Preoccupata rispetto a come una persona debba affrontare nel profondo ma anche con naturalezza e leggerezza il tema della propria salute, per facilitare il cammino, ho scelto questo tema speciale. Desidero impegnarmi perché ognuno di noi possa comprendere qualcosa che ritengo fondamentale: quali siano le condizioni migliori di vita in cui l’igiene per la propria vita rappresenta semplicemente la “soddisfazione adeguata di una determinata necessità”. Necessità del corpo, della mente, dell’anima e del profondo spirito che ci abita e ci dona gli aneliti e i desideri più ambiti del nostro cuore. Così potremo comprendere bene perché l’igiene è una premessa alla cura medica.
Comprendere i segni che riceviamo per amare noi stessi
Se la persona non ha una forma di vita coerente con se stessa, con la propria natura, con il proprio corpo, con il proprio temperamento e il carattere, ossia con tutta la propria realtà, si ritrova piena di ostacoli che la allontanano dalla salute e la fanno ammalare, opponendosi inconsapevolmente, al proprio benessere e alla possibilità di raggiungere la guarigione e la salute che le appartiene.
Un esempio. Se una persona ha bisogno di fare uno sport stimolante, perché ha un corpo atletico, e non lo fa, i tanti sintomi che si presentano non saranno altro che una reazione naturale dell’organismo maltrattato: forti dolori e nervosismo esasperante possono dipendere anche solo da questo. Di fatto, quando questa persona riesce a fare lo sport stimolante che le piace, tutti questi sintomi passano. Questa si direbbe una falsa malattia, che alla lunga può provocare problemi anche gravi, come una vera malattia. Sintomi che se non ascoltati possono produrre alterazioni importanti. Per compensare ciò è inutile prendere integratori, bio-stimolatori o vitamine. Avrà sempre più peso la mancanza di “quello che manca”, rispetto a tutti gli pseudo nutrienti del mondo.
Nelle nostre riflessioni, è importante considerare da dove partiamo, perché di questo “da dove partiamo” è composto il substrato nascosto di molte difficoltà, che a poco a poco analizzeremo per poter recuperare l’igiene della nostra vita che, altro non è che apprendere a vivere e a viverci.
Siamo fatti di corpo e di spirito
Sopraffatta dalla pubblicità malsana e dal consumismo, dal meccanicismo e dal razionalismo su scala globale, la persona comune sembra considerare l’igiene nel suo aspetto più elementare: la meccanica del corpo, con un certo significato semantico da una certa emotività. Spinta dal senso comune imperante, da quel consumismo esistenziale e dalla necessità di trovare una certa allegria o piacere in questo mondo pieno di calamità (cosa logica, necessaria e naturale), tutto viene rivolto alla soddisfazione della corporeità, nonostante l’insoddisfazione della maggior parte delle persone sia molto più profonda.
Un’insoddisfazione così generale fa pensare a “qualcosa che non funziona”. Si parla, si dice, si percepisce che c’è qualcosa di fondamentale che risulta “insufficiente”, anche se non comprendiamo esattamente cosa. Tutto e niente. Sembra difficile anche da intuire o, se si intuisce, non lo si può dichiarare, perché risulta politicamente scorretto, o collettivamente inaccettabile. Così parrebbe che pensare in profondità, considerare un valore espandere il pensiero in spazi più profondi dell’essere umano, sia un lusso, un’utopia, un infantilismo, un intellettualismo o una divagazione per passare il tempo. Ovviamente, ci sono forze per imporre questa visione. La Medicina considerata “ufficiale” (che fondamentalmente è organizzata in una visione amministrativa, che in molti casi si accontenta di pagare anche chi non è in grado di curare) condiziona qualsiasi altra posizione diversa dalla propria. E’ la medicina tecnica, pragmatica. La medicina dell’”evidenza meccanica e statistica”, la medicina che non solo non vede l’”uomo” ma, con la sua pratica, nega il sapere filosofico, storico, etico e perfino la sua stessa antropologia medica, nonostante il peso fondamentale che questa ha rispetto alla difesa della “totalità dell’uomo”, che è il malato.
