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27 Dicembre, 2025

Byung-Chul Han: Eros in agonia

L’amore e il “soggetto contemporaneo”

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 56 • Dicembre 2025

Vita erotica e neocapitalismo: agente necrotizzante a detrimento di Eros

Il filosofo d’origini sudcoreane Byung-Chul Han nel suo saggio, Eros in agonia,1 descrive come l’individualismo contemporaneo, esito del neo-capitalismo globalizzato, funga da agente necrotizzante a detrimento dell’Eros e dell’amore. Per il pensiero ordinario, queste asserzioni non avrebbero alcun senso, in quanto l’eros e l’amore appartengono ad una presunta sfera privata dell’individuo, costituendo una questione che niente avrebbe a che vedere né con l’economia né con la società in cui viviamo.

Dunque, per chi non è allenato in materia, bisognerebbe evidenziare che Byung-Chul Han, come Marcuse, Fromm, Habermas, Foucault, Derrida, Lacan, Slavoj Žižek e Giorgio Agamben, per citare solo alcuni, mette in relazione la vita erotica nostra con il neo-capitalismo. Così facendo, qualcuno potrebbe perfino pensare che, al riguardo, questo studioso sia, se non altro, bizzarro, colpevolizzando un’economia, per noi, alienati nello establishment, naturale, per la necrotizzazione dell’amore e di eros.

Senz’altro, il modo in cui uno studioso critico della cultura descrive la nostra quotidianità risulta talmente diversa da come ce l’immaginiamo noi che potremmo rimanere addirittura innervositi dalle sue considerazioni. Tuttavia, è difficile sostenere che sia solo un’opinione di Byung-Chul Han a considerare che l’uomo e la donna d’oggi, in transito verso il post-umano, asserviti alla ragione economica e reclusi nella dimensione digitale, tendono alla contabilizzazione e all’iperesposizione d’ogni elemento della propria esistenza. Si tratta invece di una realtà de facto.2

In tali circostanze, sostiene Han (e i tanti altri studiosi) accade che, ciò che sarebbe lo slancio esistenzialmente sovvertitore dell’amore non può adeguarsi alle omologanti esigenze consumistiche e voyeuristiche della contemporaneità.3 Infatti, secondo Byung-Chul Han, e non solo, la visione del mondo neo-capitalistico, confacente al principio di prestazione, prevede l’addomesticazione e la manipolazione della forza liberatoria dell’eros.

Senz’altro, ogni organizzazione socio-economica di una determinata popolazione si struttura e perdura mediante l’esercizio del potere. Per questo, i meccanismi posti in essere, sia come modo di fare denaro sia come stile di vita, sono funzionali alla preservazione dello status quo nella prospettiva del lavoro e dell’ideologia di una civiltà condivisa.4 Proprio per questo, uno degli aspetti rilevanti della struttura del potere, è la gestione e il controllo della sfera corporea e riproduttiva e, quindi, la normativizzazione e il disciplinamento della fantasia libidica e, in generale, della sessualità.5 Senz’altro la nostra adesione al modus operandi e al modus vivendi della società, è qualcosa che, in effetti, accade a nostra insaputa, quasi secondo natura

Dunque, da questa prospettiva critica della comprensione del fenomeno vitale, essendo l’energia della pulsione sessuale identificata come minacciosa per l’ordine costituito, essa va ricondotta al principio della prestazione produttivistica: le energie vengono convogliate, esclusivamente, nel rapporto d’immediatezza corporea, cioè del mero sfruttamento (o sfregamento) genitale. Così, stando a Han e tanti altri studiosi della materia come Marcuse, Fromm, Habermas, Foucault, Derrida, Lacan, lo sloveno Slavoj Žižek e l’italiano Giorgio Agamben per citarne il minimo, nella civiltà odierna sarebbe in atto una surrettizia manipolazione della sessualità, attraverso l’incitamento a goderne ad libitum (a piacere) però nella sua riduzione a pura genitalità.

Al presente, sostengono questi pensatori, la società liberalizza e si serve della brama sessuale, maneggiata a scopo prettamente utilitaristico, cioè tutte le tendenze erotiche devono esaltarsi nella mercificazione. Sarebbe proprio in questo incanalamento, sostiene Han,6 dove si dispiega l’auto-perpetuantesi dominio reale del capitale: il corpo non può essere amato ma solo consumato!

