Il ruolo paterno non è stato sempre uguale. Ogni epoca ha le sue specifiche caratteristiche con le quali viene reinterpretato e potremmo dire “reinventato”.
Pensiamo al padre “padrone” dei primi del ‘900, in contrapposizione al padre “mammo” di fine millennio, sino al “papi” di questi ultimissimi anni. Il padre secondo la psicologia junghiana è un’immagine archetipica che costella quadri psicologici individuali e collettivi che si è evoluta nel tempo. Il padre è una vera e propria conquista evolutiva, tipica della specie umana, che nasce come costrutto sociale e culturale, sino a stabilizzarsi archetipicamente in una prospettiva junghiana, con una varietà di comportamenti (pattern) che dal punto di vista psichico finiscono nella successione delle ere e delle genealogie, per costituire una base ereditaria, istintuale, innata.
Rintracciare un’etimologia per la radice della parola padre che si ritrova in quasi tutte le lingue indoeuropee non è semplice e a tutt’oggi ci sono solo numerose ipotesi. Il termine “padre” sta ad indicare l’uomo che ha generato rispetto alla prole e anche all’ambito familiare. Quella del padre è comunque una figura dalle mille sfaccettature, spesso conflittuali, difficili da identificare nel suo ruolo e nella sua funzione.
Come figura dominante ha rappresentato il potere di decisione. Scarsamente coinvolto nella cura e nell’accudimento della prole, a lui spettava la responsabilità dell’educazione morale e religiosa dei figli, in un modello basato sulla paura e sul rispetto delle regole e del rigore morale per evitare punizioni. Il rapporto padre-figli, insomma, era scarsamente affettivo e superficiale.
Incarnava l’autorità, nel bene e nel male, in molteplici modi, tenendo in alcuni casi soggiogati a sé la moglie e i figli, spesso numerosi, anche fino a tarda età e difficilmente lasciava la leva del comando, controllando la vita dell’intera famiglia. La famiglia patriarcale così fortemente connotata è sopravvissuta fino al dopoguerra: con l’avvento della società industriale e post-industriale questo modello di famiglia gradualmente è tramontato, facendo spazio a un clima più democratico. Con il femminismo da un lato e la contestazione giovanile dall’altro (‘68) il ruolo paterno ha subito un ulteriore perdita di autorità, autorevolezza, non collocandosi più come possibile modello di ispirazione.
La struttura archetipica delle ribellioni al paterno.
A fine anni ’60 del secolo scorso infatti ritroviamo le ribellioni alla struttura archetipica del padre dispotico, normativo, che ha richiesto una crescita da parte del figlio, chiamato a una forma di superamento del padre stesso attraverso forme di lotta – sovente ideologizzate – ma pur sempre dense di contenuti, simbologia, pensiero in contrapposizione frontale al padre autoritario.
Gradualmente ci si avvia al passaggio dove nella famiglia le relazioni affettive diventano più calde sia fra marito e moglie, sia nei riguardi dei figli e porta il padre a condividere l’autorità e la responsabilità dei compiti educativi-genitoriali con la madre.
Le figure di padre e madre sono quindi molto più simili rispetto al passato.
“Essere padri” può accogliere in sé lo sviluppo delle qualità affettive, di accoglienza intima, che secoli di codice maschile hanno in qualche modo soffocato in una riservatezza inaccessibile. Nel primo anno di vita e in generale nella prima infanzia il ruolo preponderante è quello del codice materno che nutre, scalda, si prende cura e protegge, un vero e proprio continuum di quella che è stata la vita intreuterina.
Il padre moderno riesce comunque oggi, più di prima, ad essere presente e coinvolto in questa prima parte della vita del nascituro e in questi compiti. Ma durante la crescita, è il codice paterno che deve poi prendere spazio al fine di promuovere l’indipendenza progressiva da parte del bambino.
La madre mette al mondo, il padre mette nel mondo.
