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27 Gennaio, 2024

Il concetto di memoria cellulare

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XI • Numero 41 • Marzo 2022

L’ascesa in sordina del salutismo coercitivo

Occuparsi del concetto di memoria cellulare sembra tempo perso, specialmente in un periodo in cui una delle istituzioni del biopotere, la medicina, è stata promossa da ars medica a scienza,1 upgrading che meriterebbe imprescindibili riflessioni sulla fine della medicina umana e l’ascesa del salutismo coercitivo,2 per utilizzare il linguaggio del dibattito in voga all’inizio degli anni ’90 del secolo sorso. In ogni caso, bastano alcuni accenni al concetto di memoria cellulare per intuire la fragilità del più alto sviluppo del sapere a cui affidiamo la nostra salute e per porci importanti interrogativi riguardanti la vita che viviamo.

La “memoria cellulare” non sarebbe altro che l’archivio completo delle nostre esperienze vissute e di tutta l’informazione registrata. Stando a questa nozione, in ogni cellula troviamo l’informazione dell’impronta genetica, l’informazione congenita o ereditata e i dati acquisiti in ogni giorno della nostra vita. In questa ipotesi, ogni umano avrebbe, però, ugualmente, una memoria emozionale e una memoria o registro intellettuale. La neurobiologa Candance Pert3 ha dimostrato nel 1999 che i neuro peptidi (sostanze chimiche attivate e prodotte con le emozioni)4 sono “pensieri convertiti in materia”. Questo significa che le emozioni risiedono, fisicamente, nel corpo e si relazionano con i tessuti e le cellule. I neuro peptidi sono prodotti da tutte le cellule del corpo (non solamente da quelle cerebrali), da ciò ne deriva che “non si può separare la mente dal corpo”. Di conseguenza, le energie emozionali, generate dalle nostre esperienze di vita (positive o negative; interiori o esteriori), si convertono in materia biologica. Nella l’interpretazione di Pert, perfino i nostri pensieri sono energie che “viaggiano” nel nostro organismo attivando una reazione biologica e vengono immagazzinati nella memoria cellulare. In questo paradigma, l’informazione “cosciente”, quello che sappiamo di noi stessi, è solo la parte visibile di un grande iceberg. L’informazione “non cosciente” costituisce la parte invisibile, sommersa ed è molto più ampia ed è lì che, effettivamente, si trovano i modelli non coscienti della nostra condotta involutiva e improduttiva. Da tutta questa informazione non cosciente, derivano i modelli di condotta automatica che ci impediscono essere/stare in pace con noi stessi e con la vita, e ci ostacolano nel condurre la nostra vita in modo meno condizionato dal biopotere e dalla sua cultura e dalle sue istituzioni. La memoria cellulare, in altre parole, consiste, addirittura, in tutto quello che resta registrato dentro l’ologramma cellulare. Le nostre cellule registrano l’informazione genetica familiare e gli eventi della propria vita nonché ciò che già “portiamo” con noi al momento della nascita. Per di più, ogni pensiero, parola, fatto che produciamo ha una correlazione con il corpo fisico, una risposta che viene registrata nelle cellule come memoria. Nonostante questi singoli e speditissimi accenni alla complessità della vita umana e all’identità tra “corpo” e “mente”, nella cultura convenzionale si vive nella convinzione che la memoria risieda nell’esclusivo quartiere “cervello”. C’è, però, una domanda che emerge nel mondo della ricerca contemporanea, in particolare dagli studi dello psichiatra e accademico Thomas R Verny,5 che potrebbe incrinare questa nostra solida visione della materia biologica come radicalmente distinta dalle nostre emozioni. Tale domanda diventa significativa in quanto Verny non rimane nella sua stanza da psichiatra per trovare un modo sperimentale di documentare la sua ipotesi della natura pienamente incarnata della vita mentale e va a rintracciare intuizioni nel mondo della ricerca sugli animali che subiscono potature massicce dei loro neuroni.

 

 

Come possono animali il cui cervello è stato drasticamente rimodellato ricordare i loro parenti, i loro traumi, le loro abilità?

Nella cultura e conoscenza convenzionali si dà per scontato che la memoria risieda nel cervello. Invero, basta consultare qualsiasi website della cultura mainstream e si trovano descrizioni che definiscono la memoria come funzione psichica e neurale di assimilazione, utilizzando dati sensibili provenienti dall’ambiente esterno, mediante fattori percettivi, quali gli organi di senso ed elaborazione di questi dati, specificamente attraverso la mente e il cervello, sotto forma di ricordi ed esperienze al fine dell’apprendimento, dello sviluppo dell’intelligenza e delle capacità cognitive, psichiche e fisiche dell’individuo. Si possono trovare, ugualmente, descrizioni che stabiliscono che la memoria sia presente, a livelli vari, in tutti gli animali, umani e non, aggiungendo che la sua importanza primaria stia nel fatto che non esiste alcun tipo di azione o condotta senza memoria, ad esempio nella condotta sociale, oppure nei fenomeni di rinforzo nell’apprendimento animale. In queste fonti INTERNET, come le vuole la cultura digitale odierna, si può valutare, inoltre, la memoria come una delle basi che rendono possibile la conoscenza umana e animale, proprio in virtù della capacità di apprendimento, assieme ad altre funzioni mentali, quali elaborazione, ragionamento, intuizione e coscienza. E, senz’altro, in queste fonti non c’è dubbio alcuno sul “fatto” che i ricordi siano conservati, primariamente, nella corteccia cerebrale e che il centro di controllo che generebbe il ricordo si trovi all’interno del cervello. La sala di comando della memoria è localizzata, in questo paradigma, appunto, nell’ippocampo e nella corteccia entorinale che lo circonda. Forse una delle descrizioni più avanguardiste riguardanti la memoria sarebbe quella che suggerisce che le nostre esperienze modificano le sinapsi (le connessioni fra neuroni) e queste alterazioni permanenti sarebbero responsabili della memoria. In pratica, quando accade qualcosa che in futuro ricorderemo, si genererebbe nel cervello un segnale elettrico che provoca variazioni chimiche e strutturali dei neuroni. Queste variazioni sarebbero possibili grazie a una catena di reazioni che coinvolge diverse molecole fra cui gli ioni di calcio6 e alcuni enzimi e neurotrofine, e il cui risultato finale sarebbe il potenziamento delle sinapsi stesse. Tutta questa conoscenza, convenzionalmente condivisa e incontrovertibile, però, può essere giudicata come relativamente compromessa se si accetta la domanda provocatoria di Thomas R. Verny, quando nel suo libro pubblicato lo scorso ottobre 2021, The embodied mind,7 si chiede come possano gli animali il cui cervello è stato rimodellato, drasticamente, ricordare ancora i loro parenti, i loro traumi, le loro abilità? Domanda, volta, parlando con onestà, alla ricerca di una migliore comprensione di eventi inspiegabili come la memoria cellulare, la coscienza e, infine, i nostri corpi stessi.

