Biologia e filosofia della mente: il volto dei pesci

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10 Agosto, 2024
Tempo di lettura: 15 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno IX • Numero 36 • Dicembre 2020

Il pesce ha un volto?

Non sono coccoloni, non si comportano affatto come noi eppure sono senzienti. Di fatto, alcuni studiosi come Michael Woodruff1, argomentano che i pesci, in quanto senzienti, dovrebbero appartenere alla comunità dei viventi verso i quali noi umani imponiamo un comportamento morale. Nella sua recente esposizione circa la senzienza dei pesci, nella quale Woodruff intende documentare l’ipotesi riguardo alla capacità dei pesci di fare esperienza soggettiva in prima persona, egli sceglie, come cavallo di Troia per irrompere e travolgere le nostre convenzioni, la domanda se si possa considerare che il pesce abbia un volto.

In un certo senso, a molti l’interrogativo potrebbe risultare proprio banale. Un bambino di 7 anni, però, risponderebbe, verosimilmente e senza dubbi, di sì. Dopotutto, un pesce ha occhi, bocca e quello che può passare per un muso. Invero, è dotato da tutti gli elementi essenziali per connotare ciò che consideriamo costituisca, nel linguaggio che la nostra cultura fornisce ad un bambino, una “faccia”, vale a dire, un volto.

Tale risposta, che in qualche modo consiste in un accorgimento prelevato con astuzia dalla descrizione del mondo fatta dai bambini, ha, dal punto di vista filosofico, conseguenze di vasta portata e deve essere considerata attentamente. Appunto, se considerassimo che un animale abbia ciò che il filosofo esistenzialista Emmanuel Lévinas chiamava “il volto dell’Altro”, tale intuizione risulterebbe fondamentale per determinare lo status morale che gli concederemmo. Per “volto”, Lévinas intendeva, precisamente, una “presenza vivente”, cioè una sorta di espressione della personalità, o meglio, dell’identità e della storia personale dell’altro. A quanto pare, noi umani, nel nostro sviluppo bio-socioculturale abbiamo percepito e codificato volto e moralità come intimamente legati l’uno all’altro.

Come hanno notato2 i filosofi Mark Coeckelbergh e David Gunkel, spesso attribuiamo ai cani questo tipo di volto, come attestano i nomi individuali che diamo loro e la loro vicinanza alla nostra vita. Concediamo loro uno status esistenziale che ci porta ad includerli nella nostra comunità morale e, di conseguenza, all’assegnazione di diritti e protezioni che, occasionalmente, si avvicinano a quelli che concediamo ad altre persone. In questo modo si può postulare che nel mondo delle culture conosciute ai cani venga riconosciuto, maggiormente, “il volto dell’altro” perché li teniamo in grande favore morale.

Ma, siamo, nello stesso modo, pronti a dire che i pesci abbiano un volto? Nonostante la risposta del bambino del nostro esempio, ai pesci raramente, se non mai, viene assegnata una faccia nei termini di “un altro” verso il quale attuiamo principi morali. È, precisamente, verso questo comportamento di diniego dell’altro, in quanto semplice animale, che Woodruff scaglia la sua argomentazione cercando di documentare, con i risultati di svariate ricerche sperimentali, l’irragionevolezza del nostro atteggiamento. La sua seconda mossa, dopo la domanda provocatoria riguardo se il pesce abbia un volto, è quella di chiederci una spiegazione del perché di questa nostra condotta di diniego. Ma per avviare questa possibile risposta in noi, lui ci segnala, dal suo punto di vista e in termini generali, cosa influenzi il fatto che vediamo o meno “il volto dell’altro” in un animale.

Perché noi umani non vediamo il volto dell’altro negli altri animali?

Secondo la prospettiva di Woodruff, da un punto di vista estetico, spicca un fattore che spiegherebbe perché noi non vediamo il volto di un altro nell’animale e questo sarebbe, specificamente, la nostra predisposizione umana alla dolcezza e alla coccola. I pesci, infatti, si mostrano totalmente indifferenti sia all’una che all’altra, anche perché loro non traggono alcun vantaggio di fitness da nessuna di queste. Forse una persona trova, occasionalmente, che un pesce sia carino e infatti alcune specie, come il pesce palla, potrebbero sembrare più espressive di altre ma, generalmente, squame e melma contrastano fortemente con carineria e coccola.

