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30 Marzo, 2025

La mente consapevole: come la mindfulness può contribuire nella cura

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Il termine mindfulness deriva da “Suti”una parola in antica lingua Pali che può essere tradotta in italiano come“ presenza mentale”,  ”consapevolezza” o “attenzione attiva al momento presente”.  La mindfulness è quindi la pratica del prestare attenzione: in modo focalizzato, ossia rivolto esclusivamente al momento presente, e non-categorizzante, cioè libero da schemi mentali e condizionamenti. Si tratta di una vera e propria modalità di essere presenti nel nostro quotidiano vivendo ogni momento in maniera estremamente consapevole  e non giudicante non solo nei confronti degli eventi, ma anche e soprattutto di noi stessi.

In un senso più specifico mi piace definire la mindfulness come  una pratica che, attraverso l’acquisizione di consapevolezza, è volta a ridurre o eliminare la sofferenza legata ad una scorretta interpretazione della realtà.

Le Bolle narrative e le Trappole mentali

A volte  ci troviamo intrappolati, spesso inconsapevolmente, all’interno di quelle che vengono definite “bolle narrative” ovvero immagini della realtà create dalla nostra mente, dei bias cognitivi che generano una distorsione della realtà impedendoci di vederla per quella che realmente è non solo in relazione a ciò che accade, ma anche in relazione a noi stessi. Ci sono numerose trappole mentali che ci allontanano dall’osservazione obiettiva della realtà, e tra le più comuni abbiamo sicuramente la trappola del “pensiero catastrofico”, che ci porta ad immaginare gli scenari peggiori anche quando non ci sono prove a loro sostegno, impedendoci di affrontare il presente con lucidità e la trappola “della visione a tunnel”, che ci spinge a vedere la luce solo al raggiungimento di una meta prefissata.  Frasi come:“sarò felice solo quando avrò un compagno”oppure “ starò bene solo quando sarò in vacanza”non fanno altro che impedirci di essere felici oggi.

Un’altra è la “trappola del biasimo” che ci porta a trasferire su qualcun altro la responsabilità dei nostri problemi, impedendoci di affrontarli in maniera più attiva. Poi c’è la “trappola del conformista” che ci spinge ad adeguarci al pensiero degli altri per paura di sentirci esclusi, diversi o per evitare di metterci in discussione. Una delle più disastrose è poi “ la trappola della conferma” che ci porta a scartare a priori tutto ciò che minaccia il nostro punto di vista, dando credito solo a persone e informazioni che lo confermino e gli diano valore. Questo atteggiamento chiude la nostra mente in schemi rigidi che ci impediscono di allargare le nostre vedute escludendo a priori un nuovo paradigma o un nuovo scenario.

Sono tutti esempi classici di come la nostra mente ci porti a creare una realtà illusoria limitando il nostro pensiero critico.

La mindfulness è la pratica che ci aiuta a fuoriuscire da queste bolle narrative e lo fa in maniera molto semplice: fornendoci gli strumenti per osservare la realtà così com’è, senza giudizio, allenandoci a vedere solo ciò che c’è e non vedere ciò che non c’è. Il non-giudizio è sicuramente uno dei primi scogli da superare per chi si avvicina alla mindfulness, in quanto siamo abituati a giudicare ogni evento in base alle nostre aspettative e ad etichettare tutto come giusto o sbagliato. Il non giudizio invece, attraverso l’osservazione e l’accettazione dei nostri pensieri, emozioni e sensazioni per quello che sono, ci permette di vivere l’esperienza in maniera più aperta. È importante non confondere l’ accettazione con la rassegnazione. La prima è una modalità attiva che ci porta ad accogliere la realtà così com’è, senza resistenze e senza giudizio, restando aperti alla possibilità di trasformazione e cambiamento che essa ci offre. La rassegnazione è invece  un atteggiamento passivo, di resa, che non prevede nessuna accoglienza e non si apre a nessuna evoluzione personale.