Certamente, non è Thomas R. Verny il primo a parlare del concetto di “memoria cellulare” ma la studiosa di neurologia Candance Pert.8 Il lavoro Verny, però, viene interpretato come sintesi rivoluzionaria che promette di cambiare la nostra comprensione della connessione mente-cervello e della sua relazione con i nostri corpi. A parere di Verny noi ancora comprendiamo il funzionamento del corpo umano come una serie di relazioni fisiologiche interdipendenti: i muscoli interagiscono con le ossa mentre il cuore risponde agli ormoni secreti dal cervello, fino al funzionamento interno di ogni cellula. Da questo si deduce che per far funzionare un organismo, nessun componente potrebbe funzionare da solo. Alla luce di ciò, però, perché è ancora accettata l’idea che il fenomeno fisico della mente sia attribuito solo al cervello? Infatti, in The Embodied Mind, Thomas R. Verny si propone di ridefinire il nostro concetto di mente e coscienza. Compila, brillantemente, nuove ricerche che indicano i legami della mente con ogni parte del corpo. The Embodied Mind raccoglie scoperte sperimentali disparate in fisiologia, genetica e fisica quantistica per illustrare le prove crescenti che le cellule somatiche, non solo le cellule neurali, immagazzinano la memoria, informano il codice genetico e si adattano ai cambiamenti ambientali – tutti comportamenti che contribuiscono alla mente e coscienza. La memoria cellulare, sostiene Verny, non è solo un’astrazione, ma un fatto scientifico ben documentato che cambierà la nostra comprensione della memoria. Verny descrive lavori sperimentali di organismi unicellulari senza cervello che dimostrano memoria e indica il caso straordinario di un francese che, nonostante abbia un cervello che misura solo una frazione delle dimensioni tipiche, conduce una vita normale con una famiglia e un lavoro. La mente incarnata nella materia biologica, sostiene Verny, mostra come l’intelligenza e la coscienza – tratti tradizionalmente attribuiti al solo cervello – permeano anche tutto il nostro essere. Le cellule e i tessuti del corpo utilizzano gli stessi meccanismi molecolari per la memoria del nostro cervello, rendendo la nostra mente più fluida e adattabile di quanto avremmo mai potuto immaginare. Nella sua visione, la mente umana è, evidentemente, più ampia del cervello, più grande persino del corpo. Nel suo affascinante libro,9 Verny ci porta in un viaggio nella natura pienamente incarnata della vita mentale, rivedendo la scienza all’avanguardia che rivela come il corpo risponde e codifica l’esperienza nella sua struttura e funzione. Ricco di entusiasmanti riassunti del supporto empirico per l’importante visione che i nostri sentimenti, pensieri e ricordi sono modellati da funzioni fisiologiche al di là di quelle del nostro cervello racchiuso nella testa, questo libro ci invita a “pensare fuori dagli schemi” e considerare il corpo più di un veicolo di trasporto per quello che siamo, ma piuttosto una parte di una storia molto più ampia di quanto precedentemente creduto dalle visioni scientifiche contemporanee della mente e del sé.

Stando a Thomas R Verny10, lui iniziò a esplorare il concetto di memoria cellulare, vale a dire l’idea che la memoria possa essere immagazzinata al di fuori del cervello, in tutte le cellule del corpo – dopo aver letto un articolo su Reuters intitolato “Tiny Brain No Obstacle to French Civil Servant” nel 2007.11 Tenendo conto dell’articolo, sembra che un francese, allora di 44 anni, fosse andato in ospedale lamentando una lieve debolezza alla gamba sinistra. I medici avrebbero appreso che il paziente aveva avuto uno shunt12 inserito nella sua testa per drenare l’idrocefalo – l’acqua nel cervello – da bambino. Lo shunt sarebbe stato rimosso quando aveva 14 anni. Quando si è presentato in ospedale avrebbero scansionato il suo cervello e avrebbero trovato un’enorme camera piena di liquido che occupava la maggior parte dello spazio nel suo cranio, lasciando poco più di un sottile strato di tessuto cerebrale reale. Il paziente, sposato e padre di due figli, lavorava come impiegato statale conducendo, apparentemente, una vita normale, nonostante avesse un cranio pieno di liquido spinale e pochissimo tessuto cerebrale.

Con grande sorpresa, Verny avrebbe realizzato che la letteratura medica elencava e descriveva un numero sorprendente di casi13 documentati di adulti a cui, da bambini, erano state asportate parti del cervello per curare la loro epilessia persistente. Dopo l’emisferectomia – in cui metà del cervello può essere rimossa per controllare le crisi epilettiche – la maggior parte dei bambini aveva mostrato, stando agli studi, non solo un miglioramento della loro capacità intellettuale e di socievolezza ma, perfino, della loro apparente conservazione della memoria, della personalità e del senso dell’umorismo. Allo stesso modo, gli adulti che avevano avuto emisferectomie godevano di un eccellente controllo delle crisi a lungo termine e di una maggiore occupabilità post-operatoria.

