arrivò a sostenere che “l’equilibrio economico” seguisse le leggi deterministiche importate dalla fisica.8
L’immagine risultante – l’individuo quale egoista simile a una macchina che cerca sempre di massimizzare la sua utilità – è diventata il modello implicito e onnicomprensivo dei valori e del comportamento umano. La sua ombra è proiettata su un’intera generazione di approcci psicologici e teorici dal gioco all’economia. Da parte sua, la biologia ortodossa si è ispirata anche ai modelli economici. L’idea del “gene egoista”, per esempio, non è molto più della metafora dell’homo economicus estesa alla biochimica.9
Non dovrebbe sorprendere minimamente che biologia ed economia siano diventate due rami di una stessa scienza. Ciascuno lavora con le stesse ipotesi strutturali e prospettive equivalenti nei rispettivi campi di indagine. Entrambi escludono la sfera degli esseri viventi e dell’esperienza vissuta dalle loro descrizioni della realtà. Il rischio di questo modello di pensiero chiuso e totalizzante risiede nella sua capacità di oscurare la realtà e diventare profezia che si auto-avvera. Ma, se siamo convinti di dover descrivere la realtà come non-vivente e trattarla di conseguenza, la vita e i suoi processi vitali diventano campi di pensiero e azione altamente problematici, imperscrutabili se non addirittura sospetti.
Questa è la nostra situazione oggi. Se i nostri sistemi formali di pensiero sulla biosfera la vedono come non-vivente, questo, inevitabilmente, genera una mancanza di interesse verso la vita, genera una perdita di specie e una grande indifferenza per la dimensione dell’esperienza. Quante volte The Wall Street Journal o The Economist hanno deriso la vulnerabilità della lumaca e di altre specie in via di estinzione minacciate dai progetti di sviluppo? Se concepiamo gli esseri umani come Homo economicus, come automi non senzienti i cui comportamenti possono essere descritti da algoritmi, la sensibilità verrà ignorata se non proibita e l’esperienza percepita sarà considerata irrilevante. Questo è, esattamente, ciò che sta accadendo. E questo è, puntualmente, cioè che accade oggi al paziente in una pratica medica che considera l’esperienza percepita dal malato come irrilevante.
Al contrario, vedere la realtà come un processo vivente cambierebbe proprio tutto. Questa è la sfida dell’Enlivenment come “paradigma trascendente”. La sua insistenza sul fatto che le nostre politiche si concentrino sull’esperienza di vita offre una leva etica per intervenire nel nostro sistema globale, come ci segnala Donella Meadows nel suo saggio “Thinking systems: A primer”.10 Ovviamente, questo approccio risulta controverso nella cultura della politica odierna. Ma il cambiamento politico dovrebbe iniziare per la nostra immaginazione di una realtà diversa, immaginando un mondo diverso gli oppositori sono sta- ti in grado di cambiare quello del momento.
Bio-economia: legame schizofrenico con la realtà
L’alleanza tra biologia ed economia potrebbe essere chiamata “ideologia economica della natura” o, più semplicemente, “bio-economia”. Ancora oggi, regna sovrana sulla nostra comprensione della cultura e del mondo umani, definendo la nostra dimensione esistenziale come Homo sapiens, interpretandoci come macchine di sopravvivenza governate da geni, così come la nostra identità sociale in termini di Homo economicus, interpretandoci come massimizzatori egoistici di utilità. L’idea della competizione universale, in quest’ideologia del mondo, unificherebbe i due regni, quello naturale e quello socio-economico, convalidando, risolutamente, la nozione di rivalità e di interesse personale predatorio come fatti inesorabili della vita. Vista da una prospettiva critica, l’ideologia economica della natura equivale ad una licenza per rubare la vita agli altri. In verità, le radici di questo modo di pensare precedono il pre-vittoriano. Il filosofo Thomas Hobbes, notoriamente, considerava il mondo come una “guerra di tutti contro tutti”. Anche la società del suo tempo approvava la recinzione forzata delle terre, cioè la privatizzazione di abbondanti scorte della natura, che in precedenza erano comunali, aperte, in linea di principio, a tutti.