Pertanto, secondo Han (e gli altri) da tale potenzialmente infinita offerta di corpi ne scaturisce la crisi totale dell’eros. In tale canalizzazione utilitaristica della pulsione sessuale tutto l’eros viene omogeneizzato in quanto oggetto del consumo. L’uomo odierno sarebbe alla stregua d’una macchina, infatti deve vivere un’esistenza appianata e funzionale, due sono le possibilità: o è efficiente o è guasto! Perciò, il corpo diviene un oggetto funzionale da ottimizzare costantemente, venendosi a creare così mere differenze commutabili e consumabili. Così, in quest’inferno dell’uguale, non avviene, davvero, alcuna esperienza erotica bensì solo una crescente trasformazione narcisistica del sé e un’irrefrenabile erosione e sessualizzazione feticistica dell’Altro.

L’inabissamento dell’individuo sino a un vero e proprio annegamento psichico.

Dunque, l’espulsione dell’Altro mette in moto un uguale tipo di processo distruttivo, quello cioè dell’auto-distruzione. Sotto questo aspetto, sostiene Han,7 vale in generale la dialettica della violenza: un sistema che non riconosce l’alterità dell’Altro sviluppa tratti auto-distruttivi.

Nel saggio in questione Eros in agonia viene descritta una società sempre più narcisistica in cui sia l’uomo sia la donna investe la libido, primariamente, verso la propria soggettività e, di conseguenza, ne deriva un’evidente incapacità di riconoscere l’Altro e di accettarne l’Alterità. Dunque, per l’uomo e la donna del neo-capitalismo avrebbe senso, unicamente, ciò in cui può riconoscere il proprio ego, però l’effetto infausto che si scatena è l’inabissamento dell’individuo nell’ombra di sé, sino a un vero e proprio annegamento psichico. In tali circostanze, la libertà illimitata del consumo si rovescia in una vita emotiva ripiegata, narcisisticamente, su sé stessa, assolutamente restia all’incontro con l’alterità dell’Altro. Non a caso Byung-Chul Han ritiene tale soggetto narcisistico-depressivo, profondamente logorato da sé stesso e, in virtù di ciò, senza mondo e completamente abbandonato dall’Altro. Dunque, l’homo oeconomicus oberato dal paradigma della prestazione e del profitto soggiace, inevitabilmente, ad un esaurimento e ad una depressione dovuti alla positivizzazione assoluta del sé commerciale, del lavoro e della competitività.

In un contesto globalizzato, sostiene Han, tale ideologia di positività produce una dissoluzione di tutti i limiti umani nell’iper-produzione indistinta di informazioni, immagini e merci, ragion per cui la mitologia aziendale e la pornografia emotivo-individualistica hanno fatto sì che proliferassero modelli imitanti e irraggiungibili d’efficienza, di auto-realizzazione e di benessere. Le immagini identificative dell’essere umano perfettibile del capitalismo manageriale sono invadenti e propongono alla persona che ne accetta la disciplina un progetto che non mira ad altro che alla sua felicità mentre lo immette in un vortice di compulsiva ricerca di soddisfazione e di scacco cognitivo.

Tuttavia, in realtà, la vita è scandita, senza sosta, dal rintocco della triste certezza d’essere inadeguati e dall’annichilimento del desiderio. In questo modo, si evidenzia l’irriducibile distanza che separa il singolo dalla norma dominante. La spinta vitale del soggetto auto-alienato è totalmente subordinata al principio di prestazione. Difatti, la generale precarietà esistenziale e tutte le altre contraddizioni dell’attuale civiltà vengono ascritte esclusivamente alla sfera soggettiva: il tracollo della dimensione sociale-politica viene traslato a danno della dimensione psicologica-individuale. E non ci vogliono citazioni eccellenti al riguardo per rendercene conto.

Ognuno è solo con sé stesso, con il proprio dolore, con le proprie angosce: la sofferenza è privatizzata e resa individuale. Si smarrisce la dimensione sociale della sofferenza e il potere politico, alimentando la colpevolizzazione dell’individuo, impedisce la politicizzazione del dolore, ossia la possibilità di tradurre il privato in lotta pubblica.