Se le persone prive di gran parte del loro cervello possono funzionare normalmente, o anche relativamente normalmente, allora doveva esistere, rifletteva Thomas Verny, una sorta di sistema di backup che entra in funzione quando il sistema principale va in crash. A quest’indagine lui dedicò i successivi anni della sua vita, studiando la letteratura medica e scientifica pertinente, alla ricerca di prove a sostegno della sua intuizione.

Nella sua ricostruzione e sintesi del processo che lo portò al concetto di memoria cellulare Verny14 segnala che, nell’ambito degli studiosi in materia, si fosse a lungo ipotizzato che una delle funzioni fondamentali del cervello fosse la sua capacità di immagazzinare ricordi, consentendo così agli animali, inclusi gli umani, di alterare il comportamento alla luce dell’esperienza passata. Tuttavia, Verny si domandava: se la sede di tutta la memoria fosse veramente il cervello, allora per garantire la stabilità a lungo termine delle informazioni archiviate, le cellule cerebrali e i loro circuiti dovrebbero rimanere stabili, come i libri sulla nostra libreria. Se qualcuno iniziasse a strappare pagine da questi libri, non solo i libri sarebbero gravemente danneggiati, ma avremmo perso per sempre il contenuto di questi libri.

Nel suo ragionamento Verny segnala una questione molto interessante, facendoci notare che animali come le planarie15 mostrano una notevole capacità di far ricrescere rapidamente nuove parti del corpo, compreso il cervello, ci pone, stando a Verny,16 una domanda affascinante: come possono persistere i ricordi fissi quando i corpi e persino il cervello non lo fanno? Gli animali che vanno in letargo e subiscono una potatura massiccia dei loro neuroni cerebrali durante i mesi freddi ci pongono di fronte a un problema simile. Perché, quando in primavera recuperano forze e salute, ritornano molti dei loro comportamenti precedentemente appresi?17 Lo stesso vale per animali in metamorfosi come la rana comune, che si sviluppa dopo che una larva diventa un girino. I bruchi, nel frattempo, attraversano cinque fasi di crescita. I ricordi formati in questi animali nei loro primi stati embrionali sopravvivono a un ampio rimodellamento dei loro corpi, compreso il loro cervello, ma Verny ci chiede: come?

Gli esperimenti del biologo Hall e colleghi

A causa delle loro capacità rigenerative, i platelminti planari, possono essere considerati come una delle sorprese della natura alla scienza. Dividere una planaria nel mezzo dà, rapidamente, origine a due piccoli vermi strabici che ti fissano. I vermi interi sono in grado di rigenerarsi da una piccola fetta del verme adulto in pochi giorni. La decapitazione porta allo sviluppo di due nuovi vermi. I biologi Hall, Zayas, Badylak e Names Sarfati18 sono riusciti a tagliare una planaria in 279 pezzi. Ogni minuscolo pezzo alla fine ha formato un verme completo in miniatura, che è cresciuto nel tempo fino a raggiungere le sue dimensioni normali fino a ¾ pollici, a seconda della specie e della disponibilità di cibo. Noti tra i platelminti che conducono vita libera.

Sequenza di decapitazione e rigenerazione del verme planare. Illustrazione di Bob Tadman

 

Certamente per uno che conosce un po’ la materia biologica e inevitabile porsi la domanda di come riescono questi platelminti planari a gestire un’impresa così incredibile. Alcuni anni fa, dei ricercatori hanno scoperto19 che una popolazione residente di cellule staminali adulte (neoblasti) consente a questi vermi di rigenerare qualsiasi parte del corpo dopo la rimozione chirurgica di quella parte. Tuttavia, per quanto importanti siano le cellule staminali, stando a Verny,20 non possono spiegare in modo esauriente la persistenza della memoria dopo che la testa di una planaria sia stata rimossa e il suo corpo abbia sviluppato una nuova testa.

La planaria21 è uno degli animali più semplici che vivono su questa Terra, con un piano corporeo di simmetria bilaterale e orientamento della testa. Il cervello di questi platelminti ha una struttura bilobata con una corteccia di cellule nervose e un nucleo di fibre nervose, incluse alcune che collegano i due emisferi. Molte caratteristiche strutturali dei neuroni planari, comprese le sinapsi, sono simili al cervello umano. Le planarie sono, quindi, un organismo particolarmente adatto per lo studio della memoria.22 E questa era la prova, a parere di Verny, che la memoria nei platelminti non è localizzata nella testa ma distribuita in tutto il corpo.23

Gli esperimenti dello psicologo sperimentale James McConnell e colleghi

Già negli anni ’50 e ’60, lo psicologo sperimentale James V McConnell e i colleghi dell’Università del Michigan avevano condotto studi24 utilizzando planarie per esplorare i processi di memoria. In una serie di esperimenti, le planarie furono addestrate a rispondere a determinati stimoli, luce e scosse elettriche. Quando le loro teste vennero tagliate e i loro corpi ebbero rigenerato una nuova testa, molti dei vermi rigenerati attestatarono, con le loro risposte, di ricordare il loro addestramento.25

Anatomia delle planarie. Illustrazione di © Sheri Amsel/Exploring Nature

 

In un’altra serie di esperimenti,26 le planarie condizionate ad associare un segnale luminoso con una spiacevole scossa elettrica sarebbero state macinate e date in pasto ad altre planarie. Questi vermi, cannibali, avrebbero imparato a rispondere allo stimolo luminoso (allontanandosi da esso) più velocemente del gruppo di controllo. McConnell lo interpretò come una prova che la memoria nei platelminti non era localizzata nella testa ma era distribuita in tutto il corpo dell’animale.

 

Gli esperimenti dei biologi Tal Shomrat e Michael Levin

Una parte significativa della comunità scientifica non si fidava di questi esperimenti, adducendo problemi con l’uso di controlli appropriati, pregiudizi dell’osservatore e altri motivi. Ma nel 2013, a più di 50 anni di esperimenti dello psicologo sperimentale McConnel, un gruppo guidato dai biologi Tal Shomrat e Michael Levin della Tufts University nel Massachusetts pubblica un documento27 che, sostanzialmente, supporta le ipotesi di McConnell e, secondo alcuni rapporti, avrebbe aperto una lattina completamente nuova di vermi.

L’articolo sul cambiamento di paradigma di Shomrat e Levin riportava i loro esperimenti sulle planarie della specie Dugesia japonica. I ricercatori diedero importante rilievo ad una particolarità nel comportamento di queste planarie: una volta abituate a un luogo familiare, si sarebbero predisposte per nutrirsi il più rapidamente possibile delle planarie che si trovassero in un nuovo ambiente. Inoltre le loro ricerche avrebbero verificato che questi vermi evitano, istintivamente, la luce.28

I ricercatori avevano un gruppo di planarie che vivevano in contenitori con un pavimento ruvido, mentre l’altro gruppo era alloggiato in una capsula di Petri29 dal pavimento liscio. Dopo alcuni giorni, i vermi sarebbero stati testati per vedere quanto facilmente avrebbero mangiato il fegato in un quadrante illuminato sul fondo di un piatto ruvido. Il monitoraggio video automatizzato e la successiva analisi al computer dei movimenti dei vermi avrebbero mostrato che il gruppo che aveva trascorso del tempo nei contenitori dal pavimento ruvido avrebbe superato l’avversione alla luce significativamente più rapidamente e avrebbe trascorso più tempo a nutrirsi nello spazio illuminato rispetto ai gruppi non familiarizzati.30

Entrambi i gruppi di vermi furono quindi decapitati. I loro corpi erano alloggiati in un ambiente dal pavimento liscio mentre le loro teste si rigeneravano. Circa due settimane dopo, i segmenti completamente rigenerati sono stati nuovamente testati. I vermi rigenerati dal gruppo familiarizzato erano leggermente, ma non significativamente, più veloci a nutrirsi nella parte illuminata del contenitore, dimostrando, in ogni modo, che conservavano il riconoscimento del legame tra questo tipo di superficie e un ambiente di alimentazione sicuro.

Tuttavia, i vermi non dimostrarono alcun comportamento appreso prima della ricrescita del cervello. Evidentemente, la planaria ha bisogno di possedere un cervello affinché il comportamento si verifichi. Il biologo giapponese Takeshi Inoue aveva ipotizzato31 che il nuovo cervello si rigenerasse come una tabula rasa e venisse, progressivamente, impresso dalle tracce della memoria precedente dal sistema nervoso periferico dei vermi (che sarebbe stato modificato durante la fase di addestramento). Il sistema nervoso periferico modificato riqualificherebbe il nuovo cervello in una breve sessione e questo risulterebbe sufficiente per ripristinare la memoria.32

Nel loro notevole articolo del 2013, Shomrat e Levin33 hanno suggerito che le tracce di memoria del comportamento appreso vengono conservate al di fuori del cervello. Ma piuttosto che presumere che ciò sia realizzato dal sistema nervoso periferico, ipotizzano che altri meccanismi, quelli che sono cablati e ricablati dall’esperienza, potrebbero essere coinvolti. Avrebbero indicato che tutti i principali meccanismi con cui funzionano i nervi, dai neurotrasmettitori alle sinapsi elettriche, esistono in tutte le cellule e nei tessuti del corpo, non solo nel cervello.

Gli esperimenti del cervello durante il letargo

Un altro periodo di grande riorganizzazione per il cervello è il letargo,34 uno stato di inattività e depressione metabolica negli animali a sangue caldo come scoiattoli, criceti, ricci, orsi polari e pipistrelli. Il letargo si verifica solitamente nei mesi invernali ed è caratterizzato da un abbassamento generale del tasso metabolico, della temperatura corporea, della respirazione e della frequenza cardiaca. Il letargo può durare diversi giorni, settimane o mesi, a seconda della specie.35

Un buon esempio di mammifero in letargo è lo scoiattolo di terra artico. Ogni settembre in Alaska, Canada e Siberia, questi scoiattoli si ritirano in tane a più di un metro sotto la tundra, si rannicchiano in nidi costruiti con erba, licheni e peli di caribù e iniziano a ibernare. La loro temperatura corporea interna precipita, scendendo al di sotto del punto di congelamento dell’acqua. Il letargo devasta il sistema nervoso centrale di questi animali. I loro neuroni si restringono e migliaia se non milioni di connessioni vitali tra le cellule cerebrali si riducono. Si verifica ciò che potrebbe essere descritto come un’ampia potatura di aree necessarie per la memoria a lungo termine come l’ippocampo. Dopo il recupero, la maggior parte degli animali in letargo, incluso lo scoiattolo terrestre europeo, dimostra una memoria intatta attraverso il riconoscimento dei parenti, l’identificazione di animali familiari rispetto a quelli non familiari e il mantenimento di compiti addestrati, come riportano nel 2001 i ricercatori Millesi, Prossinger, Dittami e Fieder nel loro lavoro Hibernation effects on memory in European ground squirrels.36

 

In questo studio sugli effetti dell’ibernazione sulla memoria degli animali, gli scoiattoli di terra furono addestrati in estate per svolgere con successo due compiti: un compito di memoria spaziale in un labirinto e ottenere cibo da una macchina per l’alimentazione. In primavera si ripetevano gli stessi compiti. Il gruppo in letargo non avrebbe operato così bene come il gruppo di controllo nell’eseguire i compiti appresi. D’altra parte, però, gli animali erano in grado di discriminare con successo gli individui familiari da quelli non familiari nel loro gruppo. Non è ancora chiaro il motivo per cui gli animali possono dimostrare la memoria in un regno ma non in altri, anche se gli autori ipotizzano che potrebbe essere il risultato della complessità del compito o della regione del cervello responsabile dei ricordi. Questo studio dimostra, in ogni caso, chiaramente, la persistenza dei ricordi sociali dopo una notevole perdita di neuroni nel cervello durante il letargo.37

Oltre ad abbassare il loro tasso metabolico, un altro modo in cui gli animali in letargo sopravvivono al loro lungo stato di torpore consiste nell’avviare, selettivamente, un processo specifico chiamato autofagia, che si riferisce alle cellule che si autodistruggono letteralmente, quindi, i tessuti di cui l’animale non ha bisogno durante il letargo vengono rimossi e, di conseguenza, non richiedono più manutenzione.38

Quando gli scoiattoli di terra emergono in primavera dopo essere stati in letargo per tutto l’inverno, le loro viscere si sono ridotte a circa la metà del loro peso originale, ma i loro cuori rimangono inalterati perché hanno bisogno di continuare a battere, pure se a un ritmo molto più lento. Ma viscere e neuroni non sono le uniche cose che si restringono. Così fanno i loro testicoli. Quando gli scoiattoli di terra maschi si svegliano in primavera, le loro gonadi si sono ridotte a quasi nulla. Ma tirano un sospiro di risveglio e ben presto riescono a farli ricrescere.39

In uno altro studio del 2009, condotto dai ricercatori Clemens, Heldmaier e Exner del Department of Animal Physiology, della Philipps-Universität Marburg40 le marmotte alpine sono state addestrate a saltare su due scatole o a camminare attraverso un tubo. Quando sono stati riesaminati dopo sei mesi di ibernazione, le loro capacità sono risultate intatte. Gli studiosi che hanno condotto la ricerca hanno concluso che la memoria a lungo termine nelle marmotte alpine non è influenzata dal letargo.41

I toporagni42 sono anche più piccoli delle marmotte. Sebbene di dimensioni ridotte, quando si tratta di sopportare le difficoltà del freddo, sono giganti biologici. Uno studio del 2017 del Max Planck Institute for Ornithology in Germania43 ha utilizzato immagini a raggi X per mostrare che i singoli toporagni riducevano le dimensioni delle loro scatole craniche in previsione dell’inverno in media del 15,3%. Le scatole craniche sono poi ricresciute parzialmente del 9,3% già in primavera. I drammatici cambiamenti nelle dimensioni del cranio e del cervello, in apparenza, non influenza negativamente il loro comportamento post-letargo.

Altri studiosi affiliati al Sensory Ecology Group, Ireneusz Ruczynski and Björn M. Siemens, presso il Max Planck Institute, decisero di esaminare la conservazione della memoria dei pipistrelli.44 Addestrarono i pipistrelli a trovare cibo in uno dei tre bracci di un labirinto costruito appositamente. Dopo l’allenamento, tutti i pipistrelli si comportarono correttamente al 100%. Poi arrivò il momento e andarono in letargo. Quando si “svegliavano”, i pipistrelli che erano andati in letargo, si comportavano altrettanto bene come quelli che non lo avevano fatto. I ricercatori conclusero che i pipistrelli beneficiano di un meccanismo neuroprotettivo ancora sconosciuto per prevenire la perdita di memoria nel cervello ibernato. Gli studi biochimici sul cervello delle rane di legno congelate avrebbero rivelato vari fattori neuroprotettivi implicati nella promozione della sopravvivenza dei tessuti. Mentre tutti questi fattori probabilmente giocano un ruolo nel preservare una piccola collezione di neuroni che formeranno l’impalcatura per la crescita di nuovi neuroni dopo che l’animale si “sveglia”, Verny non crede che possano essere responsabili della conservazione di ricordi complessi.45 In ogni caso, non importa come la si guardi, tutti questi risultati parlano della conservazione della memoria dopo il letargo.

 

Gli esperimenti sulla conservazione della memoria durante la metamorfosi

Stando a Verny46 i ricercatori Blackiston, Silva Casey e Weiss del Department of Biology, della Georgetown University, Washington, D. C., hanno verificato con i loro esperimenti l’ipotesi di Damon, Fabrice, Li, Zhihan, Yan, Yin, Li, Wu , Guo, Kun , Quinn, Paul C. , Pascalis, Olivier , & Méary, David,47 cioè che la preferenza per i volti attraenti sarebbe specifica per le specie.48 Questa loro asserzione si baserebbe sulle loro ricerche condotte sull’apprendimento di una famiglia di falena chiamata sfinge del tabacco o Manduca sexta.49 Il cervello della falena adulta contiene circa 1 milione di cellule nervose. In confronto, il cervello umano ne enumera quasi 100 miliardi.50

I ricercatori esposero le larve di questa famiglia di lepidotteri all’odore di acetato di etile (EA) abbinato ad una lieve scossa elettrica. Quando è stata offerta la scelta di aria fresca o aria profumata di EA, i bruchi adulti non pre-condizionati come larve non mostrarono né attrazione né avversione per l’odore di acetato di etile. Le larve esposte allo shock da sole non avrebbero nemmeno loro mostrato attrazione o avversione per l’acetato di etile. Ma quando le pupe furono pre-condizionate come larve con odore prima dello shock, il 78% di loro avrebbe scelto l’aria fresca invece dell’acetato di etile. Gli studiosi affermano che questa sia la prima prova concreta che si abbia dell’apprendimento e della memoria che sopravvivono alle fasi successive della metamorfosi in questa specie.

Allo stesso modo, Yukihisa Matsumoto, dell’Università di Hokkaido in Giappone,  dimostrò51 l’esistenza di una memoria avversiva di lunga durata nel grillo emimetabolo (Gryllus bimaculatus), che avrebbe mantenuto un’associazione tra un odore e l’acqua salata fino a 10 settimane. La preferenza appresa è stata modificata quando hanno ricevuto un addestramento di inversione a sei settimane dopo l’addestramento iniziale. I ricercatori conclusero che i grilli sono in grado di conservare la memoria olfattiva praticamente per tutta la vita e di riscriverla facilmente in base all’esperienza.

La domanda, per gli studiosi, sorge spontanea: se il comportamento associativo viene effettivamente mantenuto, sarebbe, davvero, il risultato della persistenza dei neuroni larvali attraverso la metamorfosi? Oppure la riorganizzazione del sistema nervoso degli insetti durante la metamorfosi è così drammatica da precludere la persistenza della memoria chemio-sensoriale? Infatti, gli studiosi in materia asseriscono, generalizzando, che i ricordi di tutte le nostre esperienze, anche se non sempre accessibili, persisterebbero impressi nella nostra mente incarnata.52

Le rane che subiscono la metamorfosi offriono un altro indizio. Stando agli psicologi comportamentisti Peter G Hepper, della Queen’s University Belfast nell’Irlanda del Nord, e Bruce Waldman, della Harvard University, nelle loro ricerche circa l’apprendimento embrionale iniettarono nelle rane53 uova di rane con una di due sostanze, rispettivamente, arancia o citrale (composto odoroso negli agrumi). Dopo la schiusa, questi girini preferirono nutrirsi di cibo contenente la sostanza a cui erano stati esposti quando erano ancora uova. Ancora più sorprendentemente, dopo che i girini si trasformarono in rane, mantennero la preferenza olfattiva alimentare acquisita.

Nel frattempo, lavorando con le larve di rana di legno, i ricercatori dei dipartimenti di biologia affiliati all’Università del Saskatchewan, in Canada, e alla Missouri State University, negli USA, nei loro studi circa l’apprendimento dagli embrioni e il fantasma della predazione nel futuro, le avrebbero condizionate54 ai segnali chimici di predatori sconosciuti. Stando alla loro ricerca quando le rane raggiunsero l’età adulta, avrebbero risposto con paura agli stessi segnali. Allo stesso modo, quando le uova di salamandre dagli anelli sarebbero state esposte agli stimoli chimici dei predatori, le larve che si sarebbero schiuse avrebbero mostrato un’attività ridotta e un maggiore comportamento in cerca di riparo. D’altra parte, le larve che erano state esposte a segnali neutri non mostravano questi comportamenti. Poiché l’esperienza embrionale è considerata un buon predittore delle condizioni future che l’organismo incontrerà, ne consegue, stando a Thomas R Verny,55 che l’apprendimento associato all’esposizione a stimoli negativi durante lo sviluppo sarà una caratteristica adattiva di coloro che avrebbero subito tale esperienza.

Infine, studi su altri coleotteri, moscerini della frutta, formiche e vespe parassite avrebbero dimostrato ripetutamente e in modo convincente che l’esperienza larvale forma il comportamento degli adulti. Mentre si trasformano, gli animali, compresi gli insetti che sono gli animali che maggiormente popolano la Terra, sperimentano grandi cambiamenti nella forma del corpo, nello stile di vita, nella dieta e nell’uso dei loro sensi. La larva sarebbe lo stesso animale della chiassosa mosca carnaria?56 Il bruco sarebbe lo stesso della farfalla colorata? Si è la stessa persona che si era quando si è nati? La stessa persona di quando si è concepiti? Sebbene, per certi versi si conservano “uguaglianze” poi si diventa anche molto diversi. In particolare, nonostante i cambiamenti che i nostri corpi subiscono con l’età, i ricordi di tutte le nostre esperienze, dal concepimento in poi, ancorché non sempre accessibili, persistono impressi nella nostra mente incarnata o memoria cellulare.

 

I ricordi rimangono codificati nel tessuto biologico

I ricordi stabili possono davvero rimanere intatti negli animali, compresi gli esseri umani, che subiscono una massiccia perdita e riarrangiamento dei loro neuroni cerebrali? Verny57 su questo punto si allinea con Levin, il biologo che nel 2013 ha proposto le planarie come specie modello emergente chiave per studiare come i ricordi siano codificati nel tessuto biologico e come sopravvivano. È probabile che le risposte alle domande in materia, quando verranno trovate, avranno importanti implicazioni per il trattamento dei disturbi degenerativi del cervello come l’Alzheimer con le cellule staminali. Sembra credibile concludere che la memoria, oltre ad essere immagazzinata nel cervello, debba essere codificata anche in altre cellule e tessuti del corpo. In altre parole, saremmo tutti dotati di sistemi di memoria sia somatica che cognitiva che si supportano a vicenda.

Complessivamente, le prove suggeriscono che anche gli aspetti dell’intelligenza e della coscienza, tradizionalmente attribuiti al cervello, avrebbero un’altra fonte. I nostri ricordi, i nostri gusti, la nostra conoscenza della vita, potrebbero dovere altrettanto alle cellule e ai tessuti incarnati che utilizzano gli stessi meccanismi molecolari per la memoria del cervello stesso. La mente, nella sintesi di Verny58, è fluida e adattabile, incarnata ma non incapsulata.

Se i ricordi rimangono codificati nel tessuto biologico, stando alle ipotesi e agli esperimenti con l’utilizzo di animali elencati in questa breve argomentazione, allora si apre, per estensione logica, l’ipotesi della memoria cellulare umana, con tutte le sue implicazioni, perfino nell’ambito della salute umana e, di conseguenza, rimarcando la sua complessità, inerente alla complessità della biologia stessa.

______________Note _________________

1 Peter Skrabanek e James Mac Cormick affermano che in certo qual senso scienza e medicina sono agli antipodi, la scienza cerca una risposta sperimentale a quesiti generali, la medicina cerca una risposta specifica al problema specifico del paziente. Lo scienziato amplia le basi delle conoscenze comuni, il medico accumula esperienza personale. Mentre lo scienziato non fa che cercare problemi nuovi e smette di interessarsene quando sono stati risolti, il medico che ha trovato una soluzione è ben contento di specializzarsi proprio nell’applicazione di quella soluzione. Portata nel cuore della nostra epoca la disputa se la medicina sia un’arte, empirica, oppure una scienza, razionale, comporta ed implica conseguenze sulle quali è imprescindibile una serie di riflessioni. I controversi medici Skrabaneck e McCormick sono gli autori di una graffiante analisi: Follies and Fallacies in Medicine. The Tarragon Press; 2nd edizione (January 1, 1994) [Follie e Inganni della Medicina. Marsilio, 1995]. Annunciando, dati alla mano, che le medicine funzionano al massimo con il 10 per cento dei malati, i due medici-scrittori sembrano salvare, di tutta la farmacologia internazionale, poco più che l’effetto placebo, l’effetto per cui chi prende una pillola inerte credendola attiva sta subito meglio.

2 Peter Skrabaneck. Death of Humane Medicine: And the Rise of Coercive Healthism.  Social Affairs Unit (Sept. 1st, 1994) [Morte della medicina umana e l’ascesa del salutismo coercitivo].

3 Candance Pert. Molecules Of Emotion: The Science Between Mind-Body. Medicine Scribner. 1999

4 I neuropeptidi sono piccole molecole di natura proteica che, liberate dalle cellule nervose in risposta a uno stimolo, mediano o modulano la comunicazione neuronale legandosi a specifici recettori di superficie. Una volta rilasciati nella giunzione sinaptica, i peptidi attivi possono comportarsi da veri neurotrasmettitori, in maniera sia autocrina sia paracrina, oppure agire da neuromodulatori, condizionando la neurotrasmissione attraverso la liberazione di trasmettitori di tipo rapido. Dopo essersi legati ai propri recettori specifici, i neuropeptidi danno inizio alla cascata di eventi biochimici che porta alla stimolazione o all’inibizione cellulare. Fonte TRECCANI

5 Thomas R. Verny. The embodied mind. Understanding the mysteries of cellular memory, consciousness, and our bodies. Pegasus Books, Oct. 5, 2021.

6 Il calcio è il quinto elemento più abbondante del corpo umano e il più abbondante metallo. Gli ioni di calcio svolgono un ruolo vitale nella fisiologia e nella biochimica dell’organismo e della cellula come elettroliti. Rivestono un ruolo importante nelle vie di trasduzione del segnale, dove agiscono come un secondo messaggero, nel rilascio di neurotrasmettitori dai neuroni, nella contrazione di tutti i tipi di cellule muscolari e nella fecondazione. Molti enzimi richiedono ioni di calcio come cofattore. Anche gli ioni di calcio esterni alle cellule sono importanti al fine di mantenere la differenza di potenziale tra membrane cellulari eccitabili, nonché una corretta formazione delle ossa.

7 Thomas R. Verny. op. cit. Oct. 5, 2021.

8 Candance Pert. op. cit. 1999

9 Thomas R. Verny. op. cit. Oct. 5, 2021.

10 Ibidem

11 Reuters Staff. Tiny brain no obstacle to French civil servant. Healthcare & Pharma. July 20, 2007

12 In medicina per shunt si intende una comunicazione diretta tra due comparti anatomicamente separati di uno stesso apparato conduttore (ad esempio circolatorio o gastrointestinale). Trattasi essenzialmente di un movimento di un liquido o fluido da una parte del sistema ad un’altra; condizione che può essere di natura patologica, ma che è altresì presente naturalmente nel corpo umano, particolarmente a livello delle estremità, dove gli shunt sono più presenti, e dei glomeruli (anastomosi sostenute da una ricca parete di cellule muscolari lisce), o conseguenza di un intervento chirurgico (come nel caso dello shunt cerebrale). Lo shunt circolatorio cardiaco mette in comunicazione diretta il sangue della circolazione sistemica con quello della circolazione polmonare.

13 Battaglia D, Veggiotti P, Lettori D, Tamburrini G, Tartaglione T, Graziano A, Veredice C, Sacco A, Chieffo D, Pecoraro A, Colosimo C, Di Rocco C, Dravet Ch, Guzzetta F. Functional hemispherectomy in children with epilepsy and CSWS due to unilateral early brain injury including thalamus: sudden recovery of CSWS. s. 2009 Dec; 87(2-3):290-8.

14 Thomas R. Verny. Enduring memory. In AEON, 30 Sept. 2021

15 Le planarie hanno una notevole capacità rigenerativa: se si taglia una planaria in due parti, destra e sinistra, si rigenerano due individui distinti. La planaria è capace di rigenerare più della metà del suo corpo. Essendo animali molto sensibili agli agenti inquinanti, la presenza di planarie in uno specchio d’acqua è indice di assenza di inquinamento chimico nelle acque stesse.

16 Ibidem

17 Ibidem

18 Nelson Hall, Ricardo Zayas, Stephen Badylak and Dania Nanes Sarfati. Want a whole new body? Ask this flatworm how. Video from KQED Science. October 23, 201

19 An Zeng, Hua Li, Longhua Guo, Xin Gao, Sean McKinney, Yongfu Wang, Zulin Yu, Jungeun Park, Craig Semerad, Eric Ross, Li-Chun Cheng, Erin Davies, Kai Lei, Wei Wang, Anoja Perera, Kate Hall, Allison Peak, Andrew Box, Alejandro Sánchez Alvarado. Prospectively Isolated Tetraspanin + Neoblasts Are Adult Pluripotent Stem Cells Underlying Planaria Regeneration, in Vol. 173, Issue 7, p1593-1608. E20, June 14, 2018

20 Thomas R. Verny. op. cit. 30 Sept. 2021

21 Le planarie sono i più noti tra i platelminti che conducono vita libera. Si tratta di organismi simili a vermi, di pochi centimetri, che vivono nel fondo sabbioso o fangoso degli stagni.

22 Ibidem

23 Ibidem

24 James V. McConnell, Allan L. Jacobson, & Daniel P. Kimble. The effects of regeneration upon retention of a conditioned response in the planarian. In “Journal of Comparative and Physiological Psychology”, 52(1), 1–5. March, 1959

25 Ibidem

26 Ibidem

27 Tal Shomrat and Michael Levin. An automated training paradigm reveals long-term memory in planarians and its persistence though head regeneration. In “Journal of Experimental Biology”, 216 (20): 3799-3810, 2013

28 Shomrat, Tal; Levin, Michael. An automated training paradigm reveals long-term memory in planarians and its persistence through head regeneration. Journal of Experimental Biology, 216.20: 3799-3810. 2013

29 La piastra o capsula di Petri (spesso definita semplicemente Petri) è un recipiente piatto di vetro o plastica, solitamente di forma cilindrica; è un importante strumento di lavoro in molti campi della biologia, per la crescita di colture cellulari e perché permette di osservare a occhio nudo colonie batteriche. Essa prende il nome dal batteriologo Julius Richard Petri, assistente di Robert Koch, che la inventò nel 1877.

30 Ibidem

31 Inoue T, Kumamoto H, Okamoto K, Umesono Y, Sakai M, Sánchez Alvarado A, Agata K. Morphological and functional recovery of the planarian photosensing system during head regeneration. Zoological Science. 21(3):275-83, March, 2004

32 Ibidem

33 Tal Shomrat and Michael Levin. op. cit. 2013

34 Thomas R. Verny. op. cit. 30 Sept. 2021

35 Ibidem

36 Eva Millesi, Hermann Prossinger, John P. Dittami, and Martin Fieder. Hibernation Effects on Memory in European Ground Squirrels (Spermophilus citellus). In Journal of biological rhythms, Vol. 16 No. 2, 264-271, April 2001

37 Ibidem

38 Thomas R. Verny. op. cit. 30 Sept. 2021

39 Millesi, Prossinger, Dittami, and Fieder. op. cit. April 2001

40 L. E. Clemens, G. Heldmaier, and C. Exner. Keep cool: Memory is retained during hibernation in Alpine marmots. In Physiology & Behaviour. Vol. 98, Issues 1-2, pages 78-84, 4 August 2009

41 Ibidem

42 Soricidi (Soricidae G. Fischer, 1814) sono una famiglia di mammiferi eulipotifli comunemente noti come toporagni. Nonostante la somiglianza superficiale di alcuni membri di questa famiglia al topolino comune, i soricidi appartengono al clade laurasiatheria e sono quindi filogeneticamente assai più prossimi ai carnivori (canidi, felidi, ursidi, ecc.) e ai cetacei che non ai roditori.

43 Lázaro Javier, Dechmann Dina K.N, LaPoint Scott, Wikelski artin., Hertel M. Profound reversible seasonal changes of individual skull size in a mammal. In “Current biology”, 27(20): R1106-R.1107. Oct. 2017

44 Ireneusz Ruczynski and Björn M. Siemens. Hibernation does not affect memory retention in bats. Vol. 7, Issue 1, Biology Letters, The Royal Society, 23 February 2011 La memoria a lungo termine può essere di fondamentale importanza per gli animali in una varietà di contesti, eppure l’estrema riduzione della temperatura corporea negli animali in letargo altera la neurochimica e può quindi compromettere la funzione cerebrale. Gli studi comportamentali sulla compromissione della memoria associata al letargo sono stati condotti quasi esclusivamente su scoiattoli di terra (Rodentia) e forniscono risultati contrastanti, inclusa una chiara evidenza di perdita di memoria. Nel sperimento di Ruczynski e Siemens è stata testata la conservazione della memoria dopo il letargo per un roditore esterno vertebrato: i pipistrelli (chirotteri). Alla luce dell’elevata mobilità, ecologia e lunga vita dei pipistrelli, loro avrebbero ipotizzato che il mantenimento della memoria consolidata attraverso il letargo sia soggetto a una forte selezione naturale, addestrando i pipistrelli a trovare cibo in una delle tre braccia del labirinto. Dopo l’allenamento, le prestazioni pre-ibernazione di tutti gli individui erano al 100% di decisioni corrette. Dopo questo pre-test, un gruppo di pipistrelli è stato tenuto, con due interruzioni, a 7°C per due mesi, mentre l’altro gruppo è stato tenuto in condizioni che impedissero loro di andare in letargo. I pipistrelli ibernati si sono comportati allo stesso livello elevato di prima del letargo e dei controlli non ibernati. I nostri dati suggeriscono che i pipistrelli beneficiano di un meccanismo neuroprotettivo ancora sconosciuto per prevenire la perdita di memoria nel cervello freddo.

45 Thomas R. Verny. op. cit. 30 Sept. 2021

46 Ibidem

47Damon, Fabrice, Li, Zhihan, Yan, Yin, Li, Wu , Guo, Kun, Quinn, Paul C., Pascalis, Olivier, & Méary, David. Preference for attractive faces is species-specific. Journal of Comparative Psychology, Vol 133(2), May 2019, 262-271

48 Ibidem

49 Lepidottero appartenente alla famiglia Sphingidae, diffuso in America Settentrionale, Centrale e Meridionale.

50 Ibidem

51 Matsumoto, Y., Mizunami, M. Lifetime olfactory memory in the cricket Gryllus bimaculate. Journal of Comparative Physiology. A 188, 295–299 (2002)

52 Thomas R. Verny. op. cit. 30 Sept. 202

53 Hepper PG, Waldman B. Embryonic Olfactory Learning in Frogs. The Quarterly Journal of Experimental Psychology Section B. 44(3-4b):179-197. 1992

54 Alicia Mathis, Maud C.O Ferrari, Nathan Windel, François Messier and Douglas P. CHivers. Learning by embryos and the ghost of predation future. In The Royal Societies B. Biological Sciences, Vol. 27, Issue 1651m 22 Nom. 2oo8

55 Thomas R Verny. The Embodied Mind. Pegasus Press, New York, 5 October 2021

56 La mosca carnaria (Sarcophaga carnaria Linnaeus, 1758) è un dittero della famiglia delle Sarcophagidae. La larva, detta bigattino o baco di sego, è di colore biancastro ed è lunga qualche millimetro. Durante il ciclo precedente alla metamorfosi si ciba di carne in putrefazione. La Sarcophaga carnaria è vivipara. Infatti depone le sue larve, che crescono in brevissimo tempo, nella carne in putrefazione come nelle carcasse di animali morti, negli avanzi di cibo, ecc. In condizioni ottimali di cibo e temperatura le larve si impupano in pochi giorni per uscire poco dopo sotto forma di mosca adulta.

57 Thomas R Verny. op. cit. 5 October 2021

58 Ibiden