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13 Marzo, 2024

Il farmaco omeopatico come via di accesso alla dimensione simbolica, tra psiche e materia

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Il presente lavoro è un tentativo di ordinamento dei fatti osservati. L’unica prova che si richiede è che l’omeopatia funzioni.  Una volta assodato questo, le conclusioni derivano in maniera coerente dall’analisi dei fatti.

Da quando esiste la cultura umana, esiste una dimensione intermedia tra la sfera della materia e quella della psiche che chiamiamo simbolicaLa capacità di simbolizzare è la caratteristica distintiva degli esseri umani, tanto che si può definire l’uomo un animale simbolico

Invece di definire l’uomo come un animal rationale si dovrebbe quindi definirlo animal symbolicum. In tal modo si indicherà ciò che veramente lo caratterizza e lo differenzia rispetto alle altre specie e si potrà capire la speciale via che l’uomo ha preso: la via della civiltà (Cassirer, Un saggio sull’uomo – 1944).

Nonostante la grande importanza di questo concetto, la definizione di simbolo, però, è tutt’altro che chiara ed univoca. Con la medesima parola si intendono spesso cose molto diverse, tanto che già Kant si lamentava dello «stravolgimento di senso» del termine «simbolico», quando viene impiegato per la semplice «designazione di concetti per mezzo di segni sensibili concomitanti», ovvero come sinonimo di segno (Kant, Critica della facoltà di giudizio – 1790).
La lamentela di Kant è stata ripresa da C. G. Jung, che ha fatto chiarezza distinguendo nettamente il simbolo, il segno e l’allegoria.

Il simbolo, per Jung, è:

la migliore indicazione o espressione possibile di un dato di fatto relativamente sconosciuto, ma la cui esistenza è riconosciuta o considerata necessaria (Jung, Tipi psicologici – Opere complete vol. 6 – 1921).

La caratteristica fondamentale del simbolo è, dunque, quella di evocare una realtà nascosta, non immediatamente inerente.
Questo spiega la sua etimologia, dal greco sy’mbolon, derivato da symballo, «mettere insieme», termine che nell’antichità indicava anche una prova di riconoscimento, per la consuetudine di spezzare irregolarmente un oggetto – ad esempio una conchiglia o un pezzo di legno e di consegnarne ciascuna metà ad una famiglia, i cui membri in futuro avrebbero potuto riconoscersi e confermare la loro amicizia, facendo combaciare le due parti in loro possesso.
Un vero simbolo è, quindi, sempre al confine tra determinato e indeterminato, tra coscienza e inconscio, tra psiche e materia. Descriverlo perfettamente, traducendone il senso nel linguaggio razionale, è impossibile.

Ben diverso è invece il segno, che corrisponde alla semplice analogia con una cosa che ha un significato fisso, il cui contenuto è già noto alla coscienza: il cane è segno della fedeltà, il leone della forza, la rosa dell’amore, e via dicendo, anche se in questi casi viene spesso usato il termine simbolo.

Dipende unicamente dal soggetto vedere un determinato oggetto come simbolo oppure come segno: la ruota alata dell’impiegato delle ferrovie, ad esempio, può essere vista come un simbolo, nel qual caso indica «una realtà sconosciuta la quale non può essere espressa altrimenti e meglio che con una ruota alata» (Jung 1921, cit.), oppure essere considerata un semplice segno dell’appartenenza alla società ferroviaria.

La confusione tra i due termini è molto frequente. Ad esempio, nella teoria di Freud ciò che viene indicato come simbolo è in realtà un segno: l’ombrello indica il sesso maschile, la borsa quello femminile. Il rapporto è fisso, ed entrambi i termini sono già conosciuti. L’allegoria, infine, indica una «intenzionale circonlocuzione o modificazione di una cosa conosciuta» (Jung 1921, cit.)

La dea bendata con la spada in una mano e la bilancia nell’altra, ad esempio, è la rappresentazione allegorica della Giustizia.

Una forma diffusissima di comunicazione allegorica viene oggi dal mondo della pubblicità: quattro individui sorridenti seduti al tavolo della colazione rappresentano allegoricamente la Felicità, che viene associata a una marca di biscotti, per indurre ad acquistarli. Oppure, un’automobile sportiva viene associata alla Libertà, una certa bevanda alla Gioventù, e via dicendo.

Il fatto che un determinato oggetto possa rappresentare un simbolo dipende, dunque, dalla capacità della psiche di creare un sym-bolon, un ente intermedio tra i due poli della psiche e della materia, che non coincide con nessuno dei due ma li collega in maniera indissolubile.
Quest’operazione può essere compiuta su ogni elemento del mondo materiale.