Questo dispiegarsi del pensiero economico moderno, con la sua incessante attenzione alla competizione, si sviluppò in tandem con il dualismo, cioè la divisione metafisica del mondo in “materia bruta”, da sfruttare, e “cultura umana”. A giudizio di Andreas Weber, questo dualismo colloca, permanentemente, il sostentamento umano in una relazione problematica, perfino “assurda” con il resto dell’universo.11
È interessante notare che molti economisti liberali riconoscono, apertamente, l’inadeguatezza della loro visione del mondo anche se si aggrappano ossessivamente ad essa. John Maynard Keynes, per esempio, ha chiaramente criticato la struttura standard del pensiero economico come qualcosa che perverte gli atteggiamenti più nobili della vita. Keynes ha affermato che per almeno un altro centinaio di anni, dobbiamo fingere a noi stessi e a tutti gli altri che ciò che è giusto è folle e che ciò che è folle non è utile.12 La sua osservazione avvalora, infatti, l’idea che la nostra tradizione culturale può essere valutata come un legame schizofrenico con la realtà. Negare la realtà non è, però, mai stata una buona strategia per risolvere un problema.
Assiomi della visione bio-economica del mondo rifiutati dal nuovo pensiero biologico
Quali sono le “carenze” più importanti della nostra visione bio-economica? Cosa possiamo dire sulla validità delle ipotesi comuni del paradigma bio-economico? La maggior parte di queste ipotesi, se non tutte, ignorano il fatto che siamo soggetti viventi in un mondo vivente costituito da agenti soggettivi e creativi. Stando ad Andreas Weber, le ipotesi ortodosse della bio-economia violano già lo stato dell’arte della ricerca nelle scienze fisiche che documentano che non sono possibili relazioni tra soggetti e oggetti se si separa l’osservatore e ciò che è osservato.13
La visione biologica prevalente del mondo organico – e l’immagine dell’uomo al suo interno – sta cambiando. Una nuova ricerca sta spostando il paradigma dall’idea ortodossa darwinista del mondo organico come campo di battaglia per la sopravvivenza tra macchine antagonistiche a quella di una complessa interazione tra agenti vari con obiettivi e significati conflittuali e simbiotici. Nel nuovo paradigma biologico, l’organismo può essere visto come un “soggetto” che interpreta gli stimoli esterni e le influenze genetiche piuttosto che come un meccanismo regolato, causalmente, da tali stimoli e influenze. In questa prospettiva, un organismo negozia i termini della sua esistenza con gli altri in condizioni di competizione limitata e “debole causalità”. Questo cambiamento negli assiomi del pensiero biologico sta aprendo una nuova immagine del mondo organico in cui la libertà si evolve e gli organismi, compresi gli umani, svolgono un ruolo attivo e costruttivo nell’immaginare e costruire nuovi futuri. Il nuovo paradigma della bio-poetica, infatti, rifiuta molti assiomi della visione del mondo bio-economico.14 Per esempio, respinge l’idea di:
- Efficienza – La biosfera non è efficiente. Gli animali a sangue caldo consumano oltre il 97% della loro energia solo per mantenere il loro metabolismo. La fotosintesi raggiunge un tasso di efficienza del 7%, cioè, ridicolmente, basso. Pesci, anfibi e insetti depositano milioni di uova solo per la sopravvivenza di pochissimi esemplari. Invece di essere efficiente, la natura è altamente ridondante. I processi naturali non sono parsimoniosi, ma si basano piuttosto su “generosità” e “sprechi” o, detto in modo meno bio-economico, si basano sulla ridondanza. Infatti, nel suo saggio “Biopoetics. Towards an Existential Ecology”, Andreas Weber segnala che la stessa biosfera si basa su un’elargizione e che il fondamento di tutto il lavoro biologico – l’energia solare – accade, semplicemente, come risultato della propagazione del sole.15
-
Crescita – La biosfera non cresce. La quantità di biomassa non aumenta. Il volume della materia non si espande. La natura “gestisce” un’economia allo stato stazionario – cioè un’economia in cui tutti i fattori rilevanti rimangono costanti l’uno rispetto all’altro. Inoltre, il numero di specie non aumenta necessariamente; cresce in alcune epoche e diminuisce in altre. L’unica dimensione che realmente cresce è la diversità delle esperienze: modi di sentire, di esprimersi, variazioni di aspetto, novità di modelli e forme. Pertanto, la natura non guadagna massa o peso, ma piuttosto profondità.16
-
Concorrenza – Non è mai stato possibile dimostrare che una nuova specie sia nata dalla competizione per una sola risorsa. Le specie sono piuttosto nate per caso: si sviluppano attraverso mutazioni inaspettate e l’isolamento di un gruppo dal resto della popolazione attraverso nuove simbiosi e cooperazioni (cioè, attraverso lo stesso processo mediante il quale le nostre cellule corporee derivano da predecessori batterici cooperanti nella simbiosi intracellulare). La competizione da sola – ad esempio, per una nicchia nutriente o ecologica limitata – causa una monotonia biologica: il dominio di poche specie su un ecosistema.