Figure chiave della mindfulness

Ci sono due figure di spicco nella mindfulness: Tich Nhat Hanh e Jon Kabat-Zinn. Il primo è un monaco zen vietnamita che, dopo essere stato esiliato, arriva in occidente dedicando la sua vita ad integrare le pratiche meditative orientali nella quotidianità frenetica della vita occidentale. Con le numerose opere che ci ha lasciato in eredità, Tich Nhat Hanh ci insegna in maniera molto pratica e facile ad osservare la realtà per quella che è e a vivere nel “qui e ora”, concentrandoci solo sull’attimo presente. E ovviamente lo fa in maniera illuminante.

Tuttavia è importante sottolineare che pur riconoscendo le radici buddhiste della mindfulness è necessario attestarne innegabilmente la sua laicità, distaccandola da ogni tipo di religione. E su questo si è battuto fermamente Jon Kabat-Zinn, un biologo dell’Università del Massacchusets che ha dedicato il suo lavoro ad evidenziare il lato scientifico della mindfulness sviluppando dei protocolli che sono ancora oggi  utilizzati in ambito clinico, tra cui il noto MBSR (Meditation Based Stress Reduction)

Che cos’è in termini pratici l’acquisizione di consapevolezza?

A questo punto è chiaro che essere pienamente presenti nel momento significa vivere l’esperienza così com’è, senza cercare di modificarla o di respingerla. Significa accoglierla senza attaccamento, osservarla con mente aperta e senza etichette, restando nella pura sensorialità.

Ma come si fa in termini pratici? Semplicemente vivendo il momento presente totalmente immersi in ciò che accade: quando mangiamo, mangiamo e basta, quando camminiamo, camminiamo e basta, quando ci vestiamo ci vestiamo e basta e così via.

Scrive Tich Nhat Hanh: “ci sono 2 modi di lavare i piatti, il primo è per avere piatti puliti, il secondo è per lavare i piatti”. Mindfulness è ovviamente il secondo.

Per fare un esempio pratico di un’azione compiuta in consapevolezza, possiamo far riferimento al nostro approccio all’alimentazione. Raramente quando mangiamo lo facciamo in modo consapevole e nella maggior parte dei casi mangiamo in modo mindlessness, ovvero senza essere mentalmente presenti. Questo perché mentre mangiamo seguiamo la televisione,  leggiamo e inviamo messaggi, parliamo o pensiamo al lavoro, ai nostri problemi, a ciò che è accaduto o che accadrà e mangiamo inserendo il pilota automatico. Tich Nhat Hanh direbbe che siamo costantemente sintonizzati su“Radio non-stop thinking”e l’ultima cosa alla quale pensiamo è al fatto che stiamo mangiando. Mangiare con consapevolezza significa invece mangiare completamente immersi nell’esperienza sensoriale, osservando la consistenza del cibo che abbiamo davanti, la sua forma, il sapore e le sensazioni che ci trasmette boccone dopo boccone. Significa inoltre pensare a cosa c’è dietro quel cibo, al sole che ha assorbito, alla pioggia che lo ha nutrito e goderne. “Quando bevi il Tè stai bevendo nuvole”scrive Tich Nhat Hanh proprio in riferimento a questo aspetto del mangiare in consapevolezza, insegnandoci inoltre non solo a godere del cibo, ma anche dell’attesa della sua preparazione. Quando attendiamo che l’acqua bolla non sistemiamo la cucina o controlliamo i social, stiamo lì, aspettando semplicemente che l’acqua bolla e preparandoci ad accogliere il nostro Tè, così come, allo stesso modo, osserviamo le foglie di Tè durante l’infusione, lì, nel qui e ora.

Se nel frattempo la mente si distrae e inizia a vagare altrove, non giudichiamola e non giudichiamoci. Semplicemente riportiamola gentilmente al momento presente. Anche il renderci conto del fatto che la nostra mente si è distratta è acquisizione di consapevolezza.

Questo lavoro di osservazione consapevole del presente lo possiamo ovviamente riservare a qualsiasi altro aspetto della nostra quotidianità. La mindfulness la definisce meditazione informale distinguendola da quella formale che è un pò più rigida, con dei protocolli ben precisi e ci insegna a prendere atto in maniera più profonda di alcuni aspetti del momento presente.

