Sono un medico, ora mezza età superata, separato, due figli grandi e vi racconto la mia storia.
All’epoca giovani, mia moglie ed io, e i bimbi piccoli, abitavamo in un grande e bell’appartamento al Vomero, in via Cimarosa, con mio padre anziano. Molto anziano, mite, silenzioso, che camminava a stento, e molto decaduto dopo aver perso mia mamma precocemente anni prima.
Mia moglie non aveva mai sopportato la sua presenza, affatto ingombrante direi, non lo voleva ai pasti, non lo voleva neanche incontrare per casa. Insomma aspettava la sua dipartita al più presto.
Passarono tanti mesi e qualche anno e finalmente papà spirò una notte all’improvviso, in silenzio, come era sempre stato.
Il grande portone del palazzo per giorni rimase aperto sulla via solo nel portoncino, come quando accade un lutto, e dove solo a Napoli può succedere.
Casa tutta per lei, finalmente!
La rinfrescò, la rimodernò, assolata com’era, era un vero piacere viverci.
Ma poi l’insofferenza. Non stava bene, non era soddisfatta, non le piaceva nulla.
Mi spinse a trovare in un incarico lontano, e infatti un posto vicino a Treviso in ospedale come generico lo vinsi. In realtà lì nel trevigiano, abitavano i miei fratelli più grandi.
E quindi via, armi e bagagli, per il nord, come emigranti tardo Ottocento.
Comprai una villetta nelle campagne di Oderzo, giardinetto e cagnolino come da prassi.
Sempre lei, mi spinse a vendere al più presto la casa al Vomero, soldi che furono divisi coi miei due fratelli, quindi mi rimase ben poco.
Ma lassù incominciai a lavorare anche come privato, molto, guadagnando fuori misura.
Al nord come sappiamo nei piccoli centri il denaro gira e son tutti dei forti lavoratori, quindi spendono.
Una pacchia, sempre a cena fuori, viaggi, regali.
Acquistavo quadri, oggetti di arredamento, anche un sax nuovo, bellissimo da cui però ricavavo solo note stridule.
Ma le cose, alla mia cara mogliettina, che aveva trovato anche un lavoro come redattrice in un giornalino locale, non piacevano. Non piaceva il clima, la gente, la campagna, il dialetto, non piaceva di nuovo nulla.
Litigi, discussioni, “torniamo a Napoli, basta non ne posso più di questa nebbia, di questo silenzio!”.
In breve tornammo sui nostri passi e senza più casa di proprietà, affittai un appartamento grande, ma in un brutto rione, con un bar sotto casa, luogo di spaccio, dove la sera era un via vai di tossici.
Allora, cambiammo casa di nuovo, altro rione, casa piccolissima, perchè finito il privato veneto, erano finiti i lauti guadagni e tutta la liquidità, tanto da rivendermi sax, quadri, porcellane.
E quando arrivò, inevitabile, non mi opposi alla separazione, no, non mi disperai per trovarmi da solo.
“Brutta storia”, commentavano i miei fedeli amici del venerdì sera, “brutta storia”.
Uno di quelli, medico omeopata, una sera sentenziò: “Luesinum! Questo è quello che serviva a te, fare una bella cura di tubi dose di Luesinum alla 30/200/MK/XMK ! Un tubo dose a settimana a digiuno, al risveglio”
Non so cosa volesse dire, ma mi documentai e vidi descritta tutta la mia storia, la mia vita di alti e bassi, di fughe e stravolgimenti, di amori e di odi.
Oggi superati i sessanta da tempo tengo stretto i miei affetti che mi hanno perdonato tutto, meno la fermezza negli intenti che ancora mi manca.