Guardarsi dentro: un’attività desueta
E noi esseri umani, volenti o nolenti, siamo caduti nella trappola. Spinti dalle esigenze del collettivo, – non più diretto al bene comune, ma caratterizzato dalla globalizzazione e dal commercio – abbiamo smesso di alzare gli occhi al cielo. Non c’è tempo e c’è troppo smog e gradualmente, senza volerlo, abbiamo smesso di guardare abitualmente dentro di noi – neanche per questo abbiamo più tempo. E quando guardiamo dentro, non sappiamo più ciò che potremmo incontrare, di conseguenza, vista la difficoltà di relazione in un mondo così, con l’appoggio della “new age” imperante, soft e minimalista, è stata coniata collettivamente una frase consolatoria: amare se stessi, quasi fosse la prima e unica cosa fondamentale, e poi rivolgersi agli altri, se c’è tempo, e sopratutto, se si trova qualcuno che innanzitutto ti dia o ti offra qualcosa. E’ dunque ovvio che si pensi che ci debba essere assicurato un vantaggio, in un senso o nell’altro, ma qualcosa che ci porti un vantaggio. Una garanzia del 300% senza il minimo sforzo personale, persino nelle relazioni e nell’amore.
Da questa penosa realtà – di cui sono testimone ogni giorno nella mia attività professionale – muove la prima parte di queste lettere sull’igiene prima del trattamento medico. Ed è per ciò che nell’intestazione ho aggiunto questa riflessione.
E fondamentale dunque comprendere che compiacere è soddisfare i sensi, dilettarsi. Compiersi sarebbe realizzarsi, soddisfare tutto ciò che è necessario per accompagnare se stesse/i verso il proprio fine.
Il compimento produce uomini liberi
Ci troviamo dunque di fronte ad una necessità fondamentale: comprendere e considerare tutto ciò che ci costituisce come esseri umani – almeno grosso modo – per poter soddisfare le nostre necessità – anche queste almeno grosso modo – e, se possibile, realizzarci compiacendoci, cosa che non è in contraddizione o in contrasto.
E’ indubbio che desidero di mostrare come il compiacimento faccia parte del compimento e il compimento porti con sé il compiacimento. Un caso estremo lo denunciava già Seneca quando si chiedeva: “che tipo di follia hanno questi cristiani che vanno al martirio sorridenti e cantando?”. Possiamo dunque anticipare che, perché il compiacimento e il compimento siano uno, devono appartenere all’individuo come un atto libero, ossia, scelto coscientemente dall’individuo stesso. Ciò è cosi certo che è stato creato nella cultura di tutti i popoli. Tanto come il polo opposto. Infatti, senza dover tornare al tempo dei martiri e dei santi, in Messico si dice che “a chi per il suo gusto muore, persino la morte piace”. E in Spagna si dice che “male che piace non duole”. Infine, una serie diversa di affermazioni per assicurare a tutti ciò che popolarmente già sappiamo: esiste una corrispondenza tra compimento, compiacimento e libertà. A parte le molteplici teorie dei diversi periodi, una cosa è chiara: abbiamo un corpo che è formato da una serie di parti che chiamiamo organi semplicemente perché funzionano e devono funzionare armonicamente e in modo organizzato. Questo “corretto” funzionamento produce come risultato un organismo con unità di azione, di senso e di fine, fornendoci così il benessere, la conservazione e la possibilità di fare ciò che sentiamo attraverso noi stessi e che a noi corrisponde. Come dire, agire la nostra decisione, la nostra comprensione della vita, i nostri sentimenti e, in definitiva, la nostra volontà di essere ciò che sentiamo e vogliamo essere mettendo in atto un “fatalismo di persistenza” imprescindibile e scritto dentro di noi per aggiungere il nostro fine ultimo della nostra e individuale esistenza complessa, quotidiana e trascendente. Quindi? Queste nostre parti dunque sono predisposte per un fine: essere noi stesse/i attraverso il nostro organismo “vivente”.