Tuttavia, ci sono anche fattori cognitivi espliciti che influenzano lo status morale che assegniamo agli animali. La senzienza è il più importante. Con questo termine possiamo intendere, secondo Woodruff, la prerogativa di avere un’esperienza soggettiva diretta delle qualità associate alle sensazioni e agli stati affettivi che le accompagnano. Oppure, più semplicemente, stando allo stesso Woodruff, la senzienza potrebbe essere descritta come la capacità di avere la sensazione di un’esperienza sensoriale. Per questo motivo, gli esseri senzienti avrebbero la prerogativa di soffrire ed è questa peculiarità che influenza, intuitivamente, il loro status morale. Gli eticisti, da Jeremy Bentham, tra il ‘700 e l’800, a Peter Singer nel ‘900, hanno sostenuto con forza che la senzienza di un animale alla sofferenza sarebbe sufficiente per domandare che l’animale venga riconosciuto nella nostra comunità morale, in quanto la senzienza sarebbe culturalmente considerata una prerogativa che rendi noi, umani, meritevoli di riguardi. Di conseguenza, la questione dello status morale è legata alla questione della senzienza, della sua definizione e della sua applicazione.

La senzienza come criterio di assegnazione dello status morale

Alcuni ricercatori nell’ambito della psicologia sociale3 hanno suggerito che gli umani che mangiano carne attribuiscano un numero significativamente inferiore di indicatori di senzienza agli animali che finiscono nel loro piatto rispetto ai vegetariani. Questa negazione consentirebbe, naturalmente, al carnivoro umano di ridurre la dissonanza cognitiva, in quanto se l’animale non è senziente, non conosce la sofferenza. Pertanto, i carnivori umani possono disimpegnarsi cognitivamente dai duri effetti delle fattorie industriali e dei macelli e andare avanti con i loro pasti. Questo è un classico esempio di come, anche quando la senzienza viene negata, viene, in qualsiasi modo, presa come un indicatore primario delle proprie preoccupazioni morali.

Nonostante questo diffuso “meccanismo di difesa morale”, oppure etica, sono disponibili documentazioni molto persuasive4 circa la senzienza nei mammiferi da allevamento. Ciò ha aiutato i sostenitori del benessere degli animali nei loro sforzi  per convincere i governi a legiferare almeno standard minimi per la protezione di questi esseri viventi. Sebbene questi standard non garantiscano i diritti che meritano gli esseri senzienti, superano di gran lunga quelli applicabili ai pesci. Solo pochi paesi hanno regolamenti che disciplinano il trattamento dei pesci utilizzati per il cibo, incluso se vengono uccisi in modo non-cruento, e i sostenitori del benessere degli animali spesso trovano frustrati i loro sforzi per migliorare la sorte dei pesci in parte a causa della percezione del pubblico che questi ultimi non siano senzienti. Per meglio leggere quest’atteggiamento si dovrebbe tener presente che, in fatto di numero, il pesce è l’animale più consumato al mondo.

Questa percezione di disimpegno morale del pubblico è supportata da alcuni scienziati e filosofi, come Peter Carruthers, che fondano le loro argomentazioni contro la senzienza su due affermazioni. La prima è che tutti i comportamenti esibiti dai pesci sono risposte riflesse, complesse e inconsce tipiche della specie all’ambiente esterno. Tale comportamento non ci offrirebbe una ragione sufficiente per concludere che esista una vita interiore abbastanza ricca da giustificare l’attribuzione ai pesci della senzienza e tutto ciò che essa comporta. La seconda affermazione è che la neocorteccia è necessaria per la senzienza e dal momento che i pesci non hanno una neocorteccia non possono essere senzienti. Stando però a Woodruff, entrambi questi argomenti sarebbero falsi. Lui sostiene che i pesci siano senzienti e che, di conseguenza, dovremmo accettare che hanno anche un volto che li renda portatori di un’alterità verso la quale dovremmo porci un riguardo morale.

