Redazione

La lezione sprecata: la sanità italiana a quattro anni dalla pandemia

Quattro anni dopo la pandemia, il paese si trova a fare i conti con un sistema sanitario ancora fragile. Le lezioni apprese sembrano svanite nel nulla.
4 Aprile, 2024
Tempo di lettura: 2 minuti

Il 18 marzo è stata la giornata nazionale delle vittime del Covid-19. Possiamo discutere sulle cifre reali, su quelle gonfiate, sui morti di Covid o con il Covid. Su una cosa, però, siamo certi che siamo tutti d’accordo: che il modo giusto per ricordarli ed onorarli sarebbe stato imparare la lezione. Nel 2020 tutti, politici, giornalisti e star della virologia avevano il gessetto blu per sottolineare gli errori commessi e l’assegno giusto perché non succedesse di nuovo: più sanità pubblica, più medicina di prossimità, più medici. E oggi? Quattro anni dopo la pandemia, il paese si trova a fare i conti con un sistema sanitario ancora fragile e vulnerabile. Le lezioni apprese durante la crisi sembrano svanite nel nulla, lasciando il timore che gli stessi errori possano ripetersi in futuro, con conseguenze potenzialmente disastrose.

L’erosione della medicina di prossimità

Una delle criticità più evidenti è rappresentata dall’erosione della medicina di prossimità, la prima linea di difesa contro le malattie e le emergenze sanitarie. La fuga del personale medico, compresi medici di base e infermieri, è un fenomeno in crescita esponenziale. Le pressioni costanti, i carichi di lavoro insostenibili e le retribuzioni poco competitive spingono molti professionisti a lasciare il sistema pubblico, lasciando un vuoto difficile da colmare. Il problema è ulteriormente accentuato dallo smantellamento delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca), nate durante la pandemia per garantire assistenza domiciliare ai pazienti. Queste unità, una risorsa preziosa per la gestione delle emergenze sanitarie, sono state progressivamente dismesse, lasciando anziani e pazienti fragili senza il supporto necessario.

Il fallimento del sistema ospedalocentrico

Il sistema ospedalocentrico, che dovrebbe essere una risorsa di soccorso in caso di emergenze, si rivela quasi sempre inefficiente e sovraffollato, con picchi nelle regioni del Sud, dove il diritto alla salute è del tutto disatteso, con buona pace della Costituzione. I pronto soccorso sono costantemente intasati da pazienti che non hanno alternative valide per ricevere cure mediche non urgenti. Le lunghe liste d’attesa per visite specialistiche e diagnostiche aggravano ulteriormente la situazione, mettendo a rischio la salute dei pazienti. La carenza di posti letto, soprattutto nei reparti chiave come quelli di medicina e riabilitazione, limita la capacità di ricovero e la gestione dei pazienti cronici, creando ulteriori complicazioni nel sistema sanitario.

La promessa tradita

Le promesse di investimenti nella sanità territoriale e di riforme del sistema sanitario, volte a rafforzare la medicina di prossimità e decongestionare gli ospedali, sono state del tutto disattese. Le (poche) risorse stanziate non si sono tradotte in azioni concrete, lasciando il sistema sanitario in uno stato di precarietà e inefficienza. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che avrebbe potuto rappresentare un’opportunità unica per invertire questa tendenza e colmare le lacune del sistema sanitario italiano, si avvia a diventare la solita mangiatoia per amici e amici degli amici, in pieno stile italiano.

E la salute mentale?

Salute mentale: Un tema caldo, di cui si parla tanto ma sul quale si lavora ancora poco. Investimenti promessi, stanziamenti annunciati, piani faraonici. Ma poi la realtà: servizi di psicologia e psichiatria inaccessibili per la maggior parte dei cittadini, tempi di attesa biblici per ricevere un aiuto, carenza di personale specializzato. La salute mentale, a quanto pare, può ancora aspettare.

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