Ragion per cui il filosofo sudcoreano evidenzia il processo di degradazione dell’Altro, ridotto a specchio d’un soggetto imprenditore di sé ormai avvinto in costanti pratiche di auto-ottimizzazione che sfociano in una libertà costrittiva secondo la quale egli sfrutta sé stesso, inconsapevole della sua stessa schiavitù. Si verifica, così, ciò che Han8 segnala come una costante negazione della propria realtà in nome di un dover essere. Il soggetto d’oggi atomizzato è non solo atrofizzato a causa dell’ansia d’identità e della patologia dell’insufficienza, bensì è relegato alla passività assoluta nella dispersione tra le cose e i simulacri.

Tale condizione è principio e motore di un’iper-attività costante, convulsa e stereotipata, la quale è per, l’appunto, l’opposto di un’attività pensante. L’iper-attività, in tal senso, infatti, si capovolge in pura passività e saturazione, in una mera reazione impulsiva agli stimoli esterni.

Dunque, la rapsodicità o frammentazione non organica e accelerata del tempo, l’iperestesia o eccessiva sensibilità agli stimoli, sia tattili, termici che dolorifici che in pratica sarebbero appena percepiti o non causerebbero dolore, vengono avvertiti in modo intensificato, spesso accompagnati da fastidio o dolore e l’iper-connessione non consente nessuna sospensione temporale né contemplazione. Una tale celerità svilisce i sentimenti e le emozioni, le quali necessitano, per l’appunto, di un loro tempo fisiologico ma soprattutto di una tensione dialettica per essere elaborate ed espresse, come sottolinea Han.9 In tal modo, gli impulsi interni cedono, continuamente, alla reazione rispetto agli stimoli esterni, seguendone l’emergere e il dissolversi. E questa frenesia palesa, tragicamente, una dipendenza passiva rispetto all’esterno nel tentativo paranoico di visionare tutto, di divorare tutto, di non lasciarsi sfuggire alcunché.

Allora cosa succederebbe con l’amore da noi tanto celebrato in questa smania. A riguardo, Han nota che in un tale regime super edonistico, che si avviluppa mediante un presente nevrotico e puntiforme, l’amore viene positivizzato in una formula per l’eccitazione e per il godimento, spogliata d’ogni alterità. La considerazione di Han su questa formulazione dell’amore è che il capitalismo, necessariamente, estirpa, ovunque, l’alterità pur di sottomettere qualsiasi cosa all’indifferenziazione, all’immanenza radicale, al consumo e al calcolo edonistico.

Mutazione antropologica e colonizzazione del desiderio

So che difficilmente, a primo acchito, qualcuno di noi possa riconoscersi nella precedente descrizione ma a ben vedere le cose stanno oggi cosi. Pertanto, la trasformazione pornografica del mondo si concretizza, paradossalmente e tristemente, in quanto profanazione feticistica del mondo medesimo e dell’inconscio collettivo. In effetti, stando a Byung-Chul Han, il capitalismo, soggiogando ogni cosa all’iper-esposizione e alla spettacolarizzazione, annienta la sessualità profanando, feticisticamente, l’eros nel porno.

In questo senso, afferma Han che i nuovi mezzi di comunicazione non mettono le ali alla fantasia. La loro alta densità informazionale, soprattutto quella visiva, piuttosto la reprimerebbe. L’iper-visibilità non sarebbe utile alla forza immaginativa. In questo modo, il porno, che massimizza, per così dire, l’informazione visiva, distruggerebbe la fantasia erotica. E di tale fenomeno siamo, en passant, messi al corrente attraverso i media del mainstream e anche della sua scienza, ma solo di sfuggita.

Il sé,10 totalità, in grado di soddisfare le condizioni per una ripresa del movimento evolutivo dell’individuazione, arrestato dalla nevrosi conseguente a un irrigidimento delle istanze dell’Io, rispetto ai bisogni individuativi del sé del singolo uomo d’oggi, postmoderno in transito al postumano per via del neoliberismo, percepisce, in misura crescente, i propri desideri e sentimenti in proporzione all’impatto che le immagini mediali del mercato dei beni di consumo e della cultura di massa hanno sulla sua facoltà immaginativa. Questo presuppone che l’apparente emancipazione sessuale illude la società e i suoi individui, mentre, in realtà, mediante ciò si consolidano, e persino potenziano, le forme del dominio annunciatrici d’una vera e propria mutazione antropologica e colonizzazione del desiderio. Senz’altro, un’asserzione così delicata, come la colonizzazione del desiderio, dovrebbe preoccupare non solo le élite pensanti che si oppongono alle derive mainstream.

