Nemo propheta in patria

Ovvero come una "scomoda" valutazione scientifica dei fatti può farti passare da carnefice a vittima.
13 Febbraio, 2023
Tempo di lettura: 2 minuti

È quanto accade a tre ricercatori del CNCF (Centro Nazionale per il Controllo e la valutazione dei Farmaci), organismo afferente all’ISS, che in un loro articolo,  Safety of COVID-19 Vaccines in Patients with Autoimmune Diseases, in Patients with Cardiac Issues, and in the Healthy Population, pubblicato nell’open acces journal  Pathogens, sollevano dubbi, basati su osservazioni scientifiche, riguardo l’utilità della somministrazione di nuove dosi di vaccino anti SARS-COV a soggetti sani o soggetti colpiti da patologie autoimmuni.

Ma che hanno scritto Loredana Frasca, Giuseppe Ocone e Raffaella Palazzo?

La riposta è nelle conclusioni di questo articolo in cui, i tre autori, pur riconoscendo al vaccino anti Covid-19 una indubbia efficacia, almeno fino alla comparsa della variante Omicron, fanno tuttavia notare  l’esistenza di diversi bias legati ad efficacia, sicurezza ed effetti collaterali di questi nuovi vaccini bivalenti, non evidenziati negli studi a breve termine.

I ricercatori esprimono, inoltre, la loro convinzione sul fatto che alla luce di un numero sempre crescente di studi in cui si indica chiaramente che le attuali varianti del virus siano meno letali e che esistano terapie efficaci per il trattamento della malattia COVID-19, “potrebbe essere il momento giusto per rivedere il rapporto rischio/beneficio di questi interventi farmacologici”.

Il risultato di questo articolo scientifico che scaturisce da una panoramica di 211 lavori, pubblicati su riviste peer-review, è una piccata risposta da parte dell’ISS che, in un comunicato stampa del 7/2/2023, si è affrettata a liquidare lo studio come lacunoso e parziale, precisando come lo stesso riporti esclusivamente le opinioni personali dei tre autori, lontane dalle posizioni ufficiali del prestigioso istituto e che anzi, violi le “linee guida sull’integrità della ricerca dell’ISS a garanzia della qualità scientifica del lavoro pubblicato”.

Questa risposta solleva in me alcuni interrogativi;

  • Perché un Istituto scientifico nato per garantire la ricerca, che di per sé è o dovrebbe essere basata sull’osservazione e non su giudizi precostituiti, valuta un lavoro esclusivamente sull’adesione dello stesso alle sue posizioni ufficiali?
  • Perché definire “personale” l’opinione scientifica di tre ricercatori, dovrebbe secondo l’ente, sminuire l’importanza del lavoro?
  • Perché le linee guida sull’integrità della ricerca, dell’ISS, costituiscono una garanzia di qualità scientifica più di una revisione tra pari, fase che precede la pubblicazione di un lavoro su una qualsiasi rivista peer-review?

Domande destinate a rimanere senza risposta, accompagnate dalla amara constatazione che il valore di un ricercatore non derivi dalla qualità dei suoi lavori, ma dalla adesione degli stessi al pensiero scientifico mainstream. Il dubbio, pane della scienza, diventa allora un incomodo e come tale, va allontanato nel rispetto della mera e cieca tradizione.

La risposta che in un tal consesso, dovrebbe essere corredata da altrettanta letteratura a sostegno della propria tesi, può allora essere affidata ad un “non è in linea con la nostra posizione”.

Resta, quindi, la sola triste certezza che chiunque si allontani dalla “retta via” della narrazione scientifica dominante, in questa tremenda visione dualistica che il sapere sta dando di sé, passa inesorabilmente da carnefice a vittima o se preferite cade nell’orwelliana litania che recita 4 gambe buono 2 gambe cattivo, ma al prevalere di altri interessi diventa 4 gambe buono 2 gambe meglio.

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