Per venire incontro alla tesi di Woodruff, si potrebbe segnalare che la filosofa Kristin Andrews, argomentando sulla mente e la cognizione animale, sostiene che “i membri della specie umana hanno menti umane, e se i membri di altre specie hanno menti, avranno menti specifiche proprie della specie.”5 Questo richiamo si applica, appunto, alla prerogativa della mente denominata senzienza. Riconoscendo questo avvertimento, tuttavia, i criteri che utilizziamo per assegnare proprietà o prerogative della mente ad un animale non umano dipendono, inevitabilmente, da comportamenti che consideriamo analoghi a quelli che accettiamo come denotanti stati mentali o di senzienza negli esseri umani.

Per proseguire l’argomentazione è importante ricordare che stiamo definendo la senzienza come la prerogativa di avere un’esperienza soggettiva diretta delle qualità associate alle sensazioni e agli stati affettivi che le accompagnano. In questo uso del termine, quindi, la senzienza è un tipo semplice di coscienza fenomenica che non richiede percezioni di ordine superiore o pensieri di consapevolezza sugli stati mentali. Piuttosto, consiste6 in rappresentazioni sensoriali di primo ordine, non concettuali ma cariche di sentimenti, che sono direttamente disponibili al soggetto per funzioni come la selezione dell’azione e l’immagazzinamento nella memoria. Ma, poiché la senzienza è uno stato esperienziale soggettivo, un essere senziente deve essere capace di una prospettiva, in prima persona, dalla quale si sperimentino i fenomeni.

Le caratteristiche di questa prospettiva in prima persona devono essere compatibili con la natura di primo ordine della senzienza, come sostiene la filosofa Lynne Rudder Baker7 nel suo libro Naturalism and the First-Person Perspective. Nella sua argomentazione lei distingue tra una prospettiva in prima persona di primo ordine o prospettiva “rudimentale”, comune a molti animali, e una prospettiva di ordine superiore o “robusta”, che è unica per gli esseri umani. Quest’ultima prospettiva significa che un individuo può “distinguersi dagli elementi nell’ambiente”, cioè può riferirsi a sé stesso e concepire sé stesso e, di conseguenza e in un certo modo, è autocosciente. Ciò richiede un linguaggio, che i pesci chiaramente non hanno. La prospettiva in prima persona rudimentale, invece, è la capacità di provare sensazioni, come “annusare un odore acre o sentire un fischio acuto”. Un soggetto con questa prospettiva richiede solo che ciò sia l’origine nel tempo e nello spazio della sua percezione dell’ambiente. Le prove comportamentali, ricavate nella ricerca sperimentale, documenterebbero l’esistenza della rudimentale prospettiva in prima persona nei pesci.

Facciamo alcuni esempi. Il pesce rosso e la pinna rossa possono essere ingannati con illusioni ottiche, il che suggerisce circuiti neurali più complicati del previsto. Infatti, questi pesci completano le assenze ottiche, possibilmente basati su precedenti esperienze. Molte specie possono, letteralmente, ricordare la mano umana che in circostanze di laboratorio le nutre ed alcune hanno, effettivamente, una buona memoria “del luogo e del tempo”, nuotando fino alla fine dell’acquario in un determinato momento in cui si aspettano di essere nutrite. Ci sono alcuni pesci con eccellenti memorie spaziali e a lungo termine; i ghiozzi sembrano in grado di ricordare rotte complicate per quasi 40 giorni. Diverse specie, in particolare i guppy, possono riconoscere altri pesci individuali, il che è la prova di un impegno sociale complesso. Ma la ragione più significativa che abbiamo per la rudimentale prospettiva in prima persona nel pesce è il test dello specchio.

Il pesce e il test dello specchio

In effetti, nel 1970, Gordon Gallup ha fornito le documentazioni che suggerivano che gli scimpanzé potevano riconoscersi in uno specchio. Nel corso dei cinque decenni successivi a questa pubblicazione, la capacità di un animale di superare il test dello specchio è stata interpretata nel senso che ha “consapevolezza di sé”. Solo poche specie di animali non umani hanno superato il test. Queste includono scimpanzé, oranghi, elefanti, delfini e gazze. Di fatto, si ritiene che la capacità di superare il test dello specchio richieda un livello di sviluppo cerebrale e capacità cognitiva non disponibile per i pesci.