-
Scarsità – Le risorse in natura non sono scarse. Dove diventano insufficienti, non portano a una diversificazione creativa, ma ad un impoverimento della diversità e della libertà. La risorsa energetica di base della natura, la luce del sole, esiste in abbondanza. Una seconda risorsa cruciale – il numero di relazioni ecologiche e nuove nicchie – non ha limiti superiori. Un numero elevato di specie e una varietà di relazioni tra loro non portano ad una competizione più acuta e alla dominanza di una specie “più adatta”, ma piuttosto a permutazioni più ricche di relazioni tra specie e, quindi, ad un aumento della libertà, che è, allo stesso tempo, anche un aumento delle reciproche dipendenze. Quanto più è “sprecata” e, quindi, consumata da altre specie, tanto più grande diventa la ricchezza comune. La vita ha la tendenza a trasformare tutte le risorse disponibili in un reticolo di corpi. Nei vecchi ecosistemi in cui l’energia solare è costante, come nelle foreste pluviali tropicali e negli alti oceani, questo genera più nicchie e, quindi, una maggiore diversità complessiva. Il risultato è un aumento delle simbiosi e una riduzione della concorrenza. La scarsità di risorse, vissuta come la mancanza temporale di nutrienti specifici, porta a una minore diversità e al predominio di poche specie, come ad esempio nelle distese fangose costiere temperate.
- Proprietà – Non vi è alcuna nozione di proprietà nella biosfera. A ben guardare, stando ad Andreas Weber, un individuo non possiede nemmeno il proprio corpo. La sua sostanza cambia in modo permanente e continuo poiché viene sostituita da ossigeno, CO2 [anidride carbonica] ed altri input di energia e materia. Ma non è solo la dimensione fisica del sé che è resa letteralmente possibile attraverso la comunanza con altri elementi, è anche il simbolico: il linguaggio viene generato dalla comunità di parlanti che lo usano e, nel processo, crea consapevolezza e identità. Le abitudini in una specie vengono acquisite condividendole. In qualsiasi di queste dimensioni è necessaria la selvaticità del mondo naturale affinché l’individuo sviluppi la sua identità più intima. Questo mondo non è stato creato da alcun individuo particolare né può essere posseduto esclusivamente, questo mondo è diventato. L’individualità, in entrambi sensi, cioè fisica e socio-simbolica, emerge attraverso una proprietà comune, biologicamente condivisa e culturalmente comunicata.17
Queste osservazioni riguardo i falsi assiomi della bio-economia sono corroborate dalla bio-poetica, dando origine a un nuovo paradigma che sta trasformando una scienza di oggetti naturali in una narrazione di soggetti naturali.
La vita come senso o significato e bio-poetica come paradigma per le relazioni tra viventi
Più di venti anni fa, nel 1997, nel suo saggio “The coming Kuhnian revolution in biology”, il biologo molecolare Richard Strohmann prevedeva un cambio di paradigma che definiva la “svolta organica in biologia”.18 Già nel 2013 molte delle sue ipotesi erano state confermate empiricamente. Infatti, i fondamenti teorici del modello molecolare – evolutivo classico in biologia sono stati messi in discussione e la biologia, attualmente, sta subendo una profonda rivalutazione delle sue premesse fondamentali.