Senz’altro, puntualizza Han,11 in virtù di questo mutamento nel desiderio, l’iper-sessualizzazione dell’uomo e/o della donna d’oggi e l’incapacità nostra di costruire relazioni non fanno che riprodurre il dominio dell’uguale, vale a dire una biopolitica di mercificazione pornografica del corpo e consumo coatto. Tutto ciò rappresenta con immediatezza, e colpendo nel segno, il dominio dell’oggetto sul soggetto.

In fine, cosa vuole dire quanto fino ad ora enunciato? La risposta di Han è che assistiamo alla fenomenologia dell’Eros in agonia. E per capire questa dichiarazione dobbiamo ricordare che nella epistemologia di Han, l’eros non ridotto al coito richiede alterità, un altro o un’altra che non possiamo annettere. Dunque, dando credito a questi studiosi come Han, una società avversa all’alterità sarebbe diametralmente opposta alla voluttuosa non-economia dell’eros e della morte.

Nella loro interpretazione, ciò che è puramente positivo è privo di vita, sebbene la negatività, la conflittualità, la contraddittorietà siano essenziali per la vitalità. Perciò Han afferma che l’erotismo presuppone la dissoluzione dell’ordine simbolico e dell’individualità disciplinata e perciò la validità della morte (la negatività) sarebbe imprescindibile per l’esperienza erotica.

A questo riguardo afferma Bataille che dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte. Pertanto, da questa prospettiva di analisi, l’amore passa attraverso la morte: il soggetto muore nell’Altro ma a questa fine corrisponde un ritorno a sé; in ciò si concretizza o materializza il dono dell’Altro, puntualizza radicalmente Han.12 Ma un io positivizzato, come quello prevalente nella nostra società della produttività, diviene esaurito nel tentativo, sempre fallimentare, di produrre sé stesso oltre sé stesso, è incapace sia di guardare l’Altro, sia di ascoltarlo. Il nostro Io, proprio oggi, sarebbe un Io che ricade, continuamente, sfiancato, sfibrato all’interno di sé, al di qua del mondo, nelle proprie mura difensive costituite d’impotenza e di paura.

Secondo Byung-Chul Han, il web acutizza questo processo patologico, infatti nella rete d’influenza dell’iper-comunicazione tutto si mescola e l’impellenza del riconoscimento sociale costringe l’utente a trasformarsi in una merce di tendenza; perciò apparenza, assuefazione e simulazione sono aspetti inscindibili dell’universo virtuale. L’estrema facilità con cui è possibile creare prodotti autoreferenziali, grazie alle nuove tecnologie induce a uno smoderato culto della personalità e dell’autenticità. Ma la reduplicazione del sé in un alter ego digitale e le protratte interazioni online incorporano, al di là d’ogni suggestione, una condizione oggettiva di sudditanza, sopraffazione e angoscia.

Dunque, in una società capillarmente dominata dal consumo l’individuo, maschio o femmina che sia, ibridato con un Io digitale ritoccabile nella sua apparenza, tende a fuggire verso una consumazione ossessiva della propria immagine, con forme di negazione dell’alterità, affogando perfino la propria alterità, oppure la propria ombra, in vacui compiacimenti auto-referenziali per una folla anonima di voyeurs. In totale contrapposizione a questo darsi alla fuga nell’auto-referenzialità, l’eros rompe qualsivoglia isolamento, qualsivoglia relazione di natura commerciale o contabile, di potere e di simbolizzazione repressiva, cosicché rende effettivamente possibile un’esperienza dell’Altro nella sua alterità, liberando, de facto, il soggetto dal suo inferno narcisistico ed edu-castrato, come descrive Han i termini della questione.

A tal riguardo, si potrebbe citare l’asserzione dolorosa dell’attivista trans-femminista Bell Hooks che sostiene che il prezzo terribile che noi umani paghiamo per mantenere il potere è la perdita della capacità di dare e ricevere amore. In tal senso, Han afferma che per conoscere l’amore, bisogna rinunciare a ogni forma di potere. Una tale asserzione non può che lasciarci in uno stato di squallore e perciò tenderemmo a cancellare velocemente quanto Han vuole comunicarci.