Tuttavia, l’anno scorso, nel 2019, il biologo giapponese Masanori Kohda8 e i suoi colleghi hanno documentato che anche il più semplici dei pesci labri (o pulitori) poteva superare il test dello specchio. Ad eccezione di essere condotti in una vasca d’acqua, i metodi degli esperimenti erano gli stessi di quelli usati per gli altri animali che lo avevano superato. Il pesce di prova è stato prima messo in una vasca con uno specchio coperto per diversi giorni. Successivamente lo specchio fu scoperto e il tipo e il numero di risposte che il pesce eseguì nei suoi confronti furono registrati. Ciò ha fornito un profilo “di base” dei comportamenti suscitati dalla presenza dello specchio.

Quando un pesce veniva introdotto per la prima volta all’esperienza dello specchio, attraversava le tre fasi di comportamento, le stesse tre fasi, infatti, che vengono spesso riportate per i mammiferi e gli uccelli che superano la prova. In primo luogo, le reazioni sociali, come l’aggressività, erano dirette verso lo specchio. Questo porta a ipotizzare che il pesce presumesse, probabilmente, che il riflesso fosse un estraneo, o un rivale, qualcuno che aveva bisogno di essere cacciato via con una dimostrazione di forza (in questo caso “lotta con la bocca”). Il “rivale”, cioè la sua immagine riflessa, tuttavia, non si sarebbe fatto scoraggiare, di conseguenza, il pesce ha provato un’altra tattica. Nella fase due, il pesce eseguiva ripetutamente strane prestazioni che sono raramente, se non mai, osservate in assenza di uno specchio, come nuotare sottosopra verso di esso. Questi comportamenti sono stati interpretati per indicare che il pesce stava testando la relazione tra il suo senso interno di posizione del proprio corpo e la posizione dell’oggetto che percepiva nello specchio. Nella fase finale, il pesce “osservava” ed “esaminava” il suo riflesso senza un comportamento aggressivo o di prova dello specchio. Stava prendendo in considerazione il panorama.

In seguito, il pesce in prova veniva anestetizzato e un segno è stato collocato ad un lato della sua testa o nella zona della sua gola, luoghi che non potevano essere visti senza lo specchio. Il pesce ha risposto ai segni in due modi. Assunse posture che gli avrebbero permesso di vedere il segno e, poi, strofinarsi la parte segnata del suo corpo su una superficie. Lo sfregamento non si è verificato in assenza dei segni. Ancora una volta, questi comportamenti sono tutti sorprendentemente simili a quelli mostrati da altri animali che hanno superato il test. Non ci sono buone ragioni per presumere che il pesce labro pulitore non abbia superato il test dello specchio.

Cosa significa questo? Come Thomas Nagel ha notato in relazione alla coscienza fenomenica nei pipistrelli, non possiamo sapere quale sia l’esperienza soggettiva del pesce labro pulitore ma, anche con questa limitazione della nostra conoscenza, sembra non plausibile che si riconoscano allo specchio nello stesso modo in cui lo fanno gli umani. Vale a dire, probabilmente non hanno un’”autocoscienza” nel senso in cui la pensa Baker, ovverosia non possono riferirsi a sé stessi come “questo particolare pesce labro”. Tuttavia, i risultati dell’esperimento di Kohda suggeriscono che i pesci pulitori sono in grado di sintetizzare la rappresentazione di schemi di input sensoriali visivi dall’oggetto che si muove nello specchio con la sensazione del proprio corpo che si muove attraverso lo spazio. Inoltre, il comportamento del pesce indica che questa sintesi è disponibile per una selezione di azioni che mettono in relazione il segno osservato nello specchio con la sua posizione sulla superficie del corpo del pesce. Questo comportamento costituirebbe la prova che i pesci labri pulitori hanno una prospettiva rudimentale in prima persona e sono capaci di uno stato mentale senziente non concettuale.

