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Thomas-Piketty
7 Marzo, 2023

Thomas Piketty e la Critica dell’Economia politica

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L’importante libro del 2014 Il capitale nel XXI secolo dello storico, economista e sociologo francese Thomas Piketty si apre con in esergo l’Articolo 1 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789: “Le distinzioni sociali non possono fondarsi che sull’utilità comune”. Tanto per non celare l’ispirazione gauchista delle sue ricerche, che lo hanno indotto a riscrivere l’analisi già di Marx del Capitale, per adattarla al mondo contemporaneo.

Il capitale nel XXI secolo

Prevale oggi la dinamica di accumulazione del capitale o piuttosto le dinamiche equilibratrici della crescita? “La crescita moderna e la diffusione delle conoscenze hanno permesso di evitare l’apocalisse marxista, ma non hanno modificato le strutture profonde del capitale e delle disuguaglianze, o quantomeno non nella misura in cui si è immaginato potessero farlo nei decenni di ottimismo che hanno accompagnato il secondo dopoguerra”. Il capitalismo continua a produrre diseguaglianze – “il tasso di rendimento del capitale supera regolarmente il tasso di crescita del prodotto e del reddito” – lasciando aperto lo spazio della politica: “esistono strumenti in grado di far sì che la democrazia e l’interesse generale riprendano il controllo del capitalismo e degli interessi privati”.

La questione della distribuzione della ricchezza ci tocca da vicino. “Per nostra somma fortuna, la democrazia non sarà mai soppiantata dalla repubblica degli esperti”. Gli economisti, da Malthus a Ricardo a Marx, hanno cominciato a ragionare sul fatto che il semplice meccanismo della domanda e dell’offerta non impedisce “uno squilibrio sempre più forte e duraturo nella distribuzione delle ricchezze”.  Il principio ricardiano di rarità (dei beni terrieri) e quello marxiano di accumulazione infinita del capitale sono stati individuati come importanti generatori di diseguaglianza, solo in parte contrastati da un aumento della produttività, che ha comunque consentito un aumento generalizzato di ricchezza e benessere ed una riduzione delle diseguaglianze. In effetti è specialmente nei periodi di crisi che esplodono gli squilibri e le diseguaglianze.

Tra le ideologie catastrofiste e quelle dell’happy end, è un’analisi ragionata dell’economia e dei suoi limiti che deve trovare posto. Dopo che il XX secolo ha conosciuto un età della catastrofe ed un’età dell’oro (per riprendere la terminologia di Hobsbawm ne Il secolo breve), è possibile forse un’analisi più disincantata del Capitale nel XXI secolo. Rimettendo la questione della distribuzione al centro dell’analisi economica. “Oggi è più urgente che mai rimettere la questione delle disuguaglianze al centro dell’analisi economica e tornare a porre le domande lasciate senza adeguata risposta nel XIX secolo”.

La dettagliata analisi di Piketty mostra in effetti come i redditi crescano comunque in maniera diseguale e che d’altronde le rendite dei patrimoni crescono più dei redditi. “Lo studio del rapporto capitale/reddito a livello globale è un esercizio che ha i suoi limiti, è infatti sempre preferibile analizzare anche la disuguaglianza dei patrimoni a livello individuale e il rilievo assunto dall’eredità e dal risparmio nella formazione del capitale, ma permette comunque di analizzare in maniera sintetica l’importanza del capitale nell’ambito di una società considerata nel suo insieme”.

Ciò che emerge in ogni caso è che “la storia della distribuzione delle ricchezze è sempre una storia profondamente politica, che non si esaurisce nell’individuazione dei meccanismi puramente economici”.  L’economia rimanda alla politica economica ed alle scelte possibili. “La storia delle disuguaglianze dipende dalla rappresentazione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è che si fanno gli attori economici, politici, sociali, dai rapporti di forza tra questi attori, e dalle scelte collettive che ne derivano; è ciò che viene determinato da tutti gli attori coinvolti.”

L’economia resta ad ogni buon conto un motore di diseguaglianza, nonostante l’importanza che possa progressivamente assumere il capitale umano, o l’auspicio che possa sostituirsi al conflitto di classe un mero conflitto generazionale. Illusioni ottimistiche che non possono evitare una considerazione politica delle diseguaglianze che continuano a prodursi. L’importanza culturale dell’economia richiede che essa vada oltre paradigmi meramente astratti, ma vada anche oltre l’ideologia anticapitalistica così come di una ottimistica idea della fine della storia dopo il crollo del comunismo.