Gli attuali cambiamenti sconvolgenti nella biologia teorica, tuttavia, non sono ancora riconosciuti culturalmente. Al contrario, il dogma della bio-economia, descritto in precedenza, non è mai stato così influente come lo è oggi. La biologia mainstream, come viene insegnata a scuola e all’università e come viene volgarizzata dai mass media, continua a catturare l’immaginazione popolare. Ma alle frontiere del pensiero originale nelle scienze biologiche, stanno accadendo cambiamenti concettuali radicali. Il dogma, di stile newtoniano, di un progetto genetico che comanda un sistema organico simile a una macchina, mentre cerca costantemente nuove efficienze, guidate dalle leggi della selezione naturale, non viene più confermato in molte aree di ricerca e nemmeno nella pratica clinica della medicina. Piuttosto, stando alle osservazioni di Andreas Weber nel suo saggio del 2017, “Matter and Desire: An Erotic Ecology”, i biologi stanno cominciando ad osservare un mondo vivente costituito da soggetti correlati che sono senzienti ed espressivi di questa sensibilità, che si manifesta in esperienze (interne) e comportamenti (esterni).19
Anche la regolazione epigenetica, come sostengono Eva Jablonka e Marion Lamb in “Evolution in Four Dimensions. Genetic, Epigenetic, Behavioral, and Symbolic Variation in the History of Life”,20 gioca un ruolo molto più importante di quanto si pensasse in precedenza, il che significa che i singoli organismi possono influenzare il destino dei loro geni.21 È ormai noto, come sostiene Joachim Bauer in “Das kooperative gene”, che le esperienze genitoriali possono essere trasmesse su base genetica22 e, anche, che le pratiche culturali del trattamento dei bambini possono influenzare direttamente i genomi degli stessi, come sostiene Don Powell in “Treat a female rat like a male and its brain changes”.23 In questo momento, il paradigma emergente, più olistico, della regolazione della regolazione e dell’identità biologica, sostiene che l’identità dei soggetti biologici sia spesso non quella di una sola specie: la maggior parte degli organismi deve essere vista come “meta-biomi” costituiti da migliaia di specie simbiotiche, per lo più batteriche, secondo una recente ricerca sul microbioma dei vertebrati condotta da Ley, Lozupone, Hamady, Knight & Gordon.24
I ricercatori si stanno rendendo conto che un organismo deve essere considerato come una sorta di ecosistema – cioè come un “superorganismo” costruito da innumerevoli “sé” cellulari – e che un determinato organismo non è semplicemente il risultato di una cascata lineare di cause ed effetti successivi. Le attuali opinioni nella ricerca biologica empirica, in particolare nella genetica dello sviluppo, nella proteomica e nella biologia dei sistemi, hanno, da decenni, iniziato ad apprezzare l’auto-produzione e l’auto-poiesi come caratteristiche centrali degli esseri viventi. Autopoiesis, letteralmente “auto-creazione”, è un termine introdotto dai biologi Humberto Maturana e Francisco Varela per descrivere la capacità di un organismo di generare e specificare, continuamente, la propria organizzazione autonomamente. La codificazione genetica, i processi di sviluppo e normativi sono discussi, in modo crescente, come ci segnalano i biologi Marc Kirschner e John Gerhart in “The Plausibility of Life. Recolving Darwin’s Dilemma”, in termini di capacità di un organismo di interpretare e sperimentare il significato biologico e la soggettività.25
Questi risultati non solo sfidano l’approccio empirico standard agli organismi, ma trasformano le nostre ipotesi di fondo su cosa sia la vita. Un organismo è una macchina, assemblata da parti che devono essere considerate macchine o sottogruppi ancora più piccoli? Oppure la vita è un fenomeno in cui soggettività, interpretazione e bisogno esistenziale sono forze chiave che non possono essere escluse dal quadro senza distorcere la nostra comprensione di come funziona un organismo e senza ostacolare il percorso verso ulteriori dispiegamenti?
Andreas Weber e Francisco Varela in “Life after Kant: Natural purposes and the autipoietic foundation of individuality”, sostengono che nel nuovo quadro emergente gli organismi non sono più visti come macchine genetiche, ma come processi materialmente incarnati e senzienti che producono se stessi.26 Ogni singola cellula, sostiene Varela in “Patterns of Life: Intertwining Identity and Cognition”, è un “processo di creazione di un’identità”.27 L’organismo più semplice deve essere inteso come un sistema materiale che mostra l’intenzione di mantenersi intatto, di crescere, di dispiegarsi e di realizzare uno scopo di vita più completo per se stesso. Una cellula è un processo che produce i componenti necessari per produrre questi sviluppi mentre i materiali – carbonio, azoto, ossigeno, fosforo e silicio – fluiscono attraverso di essa. < in “Matter and Desire: An Erotic Ecology”, non è un’illusione che può aiutare un organismo a massimizzare il suo successo evolutivo ma, in primo luogo, la forza stessa che rende possibile la sua esistenza biologica.28
Vita: soggettività empirica
Riassumendo, i tratti del paradigma della bio-poetica, per concettualizzare ciò che un essere vivente sia, sono, secondo Andrea Weber, che un essere vivente auto-produce se stesso e, quindi, manifesta le sue intenzioni di mantenersi e dispiegarsi, elude i disturbi e cerca, attivamente, input positivi come cibo, riparo e presenza di compagni. Inoltre, mostra un comportamento che valuta costantemente le influenze dal mondo esterno (e anche dal suo interno). Pertanto, si potrebbe dire che un organismo agisce per preoccupazione e per l’esperienza del significato e che, di conseguenza, è un agente o un soggetto con un punto di vista intenzionale, alla ricerca di un “senso ispirato al significato”.