Il superamento del test dello specchio fornisce un’illustrazione che, quando osserviamo i pesci che si comportano in modi associati alla senzienza negli esseri umani, è razionale dedurre che anche i pesci siano senzienti. E, come notato con gli esempi accennati, ci sono dozzine di studi comportamentali che integrano quest’illustrazione. Il test dello specchio non è una stranezza o un’eccezione. Pertanto, la prima parte dell’argomentazione avanzata da coloro che negano la senzienza al pesce – che tutti i comportamenti dei pesci siano risposte automatiche inconsce all’ambiente – sarebbe, stando a Woodruff, sbagliata. Infatti, lui si spinge a sostenere che ci sia una vita interiore nel pesce, anche se è molto più rudimentale della nostra.

E cosa dire della seconda parte della loro argomentazione, ossia la parte costruita sulla premessa che la senzienza richieda una neocorteccia (così come le sue interconnessioni tra più aree neocorticali, il talamo e le connessioni tra il talamo e la neocorteccia). Questo sembra, certamente, essere vero per la senzienza negli esseri umani. Ma questo comprende l’unico modo possibile per formare la complessità neuroanatomica richiesta per la senzienza in altre specie di animali? Woodruff non lo crede, sostenendo che anche questa parte dell’argomentazione contro la senzienza del pesce sia sbagliata. Dalla sua prospettiva, tale argomento ignorerebbe ampie prove che la struttura del cervello e le relazioni tra le funzioni cerebrali cambino a seconda della diversa posizione nell’albero evolutivo. Le funzioni che potrebbero richiedere la neocorteccia e le sue connessioni nei mammiferi non hanno necessariamente questo requisito in altri phyla9. Ad esempio, sebbene gli uccelli non abbiano una neocorteccia, è comunemente accettato10 che lo strato più esterno del loro cervello, l’hyperpallium, supporti la loro senzienza.

Il paradigma scientifico suggerirebbe la prerogativa di una senzienza minimale anche nei pesci

Nonostante le controversie inevitabili tra i punti di vista che sostengono o negano la senzienza dei pesci e, di conseguenza, che supportano o confutano la questione dell’impegno morale nei confronti dei pesci, dai lavori di Woodruff e da altri ricercatori si potrebbe ricavare un paradigma scientifico a suggerirebbe la condizione di senziente dei pesci. L’emergere della senzienza nei pesci inizierebbe con il tetto ottico,11 che costituisce una delle parti più grandi del loro cervello. Il tetto ottico o collicolo riceve input sensoriali da tutte le modalità tranne l’olfatto (i pesci hanno un forte senso dell’olfatto). L’input olfattivo va direttamente al cervello del pesce. La struttura neuroanatomica del tetto ottico gli consente di produrre rappresentazioni qualitative e topografiche dell’ambiente per ciascuna modalità sensoriale separata. Successivamente integra queste rappresentazioni e, attraverso le sue connessioni alle aree motorie del tronco cerebrale, provoca un comportamento adattivo sofisticato indirizzato come risposta allo stimolo. Ad esempio, il tetto ottico del pesce è responsabile della codifica spaziale egocentrica e della memoria. Tale codifica spaziale utilizza la posizione dell’oggetto rispetto al corpo del soggetto ed è un modo in cui un pesce naviga nel suo ambiente. Poiché la codifica egocentrica si basa su relazioni sé-oggetto, richiede una prospettiva soggettiva in prima persona rudimentale ed è, quindi, un requisito preliminare per l’emergere della senzienza.

I pesci usano anche la codifica spaziale allocentrica e la memoria per navigare  nel loro ambiente. Tale codifica si basa sulle relazioni fisiche degli oggetti nell’ambiente tra loro, indipendentemente dalla posizione del soggetto in relazione a quegli oggetti (la codifica spaziale “egocentrica” dipende dalla posizione del soggetto). Quindi, la memoria spaziale allocentrica rappresenta una “mappa cognitiva” dell’ambiente, che può guidare un pesce indipendentemente dalla posizione del suo corpo rispetto agli oggetti nella mappa. Consente una maggiore flessibilità di navigazione rispetto alla memoria spaziale egocentrica e la sua presenza è stata considerata un indicatore dell’emergere della senzienza dai neuroscienziati cognitivi Anil Seth, Bernard Baars e David Edelman nel 2005. La memoria spaziale allocentrica consente ai pesci di fare cose impressionanti, come effettuare migrazioni molto lontane, riconoscere il proprio territorio e trovare la via di “casa” dopo essersi perse. Inoltre, questa codifica spaziale dipende da strutture situate “più in alto” nel cervello del pesce rispetto al tetto ottico. Queste strutture sono il complesso pre-glomerulare e la struttura più alta del proencefalo chiamata pallio.

