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Twittergate: come avveniva la censura sul Covid

Il social network dell'uccellino decideva quali contenuti far circolare, senza alcuna trasparenza

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2 Gennaio, 2023
Tempo di lettura: 3 minuti

Una bomba è esplosa da qualche settimana sull’informazione americana, e di conseguenza su quella di tutto il mondo: si chiama Twittergate. Da quando il miliardario americano proprietario di Tesla e SpaceX, e fino a poco tempo fa uomo più ricco del Pianeta, è diventato proprietario anche di Twitter, dai cassetti del social network dell’uccellino ne stanno uscendo di tutti i colori. L’ultima riguarda i meccanismi con cui la piattaforma decideva quali notizie far circolare e quali censurare, senza offrire alcuna comunicazione né ai soggetti che venivano censurati né tanto meno al pubblico. Un modus operandi che ha riguardato gli ambiti più disparati, ma che interessa le nostre pagine soprattutto per quanto riguarda le norme sul Covid e la gestione della pandemia.

Twittergate: come avveniva la censura sul Covid

Per Twitter, a quanto pare, non aver violato alcuna regola della sua policy non era sufficiente per non ricevere uno shadowban (termine con cui si definisce il blocco della diffusione dei contenuti senza informare la persona che li pubblica). Né aiutava essere professore alla Stanford University, una delle università più prestigiose al mondo. E neanche, quando si parlava della pandemia, non aver trattato direttamente lo spinoso argomento dei vaccini. Un’indagine della giornalista ex-New York Times Bari Weiss ha mostrato come Twitter inserisse i “soggetti non graditi” in una speciale lista nera, che impediva ai loro post (tweet nel linguaggio della piattaforma) di essere diffusi, e perfino di essere cercati nel motore di ricerca interno.

Lo shadwoban al professor Bhattacharya

Così, nelle maglie di questo sistema è finito tra gli altri il dottor Jay Bhattacharya, il professore della Stanford University di cui avevamo accennato pocanzi, reo di aver sostenuto che i lockdown prolungati potessero essere nocivi per la salute dei bambini, ed aver suggerito di restringere le limitazioni ai soli anziani e alle persone a rischio. Qualsiasi opinione si possa avere al riguardo, è assolutamente evidente che si tratti di un’opinione legittima, e che non esista neanche il minimo appiglio per poterla considerare una fake news, o una diffamazione, o qualsiasi altra violazione delle norme che potrebbe aver comportato una simile sanzione.

Non violare la policy non basta

Nello screebshot che Weiss posta proprio su Twitter, si vedono chiaramente le due etichette che sanzionano il professore, dal punto di vista interno alla moderazione del sito. Elon Musk, che ha da poco acquistato il social network e che ha tutta l’intenzione di soffiare sul fuoco dello scandalo, ha subito invitato il professor Bhattacharya al quartier generale di Twitter, garantendogli che episodi del genere non sarebbero più avvenuti.  “Twitter 1.0 mi ha inserito nella lista nera il primo giorno in cui mi sono iscritto nell’agosto 2021”, ha twittato il professore. “Penso che sia stato il mio tweet che si collegava a @gbdeclaration (la raccolta firme per un approccio alla pandemia diverso dai lockdown generlizzati ndr) ad attivare la lista nera sulla base di reclami non specificati ricevuti da Twitter”.

Un aspetto chiave della vita democratica affidato a interessi privati

Non sfuggirà al lettore che, qualsiasi sia il punto di vista sulla pandemia, o sulle questione politiche ad essa sottostanti, il twittergate porta a galla un enorme spada di Damocle che pende sulla testa della libertà di pensiero e di espressione. In un mondo come quello moderno, dove l’informazione viene veicolata in larghissima parte sui social network, come si può pensare di affidare in modo acritico a loro il controllo (o la censura) dei contenuti? Queste piattaforme sono organismi privati, che rispondono a interessi privati: vogliamo davvero lasciare nelle loro mani, senza alcuna forma di trasparenza, quello che Welles chiamava il “Quarto Potere”?

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