La paternità nasce dall’estraneità, perché la paternità si può pensare, ma non si può vivere sul proprio corpo. Ma è fondamentale che questa estraneità si tramuti in appartenenza, affinché i figli possano crescere come individui completi. A favore di questa consapevolezza giocano gli orientamenti culturali che già da almeno un decennio spingono verso un maggiore coinvolgimento del papà, già prima dell’evento della nascita. I reparti materno infantili, per esempio, favorisconola partecipazione dei papà ai corsi di pre-parto, sono preparati ad accogliere il papà in sala parto per collaborare (e non assistere come comunemente si dice) al parto. Si registra un passaggio dalla presa in carico della partoriente all’accoglimento di una triade familiare (nel caso del primo parto) composta dalla coppia e dal nuovo nato. Quando nasce un bambino nasce anche una mamma e un papà. In realtà quello che sta cambiando è la forma e la natura dell’agenzia educativa famiglia, nella quale il ruolo del padre acquista nuove funzioni, non ultima quella legata alle competenze emotive.
Dopo i primi sette anni, il papà diventa lo scudo fondamentale da interporre tra la paura e il pericolo percepito.
I bambini spesso preferiscono il gioco con il padre, che può essere più emozionante ed eccentrico della relazione con la madre. Padre e figlio possono instaurare un legame e una relazione caratterizzata dal conforto e dal supporto.
Recenti studi rivelano che lo stile e la capacità creativa con i quali il padre interagisce e gioca con il bambino determinano un processo di attivazione dei meccanismi neuronali, migliorano le capacità cognitive e di apprendimento, favoriscono l’autonomia e il senso di sicurezza. Tramite il contatto fisico, la famosa lotta, il gioco dei cuscini, o il braccio di ferro, da bambini, insegnano ai figli a stare nella relazione. Fanno sperimentare il senso del limite, del confine oltre il quale non andare: il senso del limite riporta anche alla capacità di sperimentare l’attesa e la pazienza, doti necessarie per costruire la fiducia nell’altro, e nel futuro.
l padre può aiutare a volare, incoraggiando i figli, trovando un giusto equilibrio tra opposte polarità, ed insegnare a rischiare “bene”, soprattutto nel periodo adolescenziale.
Il rapporto padre e figlio diventa più delicato quando i genitori scelgono di prendere strade diverse. Facilmente sarà la figura della madre a continuare a vivere in casa con i figli. Quando la figura paterna è assente, debole o non disponibile, questo meccanismo può alterarsi, lasciando il figlio spaesato e vulnerabile in un mondo vissuto come minaccioso e più grande di lui.
È fondamentale trasferire fiducia e sicurezza nonostante questo cambiamento, soprattutto dal secondo settennio, fase di sviluppo e identificazione. Lunghi discorsi non serviranno a molto, sarà il comportamento di mamma e papà a facilitare o meno la nuova situazione. Urla o modi violenti verranno riportati nel mondo esterno come forma di insicurezza. Insicurezza e caos sono una miscela per i fondamentalismi, l’aggressività, i movimenti scomposti di figli che non hanno più certezze.
Un papà ancora presente, il relazionarsi in modo gentile e rispettoso tra genitori davanti ai figli, mettendo da parte le scelte di coppia, sarà loro d’insegnamento rispetto a lealtà e correttezza, portandoli a comportarsi nello stesso modo, aldilà delle circostanze, permettendo inoltre di mantenere inalterati i punti di riferimento affettivi e i concetti di unione, integrità e famiglia. Questo può valere archetipicamente e a livello collettivo, ma non necessariamente vale per tutti i singoli soggetti di quella collettività.
Tuttavia, ci piaccia o meno, i figli hanno bisogno di due genitori. La figura della madre non può sostituirsi a quella del padre. È sano che le due figure genitoriali mantengano i propri ruoli.
La nostra epoca appare “segnata” dalla morte del Padre, dalla morte di Dio, come aveva proclamato Nietzsche.
Una società senza padri è come una psiche senza funzione paterna: caotica e infeconda, insicura, senza senso del limite ma anche della crescita.
Tra le tanti frasi, assai poco gradevoli, che a volte si sentono dire, me ne sovviene una – Ma ti si è bloccata la crescita? – usata per caratterizzare comportamenti o atteggiamenti particolarmente immaturi, intollerabili, che ricordano un possibile trauma del bambino in particolari fasi dello sviluppo.
E a questo proposito il mio pensiero va alla puntualità della natura, alle similitudini delle piante con l’essere umano e al loro generoso aiuto affinché non si perdano gli equilibri, in questo caso anche i ritmi di crescita psicofisica, in corrispondenza di delicati passaggi.