In realtà, non c’è controversia sul fatto che il pallio dei pesci sia anatomicamente meno complesso della neocorteccia dei mammiferi. Lo è, ma ciò non significa che manchi di complessità adeguata a partecipare a una rete neurale che produce in ogni modo stati senzienti. Anatomicamente, il pallio del pesce non è omogeneo. Ha sette divisioni distinte, basate su differenze strutturali nella disposizione dei neuroni trovati al loro interno e, proprio come le divisioni della neocorteccia dei mammiferi, sono interconnesse. Di fatto, sia i neuroni eccitatori che quelli inibitori interconnettono le divisioni del pallio del pesce. I neuroni eccitatori supportano siano i feed-forward che i feedback positivi tra le aree palliali, mentre i neuroni inibitori consentono la stabilizzazione temporale e l’affinamento spaziale dell’attività neuronale. Inoltre, come nel caso della neocorteccia dei mammiferi, il pallio del pesce riceve diverse modalità di input sensoriali qualitativamente differenti e le diverse modalità sono segregate nel pallio. Infine, il pallio riceve input aspecifici dai sistemi modulatori colinergici, dopaminergici, GABAergici, serotoninergici e noradrenergici. Questi sistemi di neurotrasmettitori sono associati alla modulazione dell’eccitazione e del tono delle sensazioni, un’ulteriore verifica neurologica di un tipo minimo di senzienza che implica che i pesci possono provare dolore.

Ma qual è la situazione per quanto riguarda il talamo? Per noi umani, questa parte del cervello è cruciale per la nostra senzienza in quanto funge da canale per segnali sensoriali di ogni tipo, compreso il dolore. Sebbene il cervello del pesce abbia un talamo con connessioni al pallio, a differenza della neocorteccia dei mammiferi, il talamo non è la principale fonte di input sensoriali in modalità specifica per il pallio. Questo ruolo spetta al complesso pre-glomerulare che riceve l’input di modalità specifiche attraverso le sue connessioni con il tetto ottico ed elabora questo input prima di trasmetterlo al pallio. Nell’esempio specifico della codifica spaziale, la registrazione dell’attività elettrica delle cellule nervose nel complesso pre-glomerulare indica che una delle cose che fa con l’input del tetto ottico è iniziare una trasformazione dalla rappresentazione egocentrica dello spazio alla rappresentazione allocentrica – il salto cruciale verso un comportamento complesso. Diversi esperimenti  indicano che questa trasformazione è completata nel pallio.

Logicamente, se un’area del cervello supporta una funzione, l’attività dei neuroni in quell’area dovrebbe essere correlata alla presenza di quella funzione e la distruzione di quell’area dovrebbe interromperne le prestazioni. I neuroni nella divisione laterale dorsale del pallio dei pesci mostrano un aumento dell’attività elettrica e metabolica che si correla in modo univoco con luoghi specifici nell’ambiente di un pesce. Questa correlazione è simile a quella della relazione  tra l’attività dei neuroni nell’ippocampo allocorticale dei mammiferi e nelle regioni neocorticali adiacenti e la posizione di quell’animale nel suo ambiente. Inoltre, la rimozione di questa divisione palliale impedisce l’elaborazione spaziale allocentrica, mentre la rimozione di un’area immediatamente adiacente ad essa non ha alcun effetto su questa capacità. Questi fatti collegano un indicatore comportamentale della senzienza ad una specifica divisione anatomica del pallio del pesce. Sebbene la relazione tra molti altri comportamenti generalmente associati alla senzienza – come il superamento del test dello specchio – e le strutture e le funzioni cerebrali che li supportano sia carente o meno definitiva, questa connessione fornisce un forte supporto alla proposta che i comportamenti dei pesci stessi siano validi indicatori di senzienza.