Per i sostenitori della bio-poetica, ogni essere vivente è, anche e sempre, un’attuazione del mondo biologico. Perciò un organismo, secondo loro, mostra o esprime le condizioni in cui ha luogo il suo processo vitale. Un essere vivente mostra, in modo trasparente, le sue condizioni. Weber chiama questa condizione fondamentale dell’esperienza “conditio vitae” – la condizione della vita.29
La “conditio vitae”, in questo paradigma, sarebbe la condizione poetica condivisa di base degli organismi, perché mostrerebbe, in modo non testuale e non algoritmico, i principi della creatività vivente, i processi dell’agire e dell’affermazione, che sarebbero, per di più, manifestamente espresse in noi stessi come esseri umani. Ogni organismo sarebbe, dunque, un’espressione delle condizioni della sua esistenza.
Da queste “osservazioni”, si può concludere, secondo la bio-poetica, che ogni organismo è, in una certa misura, autonomo. Dà origine alla sua “identità” e usa la materia per questa realizzazione. Gli esseri viventi, in quest’interpretazione della vita, mostrano una netta autonomia riguardo alle necessità del metabolismo e non sono completamente determinati da fattori esterni. Vista da questa prospettiva, la storia della natura è, anche, la storia dell’evoluzione della “libertà incarnata”.30
Cosa possiamo dire di questa comprensione del mondo vivente, che a volte ci sembra quasi metafisica? In che cosa differisce da quella bio-economica che ancora costituisce la versione ufficiale della realtà che guida le decisioni socio-culturali, economiche, politiche e, anche, le nostre fragili decisioni personali?
Questa nuova immagine della vita, che emerge dalle ultime ricerche scientifiche e riflessioni filosofiche, suggerisce, ovviamente, che dobbiamo rivedere le molte politiche basate sulla visione fuorviante della vita condivise dalla bio-economia e dal neoliberismo.
Ma quali caratteristiche salienti di questo nuovo paradigma potrebbero essere identificate per aiutarci a immaginare e costruire politiche di vivificazione [di enlivenment]? Quale potrebbe essere la nuova serie di principi fondanti delle nostre società? Quest’è la domanda fondamentale che tutti nascondiamo o cerchiamo di evitare.
Qualsiasi nuovo principio politico e/o di riorganizzazione economica dovrebbe essere compatibile con la nuova comprensione della realtà biologica. Tuttavia, è importante non cercare “leggi” – regole universali e invariabili che si applicano a tutto, come ha insistito il paradigma dell’Illuminismo – ma piuttosto cercare parametri generali, linee guida o atteggiamenti che possano favorire un comportamento vivificante. L’idea dell’Enlivenment non specifica esiti o norme esplicite su come dovrebbe essere concepita una società vivificata. Piuttosto, si occupa di principi e attitudini generali che possano favorire l’emergere di processi aperti, reciproci e cooperativi. Alcuni di questi nuovi principi fondanti, suggeriti da Andreas Weber,31 potrebbero essere strutturati come segue:
- La storia naturale non dovrebbe essere vista più come lo sviluppo di una macchina organica pre-disegnata, ma piuttosto come la storia naturale dell’autonomia e dell’agire.
- La realtà è viva: è piena di esperienza soggettiva e sentimento; esperienza soggettiva e sentimento dovrebbero diventare i prerequisiti di ogni razionalità.
- La biosfera consiste in una correlazione materiale e significativa di sé.
- I sé degli organismi arrivano ad essere solo attraverso gli altri: la biosfera dipende in modo critico dalla cooperazione e dall’inter-essere. L’enlivenment postula che un sé non è possibile in isolamento e in lotta frenetica contro tutti, ma dipende fin dall’inizio dall’”altro” – sotto forma di cibo, riparo, compagni, genitori, partner di comunicazione. Il sé soggettivo emerge solo attraverso l’interazione con l’altro. Nello sviluppo umano questo è molto chiaro, dal momento che il bambino deve essere visto e valutato positivamente dai suoi assistenti per essere in grado di crescere in modo sano.