Il papà non è solo l’amico delle capriole sul letto grande, non è solamente l’albero al quale mi arrampico come un piccolo orso, non è soltanto chi tende con me l’aquilone nel cielo. Il papà è il sorriso discreto che fa finta di niente, è l’ombra buona della grande quercia, è la mano sicura che mi conduce nel prato e oltre la siepe.
Musacchio
La Grande Quercia, l’albero buono, simboleggia la Forza di Vivere, la Tranquillità dello Spirito, la Rettitudine e la Tenacia.
Tutti gli Alberi hanno in sé il seme della crescita lenta e costante, delle radici profonde, del tronco solido. Sono l’archetipo della grandezza, della proiezione verso l’alto, della protezione.
In fitoterapia, i Fitoembrioestratti o fee, appartenenti alla pianta dell’Albero, per l’insieme di informazioni che portano di tutte le parti della pianta, dalle radici ai germogli, sono molto consigliati nell‘uomo come nel bambino, diventando anch’essi archetipi.
Il fitoembrioestratto di Quercia, è indicato nel sostenere soprattutto l’uomo nei momenti di debolezza, inadeguatezza di fronte a nuovi cicli di vita, a responsabilità (come potrebbe essere anche quella della paternità o della paura di esserne sopraffatti), e anche negli stati di shock.
L’albero di supporto, centrale nella crescita del bambino è invece l’Abete Bianco.
Questo albero, il più alto d’Europa, simbologgia la verticalità (raggiungere i 65 metri), la grande vitalità (vive fino a 250 anni), profondità e centralità (la sua radice centrale funge da perno delimitando bene il territorio con le sue altre profonde vigorose radici).
Per le peculiari caratteristiche Abete Bianco fee è coadiuvante fondamentale nel terreno di crescita del bambino, nell’ottimizzare il suo sviluppo, nel (ri)strutturare i valori profondi, di fedeltà.
Lo aiuta a non perdere il contatto con le radici familiari, per l’azione rimineralizzante favorisce l’altezza (verticalità), è efficace nei dolori di crescita, nello stimolo dell’azione degli osteoblasti e la sintesi dei globuli rossi (eritropoiesi).
Un altro interessante sostegno lo troviamo nell’albero di Betulla Bianca, albero del nuovo inizio, albero cosmico, con grande necessità di luce per crescere.
La Betulla Bianca fee ha azione rigenerante, anche del tessuto osseo.
Nel bambino, oltre che per la struttura, grazie all’importante attività nei disturbi renali, interviene quando lo squilibrio affettivo e la paura della perdita, compromettono il controllo urinario con rischio di enuresi notturna.
Simbolicamente, sul piano mentale, aiuta nell’autonomia, nella crescita personale, nel riprendere le redini della propria vita, che si tratti di adulti piuttosto che di ragazzi.
L’utilizzo dei FitoEmbrioEstratti nella Medicina della Persona si conferma sempre molto efficace e prezioso poichè, come si può intuire, agiscono
sul versante psicosomatico mente e corpo.
Se poi vogliamo mettere al riparo le emozioni, tra gli alberi-archetipo troviamo l’albero di Larice, Larch, utilizzato nella Floriterapia
L’albero di Larice genera fiori maschili e femminili sulla stessa pianta. I fiori femminili sono visibili poiché ovali, allungati e assumono spesso colorazioni rosate, da rosa acceso a rosse. Se impollinati, i fiori femminili generano piccole pigne allungate, che possono raggiungere i 4 cm e possono restare sulla pianta anche per diversi anni. I fiori maschili sono, invece, piccoli e di colore giallo.
Larch si consiglia in caso di blocchi del normale sviluppo emotivo, quando la causa risiede nella debolezza della figura genitoriale che non appare in grado di sostenere e dare sicurezza al bambino. Ma anche al genitore che non si sente all’altezza del proprio compito.
Restituisce la fiducia in sé stessi, nelle proprie capacità e potenzialità.
Non è difficile diventare padre, essere un padre, questo è difficile”
W. Busch
Questa consapevolezza ci lascia la speranza di qualche figlio capace di pensare e costruire un nuovo modello paterno in cui egli stesso possa riconoscersi.