Redazione

Covid: “il virus è meno aggressivo”

Lo sostiene uno studio tutto italiano proveniente dall'Università di Brescia e condotto da Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia
17 Agosto, 2022
Tempo di lettura: 2 minuti

“Il coronavirus Sars-CoV-2 è mutato diventando più buono”. È una frase che abbiamo sentito dire tante volte, in particolare da quando Omicron è diventata versione dominante. Oggi però la ricerca ci fornisce un’importante conferma, in giorni in cui di buone notizie siamo particolarmente affamati. Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), ha presentato uno studio condotto con il suo team di Brescia e “appena inviato per la pubblicazione a un’importante rivista scientifica internazionale”. A detta loro le versione del coronavirus successive alla prima variante Omicron non sarebbero in grado di aggredire gli endoteli, e di causare quindi le versioni più gravi della malattia.

Covid: “il virus è meno aggressivo”

Secondo la ricerca condotta dal prof. Caruso tutte le versioni di Omicron, dalla BA.2 fino alle più recenti BA.4 e BA.5, hanno sviluppato una mutazione molto favorevole per l’uomo. Le varianti fino alla Delta potevano infatti legarsi alle cellule umane attraverso due strade: la più comune era il recettore Ace2, che può essere facilmente agganciato dalla proteina Spike di Sars-Cov-2. La seconda strada, meno comune, è attraverso le integrine, proteine presenti anche nelle cellule endoteliali che non posseggono il recettore Ace2. Questa secondo ipotesi è meno frequente, ma ci sono indizi piuttosto consistenti che possa portare a uno sviluppo più grave della malattia.

Il virus non è più in grado di infettare gli endoteli

“Grazie a questa seconda chiave – spiega Caruso – la proteina Spike di Sars-CoV-2 poteva agganciare gli endoteli, provocandone un’attivazione aberrante e una disfunzione ritenuta responsabile delle forme più pesanti di Covid-19, che abbiamo conosciuto nelle prime fasi della pandemia: polmoniti, trombosi, angiogenesi e produzione di molecole infiammatorie. Non solo: si pensa che anche il Long Covid sia associato a una disfunzione endoteliale a carico di vari organi, tra i quali il cervello”. Inutile dire che la scoperta, se confermata, sarà motivo di grande soddisfazione per il team e un sollievo per tutti noi. “È una scoperta tutta italiana e importantissima, perché fa ben sperare anche per l’evoluzione futura del virus”.

Più contagioso ma meno pericoloso

La pressione immunitaria, in altre parole, ha messo alle strette il virus, che ora per sopravvivere è costretto a mutare in modi che spesso sono per noi favorevoli. “Per sfuggire alla pressione immunitaria, Sars-CoV-2 sta perdendo dei pezzi chiave” sostiene ancora l’ordinario di microbiologia e microbiologia clinica all’università di Brescia. Il virus sta perdendo patogenicità “facendosi sì via via più contagioso, come si è visto con Omicron 5 molto più trasmissibile delle ‘sorelle’ maggiori, tuttavia riducendo il suo potenziale di dare origine alle forme più severe di malattia”:

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