Le proposte di Piketty disegnano uno Stato sociale del XXI secolo, imperniato su una imposta sul capitale. Le crisi insegnano sempre qualcosa, e la crisi dell’alba del XXI secolo cui Piketty fa riferimento è quella del 2008. I mutui subprime concessi per l’acquisto della casa anche a cattivi pagatori e con interessi crescenti hanno determinato, nell’insolvenza di molti debitori, un crollo a cascata nel mondo dell’economia finanziaria. L’esplosione di quella bolla immobiliare, creata dalle banche stesse, deve servire da lezione. “Da un lato occorre inventare nuovi strumenti che aiutino a riprendere il controllo di un capitalismo finanziario praticamente impazzito, dall’altro occorre rinnovare e modernizzare in profondità e con continuità i sistemi di prelievo fiscale e di spesa che sono connaturati allo Stato sociale moderno”.

Non è questione di quantità del prelievo fiscale, che è ovunque aumentato a partire dal secolo scorso, fino a collocarsi tra un terzo e la metà del reddito nazionale, quanto piuttosto della sua equità.  E non è questione di limitare la spesa pubblica, quanto di qualificarla.

Le forme dello Stato sociale

“La redistribuzione moderna non consiste in un trasferimento di ricchezze dai più ricchi ai più poveri, o quantomeno non consiste in un passaggio così esplicito e diretto. Consiste nel finanziamento di servizi pubblici e di redditi per inattività più o meno uguali per tutti, in particolare nel campo dell’istruzione, della salute e delle pensioni”.  “La redistribuzione moderna è costruita attorno a una logica di diritti e a un principio di parità di accesso a un certo numero di beni ritenuti fondamentali”.

La spesa pubblica si aggira ovunque intorno alla metà del reddito nazionale. La questione è di modernizzare, senza smantellarlo, lo stato sociale. E di ripensare l’imposta progressiva sul reddito, in maniera equa agendo sulle imposte sul capitale e sulle imposte sui consumi.

La democrazia è ancora una risorsa possibile contro la deriva oligarchica. “L’imposta mondiale sul capitale è un’utopia: è difficile immaginare, a breve scadenza, un accordo tra tutte le nazioni del mondo per deliberare un provvedimento del genere, stabilire un limite d’imposta applicabile a tutte le ricchezze del pianeta e ripartire in misura equilibrata le entrate tra paese e paese. Tuttavia è un’utopia utile, mi sembra, e per numerose ragioni”.  La tassa patrimoniale diventa un obiettivo di trasparenza democratica e finanziaria.  L’utopia della democrazia, nell’attuale geopolitica, non può che essere globale. “Tra gli altri modi di regolamentazione del capitalismo mondiale e delle disuguaglianze che esso promuove, va anche ricordata la speciale problematica posta dalla geografia delle risorse naturali, in particolare dalla rendita petrolifera”.  “Se il mondo fosse costituito da un’unica comunità democratica internazionale, l’imposta ideale sul capitale non potrebbe non redistribuire anche i benefici della rendita petrolifera”.

In questo senso l’immigrazione è un naturale elemento equilibratore, piuttosto che una minaccia delle sovranità nazionali. “Un’altra forma, di per sé più pacifica, di redistribuzione e di regolazione della disuguaglianza mondiale del capitale è evidentemente l’immigrazione.”

L’altro modo che uno Stato ha per finanziarsi, oltre alle imposte, è il debito pubblico. L’imposta sul capitale è un modo di ridurre il debito pubblico, preferibile all’inflazione o all’austerità. Senza nulla togliere al ruolo di prestatore e stabilizzatore che possono svolgere le banche centrali. Tale creazione di liquidità è peraltro affidata in Europa alla banca centrale di una moneta senza Stato, quale è l’euro.

Il problema è che per alcuni paesi europei la perdita della sovranità nazionale monetaria non è compensata da un debito pubblico garantito di cui quei paesi hanno bisogno. In mancanza di una vera rappresentanza parlamentare europea.

“Ecco la ragione principale per cui occorre ridurre al più presto il debito: idealmente, mediante un prelievo progressivo ed eccezionale sul capitale privato, al riparo dall’inflazione. Anche se sono decisioni che devono essere prese da un parlamento sovrano, dopo un regolare dibattito democratico.” Anche per rendere possibile una politica pubblica di contenimento del riscaldamento globale, seria minaccia, nel nostro secolo, di degrado del capitale naturale.

  “Affinché la democrazia riesca un giorno a riprendere il controllo del capitalismo, bisogna innanzitutto partire dal principio che le forme concrete della democrazia e del capitale sono ancora e sempre da reinventare.” Che il tasso di rendimento privato del capitale superi il tasso di crescita del reddito e del prodotto, questo è un fattore destabilizzante insito nel capitalismo. Che a questo problema si trovi una soluzione, è una questione di democrazia e di confronto dialettico. La politica è ovunque, nel bene e nel male.