Jung ha definito funzione trascendente la capacità della psiche di esprimersi attraverso simboli, mediando tra due opposti.
Grazie a questa funzione, il Mare-simbolo o la Tarantolasimbolo diventano qualcosa di diverso dagli oggetti materiali ai quali si riferiscono, e si vanno a collocare in un luogo intermedio tra psiche e materia, che collega questi due poli. Il Mare – ad esempio – diviene simbolo dell’Inconscio collettivo «perché nasconde profondità insospettate sotto una superficie riflettente» (Whitmont, Omeopatia e psicanalisi. La medicina omeopatica alla luce della psicologia junghiana – 1987), e la Tarantola genera il fenomeno culturale del Tarantismo.

Simbolizzazione per via psicologica

Esempio 1)

Esempio 2)

Il processo di simbolizzazione per via psicologica è l’unica modalità di accesso all’area intermedia tra psiche e materia che viene attualmente riconosciuta dalla nostra civiltà.
Altre possibili modalità di accesso a questa dimensione – ad esempio le complesse attività legate all’alchimia o alla preparazione di amuleti, che pure consistono di lunghe ed elaborate prassi di manipolazione di oggetti materiali – sono prese in considerazione unicamente a partire dal primato della psiche: si considera che possano ‘funzionare’ solo perché stimolano la psiche a creare un simbolo, e gli articolati rituali di lavorazione di oggetti materiali che le caratterizzano sono ritenuti dei semplici facilitatori di questa funzione psichica.

La medicina omeopatica dimostra, però, che c’è almeno un’altra maniera per accedere a questa stessa area psicofisica: la dematerializzazione che conduce al rimedio omeopatico.

Anche questo processo conduce la sostanza materiale verso una dimensione simbolica, di ponte tra materia e psiche, facendo emergere elementi simili a quelli che scaturiscono dal processo di simbolizzazione operato dalla psiche.
Possiamo infatti notare che, molto spesso, il quadro che emerge dai provings omeopatici corrisponde più all’aspetto simbolico della sostanza che alla sua struttura materiale.

Uno dei casi più evidenti è proprio quello di Tarentula Hispanica da un lato, e del Tarantolismo dall’altro.
Possiamo affiancare due testi fondamentali sull’argomento: E. De Martino per il versante simbolico, M. Mangialavori per quello omeopatico.

Il famoso studio sul campo di De Martino spiegava il comportamento dei tarantolati a partire dalla « trama simbolica del mito della taranta», spiegando che il morso del ragno reale – Lycosa Tarentula, o Tarentula Hispanica, o altri ragni velenosi della zona – non ha nulla a che fare con le manifestazioni osservate. (De Martino, La terra del rimorso. Il Sud tra religione e magia – 1961)

Ma anche le osservazioni ed i provings di Tarentula Hispanica sono molto lontani dall’effetto del ragno reale, e mostrano invece una sorprendente affinità con il comportamento dei tarantolati: la sensibilità alla musica ritmica, il senso di persecuzione, il comportamento trasgressivo e oppositivo, la necessità di un pubblico osservante, l’estrema irrequietezza, e via dicendo. Come spiega M. Mangialavori: queste analogie non hanno nulla a che fare con il veleno reale ma tanto con quello simbolico (Mangialavori, Materia Medica Clinica. Alcuni aracnidi in medicina omeopatica.Tarentula e similari – 2019).

Queste osservazioni confermano che il processo di dematerializzazione omeopatica è in grado di condurre una sostanza materiale in quello stesso luogo terzo, intermedio tra psiche e materia, verso cui la conduce il processo psicologico di simbolizzazione.

È quindi possibile affermare che ogni elemento esistente in natura può accedere alla dimensione simbolica, intermedia tra il mondo della psiche e il mondo della materia, in almeno due maniere:

  • attraverso il processo psicologico di simbolizzazione;
  • attraverso la dematerializzazione omeopatica.

Entrambe le vie, simbolizzazione o dematerializzazione, conducono ad oggetti simbolici che hanno proprietà molto simili, e differiscono per il fatto di avere una maggiore possibilità di interazione con il mondo della psiche (simbolo psicologico) o con quello della materia (rimedio omeopatico).

Anche l’arte scaturisce dalla medesima area simbolica in cui opera il rimedio dematerializzato. Ritroviamo, ad esempio, il tema della Madre-Ragno in una famosissima scultura di L. Bourgeois, dal titolo Maman.

È per questo che l’omeopatia può avvalersi, per l’individuazione del tema del rimedio dematerializzato, del corredo simbolico che nel corso dei secoli gli esseri umani hanno prodotto nei confronti di un determinato oggetto del mondo minerale, vegetale o animale. 

L’aspetto simbolico della sostanza dematerializzata si manifesta nei provings delle sostanze dematerializzate, dove però è scomposto in moltissimi singoli items, e deve essere pazientemente riconfigurato dagli omeopati per individuare il nucleo tematico del rimedio.
Si tratta di un’operazione tutt’altro che semplice, dal momento che le descrizioni lineari sono del tutto insufficienti, data la caratteristica del simbolo di contenere molteplici prospettive. 