L’essenza di Eros è la sua capacità di rottura con l’abituale

Per rendere comprensibile la sua osservazione e affermazione, Han fornisce un’interpretazione del significato di Melancholia, il capolavoro cinematografico del regista danese Lars von Trier. Stando al filosofo sudcoreano la pellicola narra dell’avvento di un’apocalisse che condurrebbe un soggetto melanconico a una vera e propria catarsi: il pianeta Melancholia in rotta di collisione con la Terra strappa la protagonista Justine dalla palude depressivo-narcisistica. Dal suo rifiuto angoscioso d’unirsi in matrimonio si deduce come l’impossibilità dell’amore sia il sintomo d’una profonda depressione, però è nel tentativo d’evadere dall’inferno dell’uguale che Justine, nuda sulle sponde rocciose del fiume, nel parossismo della propria voluttà s’abbandona dinanzi alla luce azzurra del pianeta mortifero. Lei brama ardentemente la collisione mortale. L’imminente catastrofe la rianima e la apre all’Altro. In questo rapporto tensivo tra amore e morte, tra apocalisse e redenzione, avviene la sua metamorfosi da soggetto depresso a soggetto amante. In ciò consiste la dialettica del disastro: la sventura si tramuta, inaspettatamente, in fortuna.

Pertanto, dall’analisi di Byung-Chul Han, come dagli studiosi della materia semplicemente nominati per fare alcuni nomi, si conosce che l’eros ha il potere di sconfiggere la depressioneL’amore infrange la cornice opprimente dell’uno, travalica la sua identità narcisistico-immaginaria e fa sì che il mondo risorga diversamente nel rapporto con l’Altro.

Per Han e gli studiosi critici dell’Eros nel neocapitalismo, l’Eros sarebbe la condizione di possibilità del pensiero stesso. È una fenomenologia dinamica vivente che pone le basi per la continua auto-trascendenza del soggetto e per l’impedimento della sua trasformazione narcisistica. Senza eros, il pensiero e l’agire perdono ogni vivacità, ogni pathos, ogni relazione dialogica con sé e con l’Altro, pertanto diviene tutto ripetitivo e cumulativo. Dunque, l’essenza di Eros è la sua capacità di rottura con l’abituale, con l’establishment, dando così vita all’inaspettato. Il soggetto che sprigiona la propria esperienza erotica e corporea diviene una nuova base simbolico-politica capace di porsi di fronte all’intera realtà in modo liberante, in un modo realmente emancipatorio. L’eros si manifesta, in quanto esperienza e divenire, come desiderio permanente e inedito.

Vi prego di scusarmi per quest’impavida argomentazione ma la vostra esistenza conta per il mio pensiero e questa è la bellezza di un’alterità desiderata e non-canonizzata.

 

 

  1. Byung-Chul Han. Eros in agonia. Editore Nottetempo, 9 maggio 2019.
  2. Ibidem
  3. Ibidem
  4. Ibidem
  5. Ibidem
  6. Ibidem
  7. Ibidem
  8. Ibidem
  9. Ibidem
  10. Lo psicologo analista svizzero Carl Gustav Jung definisce il sé (Selbst) come la totalità psichica rispetto a cui l’io, la nostra parte cosciente, è solo una piccola parte. Il sé come totalità è indescrivibile e non si può separare dall’immagine di un Dio creatore di un destino. Esso si presenta come una personalità superiore (re, eroe, profeta, Buddha, Cristo, eccetera) o con simboli di totalità (quadrato, cerchio, sfera, croce, mandala) rappresenta infatti una sintesi degli opposti e può apparire come l’unificazione dei contrari (come il tao). Jung ritiene che compito dell’attività analitica sia quella di istituire un rapporto gerarchico tra sé e io, tra la totalità e la parte, in grado di soddisfare le condizioni per una ripresa del movimento evolutivo che lui chiama “individuazione” e che era stato arrestato dalla nevrosi conseguente a un irrigidimento delle istanze dell’Io rispetto ai bisogni individuativi del sé.
  11. Byung-Chul Han. op. cit. 2019.
  12. Ibidem

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