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11 Gennaio, 2021

La relazione come cura

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La scienza contemporanea invita a considerare che non esistono cose e oggetti, ma piuttosto relazioni. Così, si può dire che la medicina non esista fuori di una relazione di cura che si instauri.

Già Heidegger indicava il nostro essere nel mondo come un prendersene cura. Ciò che può avvenire in due differenti modalità: nel modo autentico a cui la nostra mortalità ci invita; o nel modo inautentico cui siamo soggetti nel dominio della tecnica.

Ragionando anche sull’etimologia del termine ‘medicina’ (dal verbo greco mèdomai, darsi pensiero per qualcuno) scrive Umberto Curi (Le parole della cura, 2017): “Medico è dunque colui che istituisce una relazione, connotata dalla sollecitudine per la condizione altrui. La medicina è perciò un’attività relazionale, nella quale sono coinvolti almeno due soggetti”.

Terapia è una relazione di cura. To cure è anzitutto to care, avere a cuore qualcuno. La tecnica della medicina deve condividere la virtù dell’onestà e del rispetto, di cui Zeus fece dono agli uomini dopo che Prometeo aveva rubato il fuoco agli dei. Meno evidente che narrativa, la medicina è questa relazione di ascolto.

Platone aveva ben distinto il medico libero dal medico schiavo.

il medico schiavo, dopo aver prescritto in base all’esperienza ciò che gli sembra opportuno, di corsa se ne va da un altro schiavo malato e così allevia al padrone la cura dei malati; il medico libero, invece, generalmente cura e indaga le malattie dei malati liberi e, studiandole dal principio secondo la loro natura e dialogando con il malato e suoi cari, impara qualcosa egli stesso dei malati e nel contempo impartisce nozioni all’infermo per quanto gli è possibile e non dà alcuna prescrizione prima di averlo convinto: solo allora, rassicurando il malato tramite la persuasione e un’assidua preparazione, cerca di restituirlo alla perfetta salute”.  (Leggi, IV 720 c-e)

 

Cura è il nome di una divinità, il cui racconto favoloso da Heidegger è stato ripreso. Ella raccoglie nei pressi di un fiume del fango argilloso e lo plasma, gli dà forma, chiedendo poi a Giove di infondergli lo spirito.

Nasce poi una discussione su chi debba dare il nome a ciò che è stato fatto. Saturno risolse così la discussione: alla sua morte Giove ne avrebbe avuto l’anima, la Terra ne avrebbe riavuto il corpo, ma a tenerlo in vita sarebbe stata la sollecitudine della Cura. Ed il suo nome altro non sarebbe stato che quello stesso di ‘uomo’.

Alla morte corpo ed anima si separano, ma l’uomo vive nella sua relazione di cura.

 

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