Malgrado le evidenze i pesci dovranno nuotare a lungo controcorrente per raggiungere lo status dell’altro

Di conseguenza, tornando alla domanda iniziale se si possa ritenere che i pesci abbiano volto, si può utilizzare l’elenco di considerazioni accennate basato sulla ricerca in materia per rispondere affermativamente, anche se non si è un bambino di 7 anni. Ammettere il “volto dell’altro” in un animale aumenta la probabilità che avremo un rapporto speciale con quell’animale, il che gli conferisce uno status nella nostra comunità morale. I pesci dovranno nuotare a lungo controcorrente per raggiungere un tale riconoscimento. Raramente sono considerati carini, certamente non coccolosi, e non sembrano comportarsi affatto come noi. Quindi, mancano di molte caratteristiche subliminali che aiutano, diciamo, i cani a raggiungere la posizione di “un volto altrui” così facilmente. Le nostre predisposizioni umane rendono molto più probabile che troveremo la “presenza vivente”, vale a dire il volto di un altro, nei nostri amici più vecchi, cioè nei cani anziché nei pesci.

Ma questo non significa che i pesci non siano esseri senzienti con un punto di vista rudimentale di esperienza di sé in prima persona. Sarebbe difficile negare che quando vediamo le branchie ansimanti di un pesce che espira su un molo, ci sia qualcosa che sembra essere quel pesce, che è senziente e che probabilmente prova dolore e soffre. È un piccolo passo, ma che possiamo – anzi, dobbiamo – prendere gli umani come forse gli unici esseri eticamente responsabili (benedetti o forse maledetti), con una coscienza di ordine superiore e una solida prospettiva di esperire la realtà con una coscienza in prima persona. Per cui tra le cose da fare per il prossimo anno  si potrebbe provare a cercare il volto dell’altro nel pesce, anche se può essere difficile da vedere. Per arrivarci occorre, a quanto pare, rifondare tutte le nostre idee sulla vita e su noi umani. Aprire gli occhi e riconoscere l’Altro ci costringe a porre limiti alle nostre allucinazioni emotive che fanno di noi animali sofisticatamente indifferenti alle famiglie altrui e istituzionalmente voraci.

______________Note _________________

1 Professore emerito di scienze biomediche e ricercatore nell’ambito delle neuroscienze cognitive e della filosofia della mente.

2 Mark Coeckelbergh & David J. Gunkel. Facing animals: A relational, other-oriented approach to moral standing. In “Journal of Agriculture and Environmental Ethics”, 27 (4): 715-733, 2004

3 Brock Bastian, Steve Loughnan, Nick Haslam, Helena R. M. Radke. Don’t mind meat? The denial of mind to animals used for human consumption. In “Personality and Social Psychology Bulletin”, 38 (2): 247-56, Feb. 2017

4 Barbara J. King. The fish on your plate. In “Aeon”, 19 July, 2017

5 Kristin Andrews. The Animal Mind: An Introduction to the Philosophy of Animal Cognition. Routledge, 2014

6 Michael L. Woodruff. The fish in the creek is sentient, even if I can’t speak with it. In “Trans/Form/Ação Vol. 41 no.spe Marília 2018

7 Lynne Rudder Baker. Naturalism and the First-Person Perspective. Oxford University Press, 2013

8 Masanori KohdaI, Takashi HottaI, Tomohiro Takeyama, Satoshi Awata, Hirokazu Tanaka, Jun-ya Asai, Alex L. Jordan. If a fish can pass the mark test, what are the implications for consciousness and self-awareness testing in animals? In “PLOS Biology”, pp: 1-17, February 7, 2019

9 Nella classificazione zoologica e botanica, la più alta categoria sistematica dei regni animale e vegetale, che corrisponde al tipo animale. 

10 David B. Edelman, Anil K. Seth. Animal consciousness: a synthetic approach. In “Trends in Neurosciences”, Vol. 32, Issue 9, pp: 476-484, Sept 2009

11 Collicolo / tetto ottico superiore costituisce un componente importante del mesencefalo. Si tratta di una struttura a strati, con un numero di strati che varia da specie. Gli strati possono essere raggruppati in strati superficiali (strato opticum e superiore) e gli strati più profondi (i rimanenti strati).

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