- La biosfera non è cooperativa in un modo semplice e diretto ma lo è in senso paradossale: le relazioni simbiotiche emergono da processi antagonistici e incompatibili: materia / forma, codice / soma genetico, ego / l’altro. L’incompatibilità è necessaria per raggiungere la vita, in primo luogo, e, quindi, qualsiasi esistenza vivente può essere solo precaria e preliminare – una soluzione creativa improvvisata per il momento.32 L’esistenza si manifesta attraverso negoziati transitori di diversi livelli di vita incompatibili. In questo senso, i sistemi viventi sono sempre un auto-contraddittorio “reticolo di sé altruisti”.33
- L’individuo può esistere solo se esiste il sistema in cui è incorporato e il sistema può esistere solo se gli individui sono autorizzati a esistere.
- L’esperienza di essere vivi, di essere gioiosi, è una componente fondamentale della realtà: il desiderio di esperienza e di diventare il proprio sé pieno è una regola generale dell’”attuazione del mondo biologico”, che comprende sia la costruzione interiore / esperienziale che la costruzione esterna / materiale di un sé.
- La morte è una realtà. La morte è inevitabile e persino necessaria come precondizione per il tentativo dell’individuo di mantenersi intatto e/o crescere. La morte è una componente integrale della vita, invero dovremmo parlare, piuttosto, di Morte-Vita quando ci riferiamo alla realtà organica. Contro questo sfondo l’enlivenment è ciò che un organismo fa costantemente: ogni atto organico è un atto di creazione, sia esso inequivocabilmente produttivo oppure “bloccato”, come la malattia con i suoi sintomi.
- Il processo di vita è aperto. Sebbene esistano regole generali per mantenere l’identità dell’attuazione del mondo biologico nell’inter-essere, la sua forma e la sua modalità sono interamente soggette a
soluzioni situazionali. Inoltre, a questo riguardo, i processi creativi della biosfera hanno paralleli creativi e vivificanti nelle arti.
Non ci sono informazioni neutrali, transistoriche, nessuna obiettività “scientifica” generale. Esiste solo un comune livello esperienziale di comprensione, interazione e comunione di una “conditio vitae” condivisa. Nuove strutture e livelli di enlivenment o vivificazione possono essere resi possibili attraverso l’immaginazione attiva attuata.
Da queste osservazioni sembra possibile completare la visione del mondo ecologico “mainstream”, molto limitata, che ora prevale, con una visione della natura vista come un insieme di risorse esterne, con un aspetto interiore o intenzionale. Alla prospettiva scientifica in terza persona della “realtà oggettiva” che ancora prevale, possiamo aggiungere un’ecologia in prima persona, mentre “l’oggettività empirica”, così familiare alla scienza contemporanea, deve essere ampliata da una “soggettività empirica” – una condivisa condizione di sentimento ed esperienza tra tutti gli esseri viventi.
L’oggettività, in questa visione vivificante, ha un aspetto “poetico”. Ciò significa che le intuizioni escluse dalla posizione “solo-obiettivo”, perché ritenute non reali in senso materiale e/o fisico, possono essere valide in un senso poetico interiore. Gregory Bateson lo descrive quando confronta la logica classica, “oggettiva” con una logica che è “soggettiva” e“attuazione del mondo biologico”. L’argomentazione di logica classica che Bateson dà è “1. Gli uomini sono mortali, 2. Socrate è un uomo, quindi 3. Socrate è mortale. La “argomentazione poetica” sarebbe simile alla seguente logica usando la metafora dell’erba, che, come gli umani, è anche vivente: “1. Gli uomini sono mortali, 2. L’erba è mortale, quindi 3. Gli uomini sono erba”.34 Questa intuizione non è, ovviamente, letteralmente vera, ma è vera come intuizione esperienziale o poetica. Approfondimenti di questo tipo possono cambiare il nostro comportamento e, in questo senso, sono un elemento influente della nostra realtà vivente.
La dimensione poetica è il mondo dei nostri sentimenti, dei nostri legami sociali e di tutto ciò che sperimentiamo come significativo e portatore di senso. La poetica è, quindi, parte integrante del nostro mondo quotidiano di comunicazione sociale, scambi e interazioni. È il mondo della prospettiva in prima persona, che è sempre lì, e sempre sentito e vissuto. È il mondo in cui viviamo di più intimamente, ed è, in definitiva, il mondo per il quale concepiamo e facciamo varie politiche. Il mondo dello scambio economico, che è uno scambio sociale tra esseri viventi, si svolge, anche, in questo mondo.
La natura è dentro e fuori di noi
Il punto di vista dell’oggettività poetica non intende proporre una visione del mondo interamente individualistica o solipsistica. Piuttosto, sostiene che la prospettiva soggettiva degli organismi (o attuazioni del mondo biologico) è un complemento necessario dell’approccio obiettivo prevalente. Anche qui, dobbiamo fare i conti con la realtà dell’incompatibilità – o del paradosso – nella vita di tutti i giorni. Come organismi viventi dobbiamo imparare a sperimentare e descrivere il mondo “dal di dentro” (emotivamente, soggettivamente, socialmente) mentre lo trattiamo come una realtà fisica esterna che esiste “al di fuori” di noi. Bruno Latour ha ingegnosamente spiegato in “We have never been modern” che qualsiasi procedura che cerchi di “purificare” la biosfera, insistendo solo sulle sue dimensioni fisiche, negando che sia una sfera di significato o “semiosfera”, genererà solo tensioni ancora maggiori, anche se nascoste. La repressione psicologica degli antagonismi interiori genererà solo nevrosi, tali antagonismi possono essere superati solo attraverso l’espressione vivente.35
La natura – i suoi principi di contraddizione, che producono esperienze significative – è anche “dentro” noi stessi. Non è esagerato affermare che per sperimentare pienamente il lato simbolico ed esperienziale dei nostri esseri e integrarli nelle nostre personalità, dipendiamo dalla presenza della natura – foreste, fiumi, oceani, prati, deserti, animali selvaggi. Per certi versi, solo l’altro – un’altra presenza vivente – può dare vita al sé. La natura agisce come un gemello che anima i nostri sé simbolici. Raccogliamo cibo per i nostri pensieri e concetti mentali dal mondo naturale. Trasformiamo piante e animali in simboli intellettuali in base alle loro qualità reali o presunte. Il serpente, la rosa e l’albero sono esempi di potenti immagini organiche che parlano alla nostra identità umana, motivo per cui ricorrono così spesso nella storia umana, nella nostra arte, nei miti e in altre forme culturali.36
Questo processo si manifesta, anche, in direzione inversa. La natura attua ciò che siamo anche noi. È la controparte vivente e vivificante delle nostre emozioni e dei nostri concetti mentali. Solo essendo percepiti e riflessi da altre forme di vita siamo in grado di comprendere la nostra. Solo agli occhi di un altro essere possiamo diventare, noi stessi, un essere vivente. Abbiamo bisogno del riguardo del più sconosciuto. Questo modo di costruire la nostra identità è una delle costanti culturali più importanti negli esseri umani, dall’uso, da parte delle popolazioni indigene, di simboli animali (ad esempio nell’arte rupestre) all’uso costante delle metafore della natura nella poesia contemporanea, come ci ricorda Michael Graziano in “Consciouness and the social brain. Deciphering how the brain codes our thoughts”.37
Tali pratiche possono liberare quegli strati di sentimento in noi stessi che altrimenti rimangono rinchiusi. Abbiamo bisogno dell’esperienza di impegnarci con un “essere che vive anche esso dentro di sé” che si trova di fronte a noi, mostrandosi come un corpo fragile e mortale. Abbiamo bisogno di altri organismi perché essi sono, in un senso molto reale, ciò che siamo noi stessi (biologicamente e psichicamente), ci danno accesso a quelle parti nascoste di noi stessi che non possiamo vedere – infatti, noi non possiamo osservare noi stessi mentre osserviamo. C’è sempre un punto cieco centrale nella creazione della nostra identità. Visto da questo punto di vista, gli altri esseri sono il punto cieco della nostra auto-comprensione, cioè forniscono informazione al nostro cervello su cosa siamo.
- Enlivenment: richiamo, a rendere vivace qualcosa o qualcuno. La ragione di questo richiamo risiede nel fatto che, nel paradigma dell’enlivenment gli organismi, piuttosto che intesi come semplici organizzazioni fisiologiche, vengono interpretati come strutture senzienti che hanno esperienze soggettive ed elaborano sensi.
- Vargas, R O & D’Alterio, Eugenia. Enlivenment Nuovo Modo di Intendere la Vita. BIO Educational Papers Anno VII Numero 26, Giugno 2018
- Andreas Weber. “ The Economy of Wastefulness: The Biology of the Commons “. In: Bollier, D., Helfrich, S., eds., The Wealth of the Commons. A World beyond Market & State. Amherst, Massachusetts, 2012, p.6
- La parola greca “oikos” cioè “eco” significa “casa”, “famiglia”
- Andreas Weber. Enlivenment. Towards a fundamental shift in the concepts of nature, culture and politics. In “Heinrich Böll Stiftung. Publication Series Ecology”, Vol.31, 2013, p.23.
- Andreas Weber. op. cit. 2013, p. 24.
- Andreas Weber. op. cit. 2013, p. 24.
- Léon Walras. Elements of Pure Economics. Irwin; W. Stanley Jevons (1871): The Principles of Political Economy. MacMillan, London, 1954.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.25.
- Donella Meadows. Thinking systems: A primer. In “Sustainability Institute”, v.13, 4-Sep-07, 2007
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.26.
- John Maynard Keynes. “The Future”. Essays in Persuasion. W. W. Norton, London, 1991.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.26-27.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.27.
- Andreas Weber. Biopoetics. Towards an Existential Ecology. Springer, 2016.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.27.
- Andreas Weber. op. cit. 2013, p. 28.
- Richard Strohmann. The coming Kuhnian revolution in biology. In “Nature Biotechnology”. 15: 194-199. 1997.
- Andreas Weber. Matter and Desire: An Erotic Ecology. Chelsea Green Publishing Co, 2017.
- Eva Jablonka, Marion Lamb. Evolution in Four Dimensions. Genetic, Epigenetic, Behavioral, and Symbolic Variation in the History of Life. Cambridge, Mass. and London: MIT Press, 2005.
- Il modo di concepire l’ereditarietà e l’evoluzione sta attraversando una fase di rivoluzionario cambiamento. Le nuove scoperte della stessa biologia molecolaremettono in discussio- ne, infatti, la versione geocentrica della teoria darwiniana, secondo cui l’adattamento ha luogo esclusivamente tramite la selezione naturale divariazioni causali del DNA. Nel loro libro, Eva Jablonka e Marion Lamb, “Evoluzione in 4D”, sostengono, invece, che l’ereditarietà non ha a che vedere soltanto con i geni e tracciano quattro dimensioni dell’evoluzione, quattro sistemi ereditari che in essa giocano una parte: quello genetico, quello epigenetico (trasmissione cellularedei tratti esente da mutazioni del DNA), quello comportamentale e quello simbolico (trasmissione tramite il linguaggio o altre forme analoghe di comunicazione). Ciascunodi essi, secondo le studiose, è in grado di fornire variazioni su cui può agire la selezione naturale. L’evoluzione in 4D offre, dunque, un punto di vista più complesso sul temarispetto alla visione monodimensionale, tutta incentrata sui geni, sostenuta, ancora oggi, da molti. La nuova sintesi proposta da Jablonka e Lamb spiega senza mezzi termini che anche i cambiamenti indotti e acquisiti svolgono un ruolo nell’evoluzione.
- Joachim Bauer. Das kooperative Gen. Hamburg: Hoffmann und Campe. Hamburg, 2008.
- Don Powell. Treat a female rat like a male and its brain changes. New Scientist, 2690, 8, 2009.
- Ruth E. Ley, Catherine A. Lozupone, Micah Hamady, Rob Knight, & Jeffrey I. Gordon. Worlds within worlds: evolution of the vertebrate gut microbiota. In “Nature Re-views”, 6, 776–788. 2008.
- Marc W. Kirschner, & John C. Gerhart. The Plausibility of Life. Recolving Darwin’s Dilemma. Yale University Press, New Haven, 2005.
- Weber A. & Varela F. J. Life after Kant: Natural purposes and the autopoietic foundation of individuality. In “Phenomenology and the Cognitive Sciences” 1(2): 97–125.2002.
- Francisco J. Varela. Patterns of Life: Intertwining Identity and Cognition. In “Brain and Cognition”, 34: 72–87, 1997.
- Andreas Weber. Matter and Desire: An Erotic Ecology. Chelsea Green Publishing Co, 2017.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.32.
- Andreas Weber. Biopoetics. Towards an Existential Ecology. Springer, 2016 / Andreas Weber. Matter and Desire: An Erotic Ecology. Chelsea Green Publishing Co,2017.
- Andreas Weber, op. cit. 2013, p.32.
- Kalevi Kull. “Introduction”. In: Silver Rattasepp; Tyler Bennett, eds.: Gatherings in Biosemiotics. Tartu Semiotics Library 11. University of Tartu Press. Tartu, 2012.
- Varela, op. cit. 1991
- Gregory Bateson, Mary Catherine Bateson. Angels Fear: Towards An Epistemology Of The Sacred. Hampton Press, 2004.
- Bruno Latour. We Have Never Been Modern. Harvard University Press, Cambridge, MA, 1993.
- Andreas Weber, cit. 2013, p.34.
- Michael A. Graziano. Consciousness and the social brain. Deciphering how the brain codes our thoughts. Penguin Books, New York, 2014.