Geopolitica delle formiche?

Metafore antropomorfiche come strumento cognitivo per raccontare la storia naturale

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13 Aprile, 2024
Tempo di lettura: 19 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 49 • Marzo 2024

 

La convenzione dell’establishment vuole che la realtà sia un rispecchiamento antropomorfico

Se la metafora può essere descritta come il luogo stesso, nei sistemi del linguaggio umano, in cui viene generato il senso, la metafora, allora, contribuisce allo sviluppo del significato attraverso traiettorie interpretative sconfinate. In effetti, nella generazione di sensi e significati non possiamo fare a meno di questo strumento cognitivo. Noi creiamo i nostri orizzonti di senso con delle metafore e con esse li cancelliamo pure. Il nostro pensiero è metaforico e, ugualmente, le nostre azioni. Senza la metafora non c’è un coinvolgimento empatico delle aree cerebrali che rendono possibile una nostra interpretazione della vita e della realtà.

Tuttavia, sebbene non possiamo farne a meno, possiamo, se non altro, prendere coscienza di quanto una metafora possa veicolare e instillare nel modo in cui immaginiamo e viviamo effettivamente il mondo. Di fatto, volendo richiamare la vostra attenzione all’asserzione che sostiene che negli ultimi quattro secoli quadrilioni di formiche, originarie da un punto specifico del pianeta, si siano sparse in tutti i continenti, da un punto di vita giornalistico sarei quasi costretto a dire, seguendo l’esempio di John Whitfield, che negli ultimi quattro secoli quadrilioni di formiche avrebbero creato una società globale, strana e turbolenta, che metterebbe in ombra la nostra storia. In pratica, concettualizzando la fenomenologia delle formiche nei termini in cui ci pensiamo e in cui viviamo noi stessi, si desta subito un coinvolgimento emotivo in cui possono fibrillare le nostre oscure sensazioni circa la nostra sicurezza e il nostro futuro e, decisamente, un coinvolgimento in cui tutti gli altri organismi viventi sarebbero simili a noi. In breve, il mondo sarebbe come noi umani siamo e la realtà oggettