Spinoza e Lovelock: l’Antropocene come espressione della natura.

Fremeaux e Jordan: l’utilità della narrativa del contratto sociale come fondamenta per la formazione di uno stato terrestre che gestisca la crisi climatica.
10 Febbraio, 2024
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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno X • Numero 40 • Dicembre 2021

 

 

Liberarci dal senso di colpa? Questo è il dilemma!

Può Spinoza aiutarci a riconoscere alcune idee preconcette dominanti e certe passioni malinconiche o romantiche che, può darsi, ci precludano un rapporto più organico, ossia meno metafisico, con ciò che chiamiamo il mondo naturale? Di fatto, nella sua Ethica ordine geometrico demonstrata,1 Spinoza elabora un’etica che possiamo considerare “secolarizzata”, per meglio dire “aconfessionale”, in cui l’uomo, contrariamente ai racconti sia demonizzanti che esaltanti del suo operato, è considerato un organismo o essere naturale da includere nell’ambito della produttività infinita della natura.2

In base a Spinoza l’uomo è parte della natura universale e non si può parlare della sua libertà senza conoscere in che cosa tale libertà consista e come essa sia possibile all’interno della totalità della natura. Perciò, la conoscenza della natura delle cose è prioritaria e fondamentale per definire la così designata libertà umana. Come per i classici, ugualmente per Spinoza, il momento propriamente etico, vale a dire la descrizione delle azioni che consentono all’uomo di pervenire alla sua massima perfezione, giunge al termine di un percorso che fonde le conoscenze indispensabili allo scopo.3

Questo breve excursus sull’etica di Baruch Spinoza ci consente di passare in modo più fluido a James Ephraim Lovelock, anche lui un pensatore propriamente iconoclasta su quanto il pensiero ambientalista in voga istituisce riguardo la natura. Nel suo libro Novacene,4 pubblicato come festeggiamento del suo secolo di vita nel 2019, Lovelock ci sollecita ad abbandonare l’idea, politicamente e psicologicamente greve, che considera l’Antropocene un grande crimine contro la natura. L’Antropocene, nella sua visione, non è che una conseguenza della produttività voluttuosa della vita sulla Terra, proprio un’espressione della natura stessa.5

Come segnala la studiosa Beth Lord, questa intuizione di Lovelock sull’Antropocene e sulla natura risuona con la filosofia del XVII secolo di Baruch Spinoza.6 Lovelock è considerato il teorico dell’ipotesi Gaia, l’idea che la Terra sia un organismo vivente che si regola e si sforza di preservarsi. La “Gaia” di Lovelock, stando a Steven Nadler, è però un nome alternativo per ciò che Spinoza7 nella sua Etica chiama Dio, o Natura, vale a dire l’unico individuo che costituisce l’intero universo, le cui parti variano in modi infiniti, senza alcun cambiamento dell’intero individuo. Stando a Lord, Lovelock segue Spinoza nel credere che noi umani e le nostre azioni siano espressioni della natura, addirittura quando sembriamo distruggere la natura. Segue Spinoza perfino nel ritenere che dovremmo rallegrarci di ciò che l’Antropocene avrebbe reso possibile, consistente in massicci incrementi dell’attività umana e della conoscenza.8

Da un punto di vista del pensiero ambientalista in auge ci si può, però, chiedere come ci si possa sentir bene dopo 400 anni di decimazione dell’ambiente naturale da parte delle azioni umane considerata causa del cambiamento climatico antropogenico? Ed ancora con un’enfasi maggiore, come si possano superare i sentimenti di colpa, paura e disperazione per l’impatto di noi umani sulla natura? Ed ancora con più intensa indignazione, come accettare, come sostiene Lovelock, che dovremmo provare a liberarci da questo senso di colpa.

Per decenni, Lovelock, come altri ambientalisti, ha avvertito che il riscaldamento globale altererà in modo permanente i modi di vita umani e non umani, come ci ricorda Michael Ruse nel suo saggio che si potrebbe tradurre come Il santo sciocco della Terra.9 Tuttavia, le considerazioni di Lovelock10 rivelano una comprensione diversa della questione condivisa con Spinoza, vale a dire che queste trasformazioni naturali sono profondamente amorali. Gaia, ossia la Terra, nella teoresi di Lovelock, si sforza di preservare sé stessa, di preservare la vita in quanto tale. Nella sua visione, come si desume anche da Spinoza,11 Gaia, Dio o Natura non ha alcun interesse predesignato a preservare questa o quella specie, o una particolare configurazione della Terra. Lovelock condivide altresì con Spinoza l’idea che le trasformazioni umane della Terra siano parte della natura, per quanto si possa pensare che certe azioni feriscano o distruggano la natura stessa. Nella loro visione, cercando un nostro vantaggio e trasformando il nostro ambiente, noi esseri umani non distruggiamo la natura ma siamo, praticamente, la natura che si trasforma. Gli effetti di queste attività non sarebbero, dal punto di vista della natura, né buoni né cattivi.

Per Spinoza, se così si vuole congetturare, il peso morale delle trasformazioni umane della Terra deriva dal loro valore, di uso o simbolico che sia, per noi come esseri umani. Egli considera che noi siamo vincolati a reputare come “buono” tutto ciò che stimiamo praticamente o simbolicamente “utile” a noi e perciò ci sforziamo. In base a questa definizione, le azioni che abbiamo intrapreso nel periodo dell’Antropocene sono state immensamente buone per l’empowerment12 umano.13

L’Antropocene, in questa prospettiva, è l’era geologica caratterizzata dal potere umano di utilizzare l’energia immagazzinata per trasformare il mondo fisico su vasta scala. Lovelock data la sua origine al 1712 con l’invenzione di Thomas Newcomen del motore a vapore.14 Le popolazioni umane bruciavano carbone prima di questa data, ma la pompa a vapore, attraverso le miniere drenanti, permise di dissotterrare, in modo efficiente, enormi riserve di energia. Questa è stata un’invenzione che ha dato, effettivamente, alla specie umana un maggiore potere di produrre luce e calore per prolungare la giornata lavorativa, per produrre e spostare merci in tutto il mondo, per viaggiare e costruire e per diventare più ricchi come soggettività sociali. Con quest’applicazione industriale del vapore è arrivato per alcuni gruppi sociali un maggiore potere di apprendere e conoscere, di crescere e prosperare e, almeno per loro, di essere liberi dal pericolo prevedibile e dal bisogno. Questi poteri di ricchezza, salute, felicità e libertà non sono mai stati distribuiti equamente, ma il loro potenziamento generò il pensiero e l’azione che produssero, in ogni modo, benefici universali come l’acqua potabile pulita, la rete fognaria e l’istruzione, creando maggiori opportunità per il miglioramento delle conoscenze e delle capacità delle popolazioni subordinate di prosperare.

Sindacato oggi come causa del cosiddetto cambiamento climatico, l’antropocene produrrebbe in noi, in ogni caso, sentimenti di tristezza, nostalgia, colpa, rabbia e perfino di risentimento e tuttavia non si riesce a contestare che l’Antropocene abbia, effettivamente, comportato grandi progressi verso il raggiungimento di quelli che Spinoza considera i più grandi beni umani: maggiore potere di agire, maggiore potere di pensare e una maggiore comprensione di Dio, cioè della natura stessa.15 Per Spinoza ciò che accresce l’agire e il pensiero umano ci sarebbe decisamente utile e, quindi, dovrebbe essere ritenuto buono.16 In proposito, si può asserire che ricavare energia dai combustibili fossili sia stato un grande bene umano negli ultimi 400 anni. L’Etica di Spinoza, di fatto, suggerisce che dovremmo rallegrarci di questo enorme aumento del potere e della conoscenza umana.17 Allo stesso modo, Lovelock, all’età di 100 anni, scrisse che la sua ultima parola sull’Antropocene è “un grido di gioia – gioia per la colossale espansione della nostra conoscenza del mondo e del cosmo che questa età ha prodotto.”18

Eppure, ovviamente, nella complessità degli eventi non dovremmo unicamente rallegrarci. Non possiamo rallegrarci del nostro continuo uso di combustibili fossili perché ora intendiamo che continuare a estrarre carbone, petrolio e gas dalla Terra contrisce in qualche modo al riscaldamento globale.19 Stando alla teoria, oggi abbiamo appreso che il riscaldamento globale provoca massicce interruzioni a cascata dei sistemi di regolamentazione del clima, della geografia e dell’ecologia, sistemi che preservano e sostengono la vita umana stessa. Effettivamente, non possiamo rallegrarci dell’incendio delle foreste pluviali amazzoniche o dell’inquinamento degli oceani, anche se comprendiamo che sono gli effetti di noi stessi, esseri umani, che ci sforziamo di cercare il nostro vantaggio, come fa ogni elemento della natura. Anche i reali benefici di un aumento del tenore di vita in India e Cina ci mettono in ansia perché quegli aumenti portano a maggiori richieste di energia e carne. E questo per non parlare della nostra inquietudine per la perdita o la diminuzione di specie di insetti, piante, animali e luoghi che sostengono la nostra vita e ci possono dare addirittura gioia. Di fatto, come segnalato in precedenza, l’Antropocene produce in noi sentimenti di tristezza, nostalgia, colpa, rabbia e perfino di risentimento. Questi sentimenti sono tanto più sentiti perché abbiamo compreso che la crisi climatica è anche di natura antropica. Noi crediamo di averla causata attraverso una serie di scelte e che avrebbero potuto essere differenti. Come dice Spinoza, nutriamo più intensamente quelle emozioni che sono provate da esseri che crediamo liberi.20

Nella Parte III dell’Etica21, che tratta dell’origine e della natura degli affetti, Spinoza offre un lessico delle emozioni, o “passioni”, definendo e spiegando le cause e gli effetti comportamentali di ciascuna. In questa prospettiva, Beth Lord22 sostiene che possiamo aspettarci di provare pentimento per la distruzione ambientale, una tristezza accompagnata dall’idea di noi stessi come causa. Eppure il pentimento, stando a lei, è sorprendentemente assente nelle discussioni sulla crisi climatica. Invece, segnala, ce l’abbiamo con i nostri antenati che ci hanno messo in questa situazione. Siamo arrabbiati con i politici che non riescono a intraprendere azioni significative e, soprattutto, puntualizza, proviamo paura. Temiamo gli effetti previsti di 400 anni di ricerca del nostro vantaggio attraverso la trasformazione della Terra, effetti che non saranno solo climatici ma, ugualmente, sociali e politici. Temiamo che i nostri figli erediteranno una Terra degradata. Temiamo di aver causato questa devastazione e questa limitazione della prosperità dei nostri figli. L’emozione che ci affligge, secondo Lord ispirandosi a Spinoza, è la paura del nostro potere.

 

L’insospettabile paura del nostro potere

Per Spinoza, la potenza, stando alle interpretazioni, si riferisce alla capacità di una sostanza di essere ciò che è e alla capacità di agire della sua natura. Nella sua etica della potenza, ogni sostanza o esistenza si sforza di perseverarsi nel suo essere, di cercare il proprio vantaggio e di fare quelle cose che derivano dalla sua natura per raggiungere questi fini. Spinoza definisce questa potenza con il termine conatus23 o, semplicemente, desiderio. Questo termine vuole rappresentare la spinta alla vita in sé senza finalità, in cui l’unico orizzonte di felicità possibile per l’uomo è la comprensione dei suoi meccanismi, e che può porre l’uomo nella condizione di compiere scelte adeguate non sottoposte alla passività delle passioni.24

Per Spinoza la vera e propria essenza del singolo uomo sarebbe il conatus, cioè la tensione e lo sforzo costitutivo a permanere nel proprio essere ed incrementarlo. Il conatus non è, però, proprio solo dell’uomo, ma di ogni ente, ed è una forza determinata ad affermarsi contro altre forze che agiscono sull’ente (e sull’ente umano); non è indenne perciò dalle “affezioni” o affetti che, anzi, ne determinano la meccanica.25 Infatti, la nozione di affetto (o anche “passione”, “sentimento”) è la nozione centrale di questa e delle restanti due parti dell’opera. Spinoza collega il potere alla virtù e spiega che più ci sforziamo per ciò che è vantaggioso per il nostro essere e agire, più siamo potenti e, quindi, virtuosi. Cerchiamo di fare quelle cose che preservano il nostro essere e aumentano il nostro potere di agire.26 Quando agiamo in modi che appaiono buoni e utili per noi ma dannosi per altre manifestazioni della natura, è facile vedere come il nostro potere, però, appaia spaventoso. Infatti, cercare di preservare il nostro essere e aumentare il nostro potere di agire implica, inevitabilmente, essere vincolati a complessi sistemi di estrazione di energia e produzione di cibo che contribuiscono, direttamente, al cambiamento climatico.

La paura del nostro potere, pertanto, significa che temiamo ciò che segue dalla nostra stessa natura e si potrebbe ipotizzare che noi umani avremmo timore della nostra tendenza essenziale a cercare il nostro vantaggio ma, in ogni modo, avremmo il timore del nostro potere solamente nella misura in cui dubitiamo dei suoi effetti. La paura, in questo senso, stando a Spinoza,27 è una tristezza che nasce dall’immaginare un esito futuro incerto. Una volta che il dubbio sul futuro viene rimosso, la paura inconscia per il futuro incerto diventa disperazione. Per Spinoza,28 dove c’è dubbio sull’esito della ricerca del nostro vantaggio, temiamo il nostro potere; dove siamo quasi certi che le nostre azioni sarebbero distruttive, ne disperiamo.

 

Uso strategico del nostro potere alienato da parte dei governanti e dei loro politici

Ora, ogni volta che proviamo una sorta di tristezza, sostiene Spinoza, ci sforziamo di distruggerne la causa. Quindi, quando temiamo o disperiamo del nostro potere, ci sforziamo di distruggere il nostro stesso impegno, o di “allontanarlo da noi stessi, in modo che non lo consideriamo come presente”. Stando a lui, ciò si traduce in un comportamento autodistruttivo. In un tale contesto la paura del nostro potere ci porta ad agire in modi contrari al nostro vantaggio, anche se siamo naturalmente determinati ad agire per il nostro vantaggio. Ci ritroveremmo a vacillare tra la ricerca del nostro vantaggio e il tentativo di prendere le distanze dal nostro potere e desiderio.29

Spinoza considera questa una situazione perversa che indicherebbe bassi livelli di virtù e conoscenza. Spinoza ritiene che le passioni tristi diminuiscono il nostro potere di agire e pensare e che la tristezza diretta verso il nostro potere costituisce una diminuzione del nostro desiderio di esistere. Nella sua visione, il fondamento della virtù sarebbe proprio il desiderio di preservare il nostro essere e la conoscenza di ciò che sarebbe buono per la nostra autoconservazione. La paura e la disperazione “mostrano un difetto di conoscenza e una mancanza di potere nella Mente”, e i sentimenti autodistruttivi indicano ignoranza di sé stessi e “molto grande debolezza della mente”. In questa situazione, abbiamo scarsa conoscenza di noi stessi e di ciò che è bene per noi, e non siamo in grado di pensare razionalmente.30

Questo pensiero filosofico ed etico di Spinoza ci aiuta a dare profondità di lettura al fatto che la paura diffusa del nostro potere e la degradata conoscenza di noi stessi possono avere effetti significativi. Nel nostro oggi, ad esempio, consideriamo le “fake news” e l’idea che viviamo in un’era di “post-verità”. La disinformazione,31 sarebbe ingenuo pensarlo, non è una novità, ma potrebbe esserlo l’indifferenza verso la verità. Temere il nostro potere implica che temiamo il potere della mente di conoscere e dubitiamo della conoscenza che è stata raggiunta con solidi metodi inferenziali. Paure e dubbi sul cambiamento climatico sono sorti insieme, insieme alle esitazioni su cosa fare al riguardo. In un ambiente di dubbio, negazione e incertezza sulla nostra “situazione geopolitica complessiva”, diventa, come ha affermato Bruno Latour in Down to Earth (2017),32 una sorta di riflesso di sopravvivenza adottare una generale indifferenza ai fatti in modo che, quando presentati con flussi di affermazioni disconnesse, non le accettiamo né le neghiamo.

Tutte le passioni tristi, per Spinoza, sono vissute da noi come potere diminuito. Quando temiamo il nostro potere, possiamo sentire questa impotenza come ciò in cui consiste il nostro potere.33 L’impotenza diventa la nostra base per pensare e agire, generando ciò che Friedrich Nietzsche nel 1887 chiamava risentimento. Spinoza chiama questa passione, che non è né umiltà né virtuosa abnegazione, passione “malvagia e inutile” e la ritiene strettamente allineata alla sofferente stima di sé e alla conseguente invidia. Secondo Spinoza, poiché ci rallegriamo naturalmente del nostro potere di agire, celebriamo in modo perverso la nostra stessa debolezza, cioè l’alienazione del nostro potere di agire. Le nostre paure e risentimenti diventano, in questo modo, la base dell’orgoglio e dell’arroganza fuori luogo.

Come sappiamo, questi sentimenti di deliri di potenza – impotenza possono essere condizionati per usi politici, come testimoniato prevalentemente nella scena politica dove domina, nel pensiero e nell’azione, l’uno l’atro di questi due deliri. Infatti, le nostre paure climatiche sono apparse profilate dietro le campagne per la Brexit, contro Donald Trump e pure nelle narrative dei leader populisti e neofascisti, tutti facendo un uso strategico della paura e del risentimento e, si potrebbe perfino pensare che i governanti siano convenientemente tranquilli in base alla mancanza di conoscenza delle popolazioni governate. Quando si teme il proprio potere naturale e i suoi effetti sul terreno su cui ci si trova, da una prospettiva spinoziana, ci si trova facilmente influenzati da coloro che promettono il ripristino delle stabilità immaginate della Terra oppure dalle promesse del ripristino dei confini del passato.

 

Quella che chiamiamo crisi climatica sarebbe solo una sequenza delle infinite variazioni della natura

La paura indotta dalla crisi climatica comporta effetti sociali e politici significativi. Questa paura delle conseguenze nefaste della propria potenza naturale sarebbe rivolta, come sostiene Spinoza, contro sé stessi, convinti che sia causata da sé stessi, vale a dire da ciò che il potere umano avrebbe fatto e potrebbe continuare a fare alla natura. Spinoza sostiene che tutte le passioni (come in questo caso la paura) siano legate a “idee inadeguate”, idee dell’esperienza quotidiana che sono impressionistiche, confuse e spesso errate. La paura del nostro potere è, partendo dalla visione di Spinoza, legata all’idea che gli esseri umani, negli ultimi 400 anni specialmente, sono stati liberi di intraprendere azioni giudicate contrarie alla natura.

Un tale giudizio, nella filosofia di Spinoza, è il risultato di una profonda incomprensione del nostro posto nel mondo. Primo, gli esseri umani non sarebbero realmente liberi di scegliere diversamente. In virtù del fatto di essere parte della “Natura Assoluta”, ossia “Dio”, non avremmo il libero arbitrio e tutte le cose sarebbero state predeterminate da Dio, cioè dalla Natura Assoluta. Noi esseri umani degli ultimi 400 anni saremmo stati completamente predeterminati per natura ad estendere il nostro potere e la nostra conoscenza come, effettivamente, abbiamo fatto e stando alle idee di Spinoza, in particolare alla nozione di “conatus” (cioè la tensione e lo sforzo costitutivo a permanere nel proprio essere ed incrementarlo)34 continueremo ad essere così predeterminati naturalmente.

Il punto da sottolineare è che noi, esseri umani, facciamo parte della natura e non la trascendiamo. La natura, come pensa un certo ambientalismo naïve, non è un oggetto che sta laggiù a cui, noi umani non naturali, facciamo delle cose cattive. Per dirla in termini metafisici e radicali, Dio o Natura, sarebbe proprio la “sostanza” di cui noi saremmo soltanto “modi” e noi e le nostre azioni deriverebbero, per l’appunto, dalla sua essenza. Secondo il ragionamento filosofico di Spinoza, l’essenza di una sostanza non può contenere ciò che, nello stesso tempo, la nega, per cui egli proclama che è impossibile che le nostre azioni possano essere contrarie alla natura. La natura è infinitamente variabile e nel causare cambiamenti nella natura stessa non sminuiamo o distruggiamo la natura. Nella sua Etica le nostre azioni sono semplicemente la natura che cambia sé stessa.

Vista in questo modo, quella che chiamiamo crisi climatica è solo una sequenza delle infinite variazioni della natura. Quello che appare come uno sconvolgimento enorme e devastante, dal nostro punto di vista è, per la natura infinita ed eterna, ciò che occorre di solito, o piuttosto la normale esecuzioni di operazioni funzionali standard al suo interno. Di conseguenza, dal momento che non eravamo liberi di evitarlo, non saremmo moralmente responsabili del cambiamento climatico, dell’innalzamento del livello del mare o dell’estinzione delle specie e dovremmo superare i nostri sensi di colpa e la nostra passione di attribuire delle colpe ad altri. In effetti, dovremmo superare tutte le nostre tristi passioni, poiché una volta compreso che Dio Natura sia la fonte, il fondamento e la causa di tutte le cose, dovremmo comprendere che Dio sia la causa anche della nostra tristezza. Secondo la formula di Spinoza per il superamento delle passioni, comprendere la causa della tristezza significa che “cessa di essere una passione, cioè… cessa di essere Tristezza”. E così, nella misura in cui comprendiamo che Dio è perfino causa della Tristezza, ci rallegriamo.35

Ma sicuramente, da una prospettiva complessa, che include necessariamente la nostra consapevolezza, questo filosofico perdono, che ci colloca nella produttività voluttuosa della natura, non è abbastanza per ridimensionare il nostro sentimento di colpa. Non basta dire che non abbiamo fatto nulla di male perché, in definitiva, siamo parte della natura ed abbiamo solo agito secondo la nostra natura che, in breve, come tutto ciò che accade, deriva dalla natura di Dio. Purtroppo, tra colpa e risentimento noi umani, nel pensiero ambientalista in voga, veniamo additati, in qualche modo, causalmente responsabili dello scioglimento accelerato delle calotte polari e degli incendi nell’Amazzonia. Da una prospettiva ambientalista che prende le distanze da Spinoza, noi siamo causalmente responsabili dei cambiamenti nell’uso del suolo che hanno rimosso gli habitat degli insetti impollinatori, riducendone drasticamente il numero. Forse, per determinazione costitutiva non possiamo agire contro natura, eppure possiamo agire e agiamo, effettivamente, in modi che risultano contrari e innaturali ad altre specie.

Defocused crowd of people — Image by © Images.com/Corbis

 

La narrativa del contratto sociale che argina lo stato di natura e legittima l’emergere di un organismo di governo globale in nome della crisi climatica

Spinoza credeva che abbiamo il diritto di uccidere animali e utilizzare le risorse naturali per il nostro vantaggio. Nella sua Etica, il nostro diritto a farlo si basa sul nostro maggiore potere. Nessun codice morale, in effetti, governa le nostre relazioni con i non umani, poiché queste relazioni avrebbero luogo nello “stato di natura” dove non c’è bene o male e non c’è legge ma diritto naturale. Per Spinoza, come per Thomas Hobbes,36 di cui segue ampiamente la teoria del contratto sociale,37 lo stato di natura sarebbe dannoso per la prosperità umana. Per ridurre al minimo e controllare la nostra paura dell’uno dall’altro, noi umani abbiamo dovuto formare stati civili, regni delimitati dall’attività umana e determinati dalle leggi umane. Queste leggi del contratto sociale o dello stato di diritto riflettono, semplicemente, ciò che una data comunità di umani determina sia buono per la loro prosperità. Animali e cose non possono essere cittadini e il loro prosperare non può essere un obiettivo dello stato civile di Spinoza, a meno che il loro fiorire non abbia un impatto diretto sul nostro.

Ora, nel nuovo ambientalismo, si sostiene una comprensione della complessità della natura in un modo che Spinoza non poteva capire. Con le conoscenze d’oggi siamo consapevoli che la fortuna e prosperità delle calotte glaciali, degli alberi e delle farfalle ha un impatto diretto sulla nostra fortuna e prosperità. Infatti, oggi siamo consapevoli di una nuova modalità delle interconnessioni sistemiche. Certamente anche Spinoza comprendeva che tutte le sostanze e enti sono parti interconnesse della natura, ma lo comprendeva in termini strettamente metafisici, non in termini di sistemi ecologici. Dal suo punto di vista nel 1660, Spinoza non capiva, come sostiene il nuovo ambientalismo, che sia bene, anzi necessario, per la conservazione della vita umana che le calotte glaciali rimangano congelate e che la foresta amazzonica rimanga intatta. Ma, comunque si voglia approcciare la questione il punto è che la comprensione della nostra profonda interdipendenza da tutta la natura, in senso biologico, è un prodotto delle conoscenze che abbiamo acquisito nel tardo Antropocene. Silent Spring [Primavera silenziosa] (1962) di Rachel Carson38 sarebbe stato un lavoro pionieristico in questo senso.

La rielaborazione dell’etica umana riguardo la Natura, alla luce delle conoscenze riconosciute del nuovo ambientalismo, considera che oggi dovremmo sforzarci di sostenere la fortuna e prosperità di altri animali e cose naturali, certamente non per pietà, senso di colpa oppure per semplice affetto, ma perché la loro prosperità sarebbe essenziale per la nostra fortuna. Una tale posizione non sarebbe affatto diversa dalla visione di Spinoza. Di fatto, come precedentemente specificato, per Spinoza, “buono” è ciò che certamente sappiamo essere utile a noi e, dunque, conosciamo chiaramente l’utilità delle calotte glaciali che rimangono congelate, dell’Amazzonia che rimane intatta e delle api e delle farfalle che continuano a prosperare. Secondo Spinoza, questa conoscenza certa dovrebbe determinarci a lottare per quei fini. Dato che ormai sapremmo che il prosperare di altri esseri sulla Terra sia strumentale al nostro, cosa ci impedirebbe di lottare per questo? Spinoza sostiene in proposito che le passioni e le idee inadeguate possono farci deragliare dall’affermare e dall’agire su ciò che sappiamo essere buono. Di conseguenza, in questi casi servirebbero leggi per farci agire bene, leggi che sarebbero determinate da uno Stato che si accorderebbe su obiettivi condivisi. Le leggi ci direbbero come agire quando non sappiamo, o non riusciamo a ricordare, cosa sia bene per noi.

Sebbene non possiamo attribuire esattamente questa visione allo stesso Spinoza, dalla sua filosofia seguirebbe che si dovrebbe legiferare per la fortuna e prosperità degli altri esseri non umani. E sarebbe nel nostro interesse farlo. Naturalmente, gli stati e le unioni di stati legifererebbero per la protezione e i diritti dell’ambiente. Ma, i sostenitori di svariate tendenze politiche che convergono nell’idea di un governo planetario considerano che gli accordi nazionali e persino internazionali non fornirebbero leggi di vasta portata per rispondere ai cambiamenti climatici antropogenici e che ciò che sarebbe necessario per affrontare la crisi climatica sarebbe proprio una legislazione sulla scala dell’intera Terra cioè una nuova narrativa di contratto sociale.

In Down to Earth, Latour,39 ad esempio, suggerisce di andare oltre la narrativa dello stato civile per spingerci verso l’utopia di ciò che lui denomina uno stato terrestre, il cui obiettivo è il fiorire di tutti gli individui (umani e non umani) e dei sistemi che lo compongono. Questa sarebbe, infine, una nuova versione della storia del contratto sociale. La sua formulazione classica, utilizzata da Hobbes e Spinoza per pensare ai fondamenti della politica, si collocherebbe nell’era dell’Olocene, immediatamente precedente all’Antropocene. Per neutralizzare la nostra paura della violenza reciproca (così va la storia), noi, esseri umani, abbiamo rinunciato al nostro diritto naturale e formato lo stato civile. Stando a questa visione, giungere al contratto sociale o stato civile, ci ha permesso di capire che il nostro sviluppo dipendeva dalla collettivizzazione del nostro potere. Ora, nel tardo Antropocene, secondo Latour, ci ritroviamo di nuovo, effettivamente, nello stato di natura: uno stato di paura costante, spinti e inorriditi dal nostro diritto naturale di fare tutto ciò che possiamo. Al riguardo Latour sostiene che abbiamo bisogno di una soluzione politica nella forma dello stato terrestre che collettivizzi i poteri di tutti gli esseri viventi e miri alla conservazione e al prosperare della vita in quanto tale. Dal suo punto di vista, evidentemente ambiguo, in quanto un tale stato suona piuttosto ad un grande apparato di controllo totalitario della vita, una tale mossa neutralizzerebbe la nostra paura del nostro potere. Parafrasando il suo Down to Earth si potrebbe considerare che Latour lanci una proposta del regime politico del nuovo clima.

Utopia o proposta di regime, Latour sostiene che dovremmo sostituire il concetto di natura, come cornice per l’azione umana, con un concetto di vita terrestre globale. Su questo modello, la Terra stessa sarebbe intesa come un attore politico e la politica diventerebbe una sfera in cui noi, umani, avremmo un ruolo non centrale. In un contratto sociale terrestre globale, noi rinunceremmo al nostro diritto naturale su altre specie e accetteremmo di cooperare con gli altri non esclusivamente umani da cui dipendiamo reciprocamente. Questa visione di una politica della Terra non costituirebbe un “ritorno alla natura”, o un tentativo di ricostruire la natura prima dell’intervento umano. Questa posizione non richiederebbe nemmeno la rimozione degli stati civili o il capovolgimento del progresso umano. Come tutte le strutture politiche, lo “stato terrestre globale” sarebbe una cosa pubblica artificiale, una res publica, che deve essere costituita dai suoi membri tutti e fatta funzionare attraverso leggi e istituzioni.

Come funzionerebbe in pratica uno Stato come quello ideato da Latour? Potremmo chiederci, e infatti alcuni studiosi si chiedono, ad esempio, se gli altri animali e gli insetti diventerebbero cittadini. Se i fiumi e le foreste dovessero avere un seggio all’ONU come provocatoriamente si chiede Anna Grear nel suo saggio sulle insidie di proteggere la natura con diritti in stile umano e di affrontare un’umanità in stile corporativo.40 La natura, come anche in modo provocante si chiedono Chapron, Epstein e López-Bao, dovrebbe essere riconosciuta come soggetto collettivo con diritti legali, come è successo in Bolivia ed Ecuador? Tali strategie hanno, sicuramente, i loro usi e fini, pur se a noi comuni cittadini sono sconosciuti.41 Si potrebbe dire che il dettaglio procedurale di come stabilire uno stato terrestre sia, effettivamente, meno importante della sua utilità come narrativa, come sostengono Isabelle Fremeaux e Jay Jordan.42 A differenza di Hobbes, Spinoza sottolinea che la storia del contratto sociale sarebbe proprio questo: una storia, progettata per legare le persone in quanto cittadini. Ma, come bene sottolineano Fremeaux e Jordan, l’emergere dello stato civile dallo stato di natura non è un fatto storico, ma una finzione, oppure una narrativa, che ci farebbe comprendere il potere e il vantaggio di tutti gli esseri umani se lavorano, o meglio, lavorassero insieme per obiettivi comuni. Quando le persone si impegnano in questa narrativa di uno Stato Terrestre, agiscono in modi che promuovono il bene comune, anche se non comprendono appieno il motivo per cui dovrebbero farlo. Di conseguenza, si può affermare che anche lo stato terrestre sia una finzione altrettanto utile che potrebbe legarci insieme, non solo come umani che cercano la prosperità umana, ma come “terrestri” che cercano la prosperità della vita in quanto tale.

Certamente che possiamo fantasticare e immaginare altri esseri terrestri non umani come costituenti uno stato ma, in qualsiasi modo, sarebbe uno stato con cui ci percepiamo in contrasto, uno stato in cui la “natura” ci appare come l’oggetto, a tratti, della nostra violenza, dalla nostra pietà oppure dalla nostra brama sentimenti alimentati dal senso di colpa verso qualcosa laggiù o lì fuori a cui facciamo delle cose. Stando a Fremeaux e Jordan, ciò di cui avremmo bisogno come psicopolitica di controllo degli umani sarebbe una narrazione che rifiuti quelle percezioni e sentimenti e fondi una cittadinanza di tutti gli esseri viventi. Una storia del “contratto” in cui avremmo, utopicamente, rinunciato al nostro diritto di dominare la natura e ci saremmo resi conto di esserne parte. Nell’utopia di Fremeaux e Jordan il racconto del nuovo contratto sociale ci porterebbe ad agire e a sentire in modo diverso e infonderebbe in noi un impegno verso una legislazione mondiale per un modo di essere sulla Terra meno pauroso, precario e oppositivo (escludente).

Spinoza sostiene che c’è un grande potere nel comprendere che le nostre azioni fanno parte della natura. Perché allora capiamo che tutto ciò che accade è la natura che cambia sé stessa. Per essere cittadini responsabili della Terra, stando all’Etica di Spinoza, è necessario agire per ciò che è veramente a nostro vantaggio, sulla base della comprensione più completa disponibile di ciò che è bene per noi. Se agissimo secondo tale comprensione, eserciteremmo il nostro potere senza paura.

Seguendo il paradigma filosofico di Spinoza, quando smettiamo di temere il nostro potere, possiamo essere in grado di superare le tristi passioni di colpa, biasimo e rabbia che proviamo per la crisi climatica. Perfino non proveremmo alcun pentimento. Perché capire che siamo parte della natura significa comprendere meglio il nostro ruolo causale nei cambiamenti che si verificano sulla Terra. In questa rielaborazione di un’etica umana riguardo la natura comprendiamo che le nostre azioni nell’estrazione di carbone, petrolio e gas erano buone in passato, ma ora sono cattive, non perché siano immorali, ma perché sono cattive per la nostra prosperità. Le tristi passioni che abbiamo rivolto a noi stessi, una volta comprese, cesserebbero, in queste visioni o soggettività, di essere passioni e diventerebbero azioni della mente. In una tale rielaborazione etica potremmo iniziare ad affermare il nostro potere perché fa parte del potere della natura. E la natura, stando a Spinoza, Hobbes ed altri, avrebbe il potere di lottare per ciò che è buono per la vita nel suo insieme.

L’attuale mutazione ecologica sta riorganizzando l’intero panorama politico negli ultimi trent’anni.43 Questo può spiegare il micidiale cocktail di disuguaglianze esplosive, massiccia deregolamentazione e conversione del sogno della globalizzazione in un incubo per la maggior parte delle popolazioni in balia dei loro governanti vincolati da ogni trattato e finanziamento ad una galassia corporativa sconosciuta ai cittadini. Ciò che tiene insieme questi tre fenomeni, secondo Latour, è la convinzione, condivisa da alcuni potenti, che la minaccia ecologica sia reale e che l’unico modo per sopravvivere sarebbe abbandonare ogni pretesa di condividere un futuro comune con il resto del mondo. Da qui il loro disimpegno, come l’ultimo episodio televisivo sulla riscrittura della narrativa sull’Afghanistan. Certamente, non sappiamo se sia ventura o disgrazia per le specie, la natura, in effetti, non giudica, ma non ho alcun’idea di come imparare nuovi modi di abitare la Terra con la specie umana sottoposta a racconti di fortuna sulla sua condizione.

______________Note _________________

1 Ethica ordine geometrico demonstrata o Ethica more geometrico demonstrata; nota anche semplicemente come Etica o Ethica) è considerata l’opera principale del filosofo olandese Baruch Spinoza. L’opera consiste nell’esposizione del suo sistema metafisico, al quale lavorò dal 1661 al 1665 per poi portarlo a termine poco prima di morire. Scritta in latino, fu pubblicata ad Amsterdam nel 1677.

2 Ibidem

3 Ibidem

4 James Ephraim Lovelock. Novacene. The Coming Age of Hyperintelligence. Penguin Books/Allen Lane, UK, 2019 / James Ephraim Lovelock. Novacene. L’età dell’iper-intelligenza. Casa Editrice: Bollati Boringhieri, 2020

5 Quando nel 1979 James Lovelock scrisse il suo primo libro su “Gaia”, cioè la Terra interpretata come un organismo vivente in grado di autoregolarsi, l’ipotesi, così radicale e dirompente, sembrò a molti un’idea assurda e ben poco scientifica ma, dopo decenni di accesissime discussioni, sarebbe diventata ormai un concetto saldamente attestato, sia nell’ambiente scientifico sia nel pensiero comune. In Novacene Lovelock affronta due dei temi inquietanti e complessi della contemporaneità: il nostro rapporto con le macchine intelligenti e il destino della Terra. Secondo Lovelock, l’Antropocene, l’era geologica in cui la nostra specie si sarebbe dimostrata un fattore critico per l’intero pianeta, farebbe presto spazio all’età successiva, il “Novacene”, quella della collaborazione tra l’uomo e le macchine. Nella sua visione, nuovi esseri prenderanno forma dall’intelligenza artificiale che gli umani abbiamo progettato. Stando a Lovelock, penseranno 10000 volte più velocemente dell’uomo e ci guarderanno forse con la stessa condiscendenza con cui noi guardiamo le piante. Eppure, lui sostiene, che tutto questo non si trasformerà in un incubo alla Terminator o alla Matrix, perché questi esseri iper-intelligenti sapranno (anche meglio di noi) di essere totalmente dipendenti dal buon stato di salute del pianeta. Come noi, anche le macchine avranno bisogno del sistema regolatore di Gaia per sopravvivere e, dal momento che Gaia dipende dalla vita organica, sarà loro interesse preservarla. Il Novacene potrebbe essere addirittura l’inizio della conquista dell’intero cosmo da parte di un’intelligenza diffusa. L’alba di un nuovo universo. 

6 Beth Lord. Spinoza’s Ethics: An Edinburgh Philosophical Guide. Edinburgh University Press, Feb 28, 2010

7 Steven Nadler. Why Spinoza still matters. In AEON, 28 April, 2016

8 Beth Lord. We are nature. In AEON, 28 April 2021

9 Michael Ruse. Earth’s holy fool? In AEON, January 14, 2013

10 James Lovelock. The Revenge of Gaia. Why the Earth is Fighting Back and How We Can Still Save Humanity. Penguin, 2007

11 Beth Lord. Kant and Spinozism: Transcendental Idealism and Immanence from Jacobi to Deleuze. Palgrave Macmillan UK, 2011

12 Si denomina empowerment la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale.

13 Beth Lord, op. cit., 28 April 2021

14 Sostanzialmente la prima applicazione del vapore ad un processo industriale, è una pompa a pistone azionata da un motore a vapore a condensazione interna. Essa fu protagonista della prima rivoluzione industriale, in quanto appunto primo esempio di applicazione dell’energia trasmissibile con il vapore, ovvero della trasformazione di energia chimica (data dalla ossidazione combustiva del carbonio con ossigeno) in energia meccanica (espressa in lavoro di sollevamento).

15 Baruch Spinoza. Ethica ordine geometrico demonstrata 1677

16 Ibidem

17 Ibidem

18 James Ephraim Lovelock. Novacene. The Coming Age of Hyperintelligence. Penguin Books/Allen Lane, UK, 2019

19 Timothy M. Lenton , Johan Rockström , Owen Gaffney , Stefan Rahmstorf , Katherine Richardson , Will Steffen & Hans Joachim Schellnhuber. Climate tipping points – too risky to bet against. The growing threat of abrupt and irreversible climate changes must compel political and economic action on emissions. Nature 575, 592-595 (2019)

20 Baruch Spinoza. op. cit. 1677

21 Il capolavoro filosofico di Spinoza, l’esposizione del suo sistema metafisico, al quale lavorò dal 1661 al 1665 per poi portarlo a termine poco prima di morire. Scritto in latino, fu pubblicato ad Amsterdam nel 1677.

22 Beth Lord. op. cit., 2010

23 Questo termine vuole rappresentare la spinta alla vita in sé senza finalità, in cui l’unico orizzonte di felicità possibile per l’uomo è la comprensione dei suoi meccanismi, e che ci può porre nella condizione di compiere scelte adeguate non sottoposte alla passività delle passioni.

24 Baruch Spinoza, op. cit., 1677

25 Ibidem

26 Ibidem

27 Ibidem

28 Ibidem

29 Ibidem

30 Ibidem

31 Cailin O’Connor and James Owen Weatherall. The Misinformation Age. How False Beliefs Spread. Yale University Press, 2019

32 Bruno Latour. Face à Gaïa : Huit conférences sur le nouveau régime climatique. La Découverte, Paris, 2015 / Down to Earth: Politics in the New Climatic Regime. Polity Press, London, 2018 Stando a Latour, l’attuale mutazione ecologica starebbe riorganizzando l’intero panorama politico negli ultimi trent’anni. Questo potrebbe spiegare il micidiale cocktail di disuguaglianze esplosive, massiccia deregolamentazione e conversione del sogno della globalizzazione in un incubo per la maggior parte delle persone. Ciò che terrebbe insieme questi tre fenomeni, secondo Latour, sarebbe la convinzione, condivisa da alcuni potenti, che la minaccia ecologica sia reale e che l’unico modo per sopravvivere sarebbe abbandonare ogni pretesa di condividere un futuro comune con il resto del mondo. Da qui il loro volo offshore o disimpegno. Per questo sarebbe urgente definire la politica come ciò che conduce verso la Terra e non verso il globale o il nazionale. L’appartenenza a un territorio sarebbe il fenomeno che più necessita di un ripensamento e di un’attenta ridescrizione; imparare nuovi modi di abitare la Terra sarebbe la nostra più grande sfida.

33 Baruch Spinoza, op. cit., 1677

34 Per Spinoza la vera e propria essenza del singolo uomo sarebbe il conatus, cioè la tensione e lo sforzo costitutivo a permanere nel proprio essere ed incrementarlo. Il conatus non è, però, proprio solo dell’uomo, ma di ogni ente, ed è una forza determinata ad affermarsi contro altre forze che agiscono sull’ente (e sull’ente umano); non è indenne perciò dalle “affezioni” o affetti che, anzi, ne determinano la meccanica.

35 Baruch Spinoza. op. cit. 1677

36 Thomas Hobbes, antesignano del Giuspositivismo, sebbene sostenesse la momentanea necessità del Giusnaturalismo come espediente per uscire dallo “Stato di Natura”. È l’autore nel 1651 dell’opera di filosofia politica Leviatano. La descrizione di Hobbes della natura umana come sostanzialmente competitiva ed egoista, esemplificata dalle frasi Bellum omnium contra omnes (“la guerra di tutti contro tutti” nello stato di natura) e Homo homini lupus (“ogni uomo è lupo per l’altro uomo”), ha trovato riscontro nel campo dell’antropologia politica.

37 Stando a Hobbes, questa rinuncia deve essere sanzionata da un patto tra gli uomini, da un contratto sociale che stabilisca che si trasferiscano tutti i diritti naturali, tranne quello della vita, ad una persona o a un’assemblea che gestirebbero per tutti gli uomini, con leggi che farebbero rispettare con la forza, i diritti di natura. Il patto che darebbe vita alla società civile (pactum societatis) sarebbe, in fine, un patto di soggezione (pactum subiectionis). Dalla naturale guerra di tutti contro tutti, l’altrettanto naturale paura della morte porterebbe l’uomo allo Stato Assoluto, al Leviatano che ingloberà in sé ogni singolo individuo, non tanto in quanto cittadino ma suddito. Hobbes è ritenuto quindi un precursore dello statalismo moderno.

38 Il libro è comunemente ritenuto una sorta di manifesto antesignano del movimento ambientalista e descrive con tanto di ricerche e analisi scientifiche i danni irreversibili del DDT e dei fitofarmaci in genere sia sull’ambiente che sugli esseri umani. Il libro è dedicato «…ad Albert Schweitzer che disse “L’uomo ha perduto la capacità di prevenire e prevedere. Andrà a finire che distruggerà la Terra”»

39 Bruno Latour. Down to Earth: Politics in the New Climate Regime. Polity Press, 2018

40 Anna Grear. Redirecting Human Rights: Facing the Challenge of a Corporate Legal Humanity. Palgrave Macmillan, UK, 2010

41 Guillaume Chapron, Yaffa Epstein and José Vicente López-Bao. A rights revolution for nature. In “Science”, Vol. 363, Issue 6434, pp. 1392-1393, 29 March 2019

42 Isabelle Fremeaux and Jay Jordan. We Are ‘Nature’ Defending Itself: Entangling art, activism and autonomous zones. Pluto Press, Nov. 20, 2021

43 Bruno Latour, op. cit., 2018

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