La proposta articolata di Piketty la troviamo nelle conclusioni del suo successivo libro del 2019 Capitale e ideologia, da cui propongo una lunga citazione: “Sono convinto che sia possibile andare al di là del capitalismo e della proprietà privata e istituire una società giusta, fondata sul socialismo partecipativo e sul federalismo sociale. Questo comporta in particolare la costituzione di un regime di proprietà sociale e temporanea, fondato da una parte sulla limitazione e sulla condivisione dei diritti di voto e del potere tra azionisti e dipendenti all’interno delle imprese e, dall’altra, sulla tassazione fortemente progressiva della proprietà, sulla dotazione universale di capitale e sulla circolazione permanente dei beni. Sarà inoltre necessario istituire un sistema di tassazione progressiva sui redditi e una tassa sulle emissioni di CO2, per finanziare il welfare e il reddito di base, la transizione ecologica e l’istituzione di una vera uguaglianza del diritto all’istruzione. Tutto questo richiede una riorganizzazione dei processi di globalizzazione, attraverso trattati di co-sviluppo incentrati su obiettivi quantificati di giustizia sociale, fiscale e climatica che vincolino gli scambi commerciali e finanziari al raggiungimento di questi obbiettivi.”

Capitale e ideologia

  “Ogni società umana deve giustificare le sue diseguaglianze… Ogni epoca produce, quindi, un insieme di narrative e di ideologie contraddittorie finalizzate a legittimare la disuguaglianza, quale è o quale dovrebbe essere”. Rispetto alla diseguaglianza rigida, arbitraria e dispotica delle società antiche, la diseguaglianza moderna ha un aspetto più accattivante: quello della meritocrazia, data un’ideale uguaglianza delle opportunità. I più ricchi sarebbero dunque anche i più intraprendenti, i più meritevoli, i più utili. Dietro la favoletta meritocratica restano tuttavia malcelati privilegi e violente discriminazioni.

Fu questa dell’ineguaglianza liberamente scelta la narrazione in particolare della belle époque e dell’età dell’oro della guerra fredda. Ma la lunga analisi storica di Piketty porta ad un’altra conclusione: “è stata la lotta per l’uguaglianza e per l’istruzione che ha permesso il progresso umano e lo sviluppo economico, e non la sacralizzazione della proprietà, della stabilità e della disuguaglianza.” E questo va ricordato ai contemporanei celebratori, sulle ceneri del comunismo, della nuova narrazione dell’iper-diseguaglianza.

L’ideologia sia pure un tentativo più o meno coerente di dare risposta ad un insieme di problemi, essa tuttavia va se non smascherata, decantata e decostruita. Ad un regime politico ed al regime della proprietà rimane sempre dialetticamente da compiere il processo di legittimazione più giusto possibile.

Una teoria della proprietà è anche una teoria dei confini. Ma sono entrambe categorie storiche. E, nella storia, le idee e le ideologie contano. Men che essere naturali, “le disuguaglianze variano notevolmente nel tempo e nello spazio”.

Dopo il disastro del comunismo, l’analisi dell’ideologia va riposizionata, tanto più di fronte all’innaturale alleanza tra post-comunismo ed ipercapitalismo. “Ci sono molti e diversi modi di organizzare i rapporti di proprietà nel XXI secolo, e alcuni di questi possono rappresentare un superamento del capitalismo molto più autentico rispetto alla promessa di distruggerlo senza preoccuparsi di ciò che verrà dopo”.

Piketty dice di voler tentare di prendere sul serio le ideologie. “Parto dal principio che ogni ideologia, per quanto estrema ed eccessiva possa apparire nella difesa di un certo tipo di disuguaglianza o di uguaglianza, esprima a suo modo una certa visione di società giusta e di giustizia sociale”.  Ciò che è anzitutto un antidoto alla ideologia più sottile, quella del pragmatismo dietro cui si nasconde un’ignoranza storica ed un disinteresse per i problemi. Da questioni di cui è evidente la complessità, non si può trarre un’unica conclusione.

“Ogni percorso politico-ideologico nazionale può essere considerato come un gigantesco processo di apprendimento collettivo e di sperimentazione storica”. Il limite di questi apprendimenti è allora di basarsi su rappresentazioni grossolane e imprecise, se queste mostrano una memoria corta o una memoria di marca strettamente nazionalista. Ma tuttavia “questi limiti non sono validi per l’eternità”.  “Cambiano in funzione di una molteplicità di processi di diffusione e di trasmissione delle conoscenze e delle esperienze: scuole e libri, migrazioni e matrimoni, partiti e sindacati, incontri e mobilità, giornali, media e via dicendo”. Occorre perciò un confronto accurato delle esperienze storiche, un approccio comparativo, storico e transnazionale.

“Si tratta di un piccolo passo in un grande processo di apprendimento collettivo, e sono io stesso molto curioso e impaziente di scoprire i passi successivi di questa avventura umana”.