Nella società odierna l’acquisizione di consapevolezza è notevolmente ostacolata da 3 fattori: l’iperconnessione, il multitasking e i ritmi di vita frenetici.

Una conseguenza disastrosa dell’iperconnessione è che per la maggior parte del tempo in qualsiasi posto siamo è come se non ci fossimo, ed è ormai una situazione talmente comune che la consideriamo normale. Consideriamo normale stare  con gli amici e nel frattempo comunicare con altri amici dal nostro smartphone o guardare un video divertente. Consideriamo normale passare delle ore connessi sui nostri devices completamente disconnessi dalla realtà che ci circonda. Possiamo facilmente capire che questo è ovviamente agli antipodi della mindfulness che invece ci chiede di essere presenti senza distrazioni.

La Mindfulness e il dolore

Uno degli aspetti indubbiamente più affascinanti della mindfulness è il modo col quale ci aiuta a rapportarci al dolore, sia a quello fisico che a quello emotivo, anche in relazione allo stress.

Chiariamo subito che la mindfulness non agisce principalmente sulla componente biochimica del dolore, sui suoi contenuti, ma modificando il nostro rapporto col dolore, la nostra percezione della sofferenza, anche se dobbiamo riconoscere che alla fine il maggior stato di calma indotto dalla mindfulness si traduce in modifiche a livello della sintesi di diversi neurotrasmettitori, come avremo modo di approfondire in un prossimo articolo.

Anche in questo caso il metodo utilizzato è sempre lo stesso: l’osservazione consapevole e non giudicante del nostro dolore, nel qui e ora, approcciandoci con la mente del principiante che ci apre a nuove prospettive. Questo atteggiamento mette in atto un meccanismo che ci aiuta ad accettare il dolore e a viverlo senza opporvi resistenza.

Il modo più semplice per capire questo concetto sta nella “teoria delle 2 frecce” descritta dal Buddha.

Questa teoria spiega che ogni volta che facciamo esperienza della sofferenza, sia come dolore fisico che come sofferenza emotiva, come può essere un lutto, una perdita, una cattiveria ricevuta, una distorta percezione delle nostre capacità data da una mancanza di autostima o una non accettazione delle trasformazioni cui va incontro il nostro corpo,  veniamo colpiti da 2 frecce.

La prima freccia è la situazione che ha causato il dolore, la seconda freccia è la nostra reazione alla prima freccia, il modo in cui sperimentiamo il dolore.

Così come la prima freccia è al di fuori dal nostro controllo e non possiamo fare nulla per evitarla, possiamo invece lavorare sulla seconda, impedendo che la nostra reazione amplifichi il dolore percepito.

Questa seconda freccia si manifesta come una risposta al dolore sia a livello fisico, ad esempio attraverso un irrigidimento muscolare che spesso il nostro corpo attiva per proteggersi, sia a livello emotivo sotto forma di rabbia, disperazione, ansia, paura o biasimo. La mindfulness, lavorando su questa seconda freccia, ci aiuta ad attuare una risposta costruttiva al dolore che anziché potenziarlo lo ridimensiona.

Ovviamente, così come esistono diverse tipologie di sofferenza, esistono diverse pratiche per alleviarla e la mindfulness propone diversi approcci che avremo modo di trattare più nel dettaglio in un prossimo articolo.

È importante però sottolineare che la Mindfulness non è una pratica occasionale finalizzata al raggiungimento di un obiettivo, ma un vero e proprio approccio alla vita. Non si impara in pochi giorni, così come non si impara senza dedizione, ma si coltiva con un impegno costante attraverso pratiche formali e informali fino a rendere la consapevolezza del momento presente una parte naturale del nostro modo di vivere. Mindfulness è un modo di affrontare la vita rivolto più che all’ottenimento di uno stato di benessere, al raggiungimento di una maggiore libertà mentale.

Non cercare di diventare, semplicemente sii

 

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