Un interessante tentativo di cogliere la multiforme valenza simbolica del rimedio omeopatico è stato fatto da J. Scholten, che ha cercato di esporre i molteplici punti di vista da cui descrivere le possibili ‘varianti’ di ogni singolo rimedio. (Scholten, Omeopatia e Minerali – 2001)

La dimensione simbolica si sta evidenziando sempre di più nella medicina omeopatica moderna, grazie ai recenti sviluppi che hanno esteso la sfera d’azione del rimedio dematerializzato all’intera Tavola Periodica degli Elementi, e a partire da questa all’intero mondo naturale, vegetali ed animali inclusi.
Per quanto riguarda il Regno Animale, ad esempio, è decisamente affascinante constatare come si possa accedere alla «trama simbolica» (De Martino) di ogni essere vivente attraverso la dematerializzazione omeopatica di un minuscolo componente della sua struttura materiale, come una piuma o una goccia di latte.

È così possibile affiancare un testo come quello dello psicoanalista junghiano J. Hillman sul simbolismo degli animali nel sogno al lavoro degli omeopati indiani Bhawisha e Shachindra Joshi sui rimedi preparati a partire dal mondo animale.

È importante precisare che l’accesso alla dimensione simbolica non dovrebbe sostituire, ma aggiungersi al collaudato impiego tradizionale dei risultati dei provings e del Repertorio omeopatico, basato sulla grammatica dei segni, come direbbe Foucault, e non sulla loro semantica, come nel loro utilizzo per la configurazione simbolica.

I singoli items dei provings e del Repertorio, in altre parole, possono essere usati sia secondo il metodo tradizionale di individuare, grazie alla corrispondenza delle singole voci, il rimedio più simile alla condizione di malessere presentata dal paziente (sintassi), sia come singoli elementi di un puzzle che, ricostruito con pazienza dagli omeopati, permette di individuare il nucleo del rimedio e il suo significato simbolico (semantica).
In un ipotetico aggiornamento del Repertorio, la dimensione simbolica potrebbe così essere inquadrata in un capitolo dedicato, al quale conferire un valore molto alto nella gerarchia dei sintomi, ad un livello simile a quello dei sintomi «più evidenti, straordinari, non comuni e peculiar descritti nel paragrafo 153 dell’Organon.

Si tratta, comunque, di una prima ipotesi, da rivedere e perfezionare. E un discorso simile andrebbe probabilmente fatto anche per le nuove modalità di individuazione del rimedio omeopatico basate sulla Tavola Periodica degli Elementi, sviluppate recentemente da R. Sankaran, J. Scholten e dagli stessi Joshi, delle quali non possiamo però occuparci in questa sede.

Ciò che è fondamentale rilevare, è comunque il fatto che l’omeopatia, proprio mentre viene attaccata da tutte le parti, nel corso di una crisi della nostra civiltà che ha come centro nodale proprio il complesso rapporto tra la salute dei cittadini, i differenti sistemi di cura e lo strapotere di alcuni gruppi economici e politici, si espande e si perfeziona in una maniera straordinaria.

Viene spontaneo paragonarla alla nottola di Minerva, l’animale sacro ad Atena, che simboleggia la filosofia e che, come quest’ultima, spicca il suo volo al crepuscolo, ovvero al tramonto di una civiltà, come ha sottolineato Hegel.

Per inciso, questa nottola o civetta è oggi anche un rimedio omeopatico, Athene noctua, nella cui descrizione gli Joshi scrivono, tra l’altro:

Questi individui hanno la sensazione di essere piccoli e silenziosi e quindi sono molto strategici nell’approcciare situazioni di conflitto (…) Sebbene abbiano forti punti di vista e opinioni, giudicheranno ogni situazione e quindi si comporteranno di conseguenza (…) Hanno bisogno di essere preparati ad ogni situazione e si impegnano nel pianificare, studiare future prospettive, e riflettere in maniera approfondita sul futuro (Joshi, The System of Map and Birds in Homeopathy 2020).

Non sembra una buona immagine anche dell’omeopatia? In effetti, questo straordinario sistema di cura sta spiccando il volo al crepuscolo della nostra civiltà, e deve faticare non poco, e usare molte strategie (e probabilmente ce ne vorrebbero ancora di più) per difendersi dai continui attacchi da parte di fortissimi poteri economici e politici, che stanno cercando di trasformare la medicina in uno strumento finalizzato al massimo profitto e al controllo sociale, e non vedono certo di buon occhio una scienza che si propone unicamente, con mezzi semplici ed economici, di rendere sani i malati, ossia, come si dice, di guarirli (Organon, § 1).

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