Parlare di igiene a questo livello, significa imparare a conoscere le esigenze di questi organi nella propria realtà personale, irripetibile, che dipende dalla vita, ma libera, capace di autonomia. Vita personale che ha un cammino diverso da quello degli altri, ma che può essere condiviso, ognuno facendo riferimento alla propria totalità; per tanto ogni organo condivide con me come un tutt’uno, il mio sentire, il mio pensare, il mio essere. Inoltre, ogni organo ha una funzione differente che parla di me.
Vecchio come il mondo è che i mali di contrarietà e rabbia si sentono nel fegato, che le sofferenze d’amore si sentono nel cuore, le difficoltà di realizzazione nella testa; certe paure si sentono nei reni e nella vescica e altri ti tolgono il sonno. Ciò che non si digerisce si sente sullo stomaco e nell’intestino… ecc. Tutto ciò è conosciuto da tutte/i, non è necessario fare corsi specialistici di neurolinguistica.
Immanente e trascendente: una sintesi complessa
Una cosa così semplice come questa è già di per se stessa motivo di riflessione. E’ sufficiente per rendersi conto che si deve porre attenzione a ciò che il corpo ci chiede e ci dice. Che ci sono informazione comuni a tutti soggetti a regole standard accettabili, e altre assolutamente personali e che non coincidono le regole standard e per la propria peculiarità e individualità sono molto più significative, superiori e più importanti da ascoltare. Già che quando tutto è in ordine, ciò che il corpo sente è soddisfazione, benessere e vigore. Quando non riceve ciò che deve, la risposta è l’insoddisfazione specifica, la necessità specifica, il dolore specifico. Cioè il disgusto, la sofferenza, il dolore o la malattia.
La complessità nasce quando dobbiamo considerarci così come siamo e sappiamo che siamo: un tutto e non solo un corpo. Come un essere sociale e collettivo e non solo un essere individuale. Come un essere immanente (con i piedi per terra), ma trascendente (che anela profondamente ciò che sta “più in là”). Come qualcuno che sente, pensa, ama e vive la vita con necessità di esprimere la sua intimità, la sua voce. Come qualcuno che ha bisogno di dialogare, cioè di comprendere l’altro ed essere compreso. Questo persona che siamo, con bisogno de “vedere ed essere visto”. Tutto ciò che è necessario e connaturato al nostro semplice “essere umano” e per tanto è necessario per considerare la vera igiene della nostra vita.
Per il momento dovremo imparare, o ricordare, che la salute è uno stato dell’esistenza caratterizzato da un benessere, indefinibile e inconscio e che la malattia è anch’essa uno stato dell’esistenza, caratterizzato da un malessere, definibile e cosciente. Dovremo apprendere, o ricordare, che tutto ciò che accade nel corpo parla della totalità di ognuno di noi per intero e, per questo, sia la salute che la malattia sono stati perfetti dell’esistenza, tanto uno come l’altro, che informano su ciò che è necessario per la conservazione della nostra vita e per il nostro compimento.
Le parole chiave del finale di questa piccola introduzione al tema dell’igiene, proposta perché ognuno possa riflettere sono nutrizione e buon senso per conoscere ciò di cui ho bisogno, ciò che mi fa bene.
Esempio “ad hoc”
Arriva al consultorio una mamma con un bambino de 3 anni che presenta coliche e crampi violenti intestinali con diarrea come acqua e con schiuma. La mamma domanda se le può dare caffè latte al bambino perché non vuole mangiare ne bere altro. Usando la logica standard io le rispondo decisa che assolutamente NO. La madre insiste e io continuo a dire NO. Ma lei insiste, sia nel pomeriggio che al mattino dopo… e continuo a spiegare che è dannoso, etc… Alla fine, la mamma, stufa delle lamentele del bambino gli diede il caffè-latte… prima di dare il rimedio che non trovava in farmacia. La diarrea e le coliche si fermarono “ipso fatto”. Il rimedio era Colocynthis (che presenta e cura coliche violente che migliorano con il caffè)..ma non lo diede mai. Il bambino, istintivamente chiedava ciò che per lui era necessario. Una buona lezione!