Lo scorso autunno si è svolto a Bruxelles il forum “Freedom Drive” per la Vita Indipendente. Da ogni parte di Europa sono convenuti disabili con i loro assistenti personali per confrontarsi su diversi aspetti che caratterizzano la Vita Indipendente. Sono già 20 anni che si realizza questo appuntamento, mentre più recentemente, a Ginevra, l’Onu ha costituito il “Comitato per i Diritti delle Persone con Disabilità” (UNCRPD). Compito di questo Comitato è spiegare in dettaglio il significato di ciascun articolo delle Convenzione sui disabili.
Il punto 16 del documento del 2017 descrive cosa si intende per “vita indipendente. Ovvero avere tutti i mezzi necessari per prendere tutte le decisioni riguardanti la propria vita, compreso l’accesso ai trasporti, all’informazione, alla comunicazione e all’assistenza personale, al luogo di residenza, alla routine quotidiana, alle abitudini, al lavoro dignitoso, ai rapporti personali, all’abbigliamento, all’alimentazione, all’igiene e alla salute, alle attività religiose, alle attività culturali e ai diritti sessuali e riproduttivi… Decidere dove si vive e con chi, cosa si mangia, se si preferisce dormire o andare a letto la sera tardi, stare dentro o fuori casa, avere una tovaglia e candele accese al tavolo, avere animali domestici o ascoltare musica. Quindi la vita indipendente non va intesa semplicemente come la capacità di svolgere le attività quotidiane”.
L’assistenza personale
A questo fine si può osservare che, senza barriere architettoniche, con adeguati ausili tecnici e soprattutto con adeguata assistenza personale, anche con gravi disabilità si può essere pienamente se stessi. Ne consegue che l’assistenza personale è il punto chiave per la vita indipendente.
La mancanza, o l’insufficienza, di assistenza personale fa dipendere i disabili dalla famiglia o li costringe a finire in istituto.
Va considerato che la disabilità deve essere considerata per quello che è, cioè come un fatto naturale della vita, che può capitare a tutti. Judy Heumann, statunitense, sostiene che è necessario “normalizzare” la disabilità. Di conseguenza, sempre da più parti, è stato sottolineato che l’assistenza personale non va più considerata come una specifica necessità per i disabili, bensì dovrebbe essere un servizio normalmente disponibile nella società per chiunque ne abbia necessità.
La tipologia assistenziale
Da parte di vari relatori disabili che hanno partecipato al Freedom Drive, sono state sottolineate le difficoltà a reperire assistenti personali adeguati ed è stato menzionato il fatto che spesso questo lavoro viene fatto da persone straniere provenienti da vari tipi di culture, valori, capacità e preparazione. Il disabile stesso deve comprendere questo e il fatto che sarà sempre più frequente avere a che fare con persone variamente titolate e con sensibilità non sempre affini all’assistito. Ricordiamo che per un disabile grave stare una sera senza assistenza personale può voler dire stare tutta la notte seduto in carrozzina e dover stare anche 12 ore senza andare in bagno.
Queste limitazioni vengono raramente percepite dal legislatore o dal politico ma possono indurre una forma di tortura.
Finanziamenti e diritti
Il diritto alle persone con disabilità ad accedere nelle diverse forme di vita indipendente e autodeterminata passa attraverso il finanziamento diretto di progetti di assistenza personale. La messa in opera dei progetti è autogestita e finalizzata a contrastare l’isolamento e a garantire la vita all’interno della comunità e l’integrazione con il proprio ambiente sociale.
La direzione verso cui dirigersi è ovunque molto chiara: si dovrebbe andare verso una legislazione ispirata, nel suo complesso, a un “Modello bio-psico-sociale della disabilità”, abbracciando l’idea, che a far sorgere la disabilità non siano le menomazioni in sé, ma l’interazione fra queste e le barriere, di varia natura, nonché ai pregiudizi presenti in una data società. Per il fatto che chiunque possa essere o diventare disabile le leggi e le normative che determinano gli aspetti assistenziali dovrebbero rispondere ai bisogni di tutta la comunità in quanto ogni singolo cittadino può incorrere in una disabilità.
Riferendosi all’articolo 613 bis del Codice Penale, nel caso che un disabile rimanga privo dell’assistenza personale prevista perchè viene a mancare il denaro per la necessaria assistenza personale, si verifica la possibilità che il soggetto cada in una condizione di emergenza. Nel caso non si stanziassero risorse sufficienti per l’assistenza personale di chi ha gravi disabilità, si diventa responsabili nell’indurre un “comportamento che deprime, mortifica, esaspera psichicamente” il disabile. Questi termini si avvicinano alla tortura. Certo una tortura passiva e non attiva che non viene considerata un reato ma solo un evento doloroso che accompagna la vita dei disabili.
Quando il finanziamento per l’assistenza personale per la vita indipendente non viene corrisposto, oppure è largamente insufficiente (come accade spesso), per svolgere in maniera adeguata anche una sola delle attività che caratterizzano la vita indipendente, la normativa è talmente lacunosa che per il disabile grave (magari solo al mondo e in enormi difficoltà) è molto difficile o impossibile rivolgersi al giudice ordinario e chiedere che venga ordinato al Comune di fornire i fondi sufficienti. In una situazione del genere dovrebbe essere augurabile rivolgersi al giudice con facilità.
Cosa si può fare
L’Italia ha firmato il Protocollo UNCRPD, citato prima. Le Regioni e i Comuni hanno l’obbligo di adeguarsi a quanto viene stabilito da tale Comitato. E, di conseguenza, se non si adeguano, è possibile rivolgersi al tribunale per costringerli a rispettare le indicazioni. Durante il convegno è stato sottolineato il fatto che ogni persona può scrivere direttamente a tale Comitato quando non viene rispettato quello che è stabilito nella Convenzione dell’Onu sui disabili.
Per rivolgersi a tale Comitato è necessario seguire la procedura indicata nel sito internet del Comitato stesso in teoria non è necessario un avvocato, in pratica è più conveniente far scrivere da un avvocato. È stato detto che per avere una risposta in media è necessario un anno e mezzo.
Ai convegni di Bruxelles, vari relatori hanno sottolineato che in molti Paesi i finanziamenti la vita indipendente vengono negati a chi ha più di 65 anni.
In altri Paesi chi ottiene il finanziamento prima del 65° anno d’età, continua ad avere l’assistenza personale finché non muore. Chi diventa disabile dopo il 65° anno d’età invece non ottiene il finanziamento per l’assistenza personale per la vita indipendente. La “Commissaria dell’Unione Europea per l’eguaglianza” ha ammesso che ci sono queste differenze. Sono scelte inammissibili. Innanzitutto perché non si può discriminare le persone in base all’età. In secondo luogo perché, quando si finisce di lavorare e si va in pensione, c’è il rischio di chiudersi in casa, e quindi di morire presto. Questo vuol dire che dopo il 65° anno d’età, casomai, sono necessarie più ore di assistenza personale di quando si lavora, e non meno ore.
Anche qui in Toscana, e pure nell’articolo 2 della recente legge regionale n. 25 / 2022 della Lombardia, è stabilito che la vita indipendente non spetta a chi diventa disabile per via dei processi degenerativi dovuti alla vecchiaia. A Bruxelles è stato sottolineato che questo è inammissibile. Oltre ad ulteriori questioni di eguaglianza, rimanere in attività per quanto possibile, è l’unico rimedio essenziale per attenuare i processi di invecchiamento psicofisico.
Ringrazio il Dott. Raffaello Belli rappresentante dell’Associazione Vita Indipendente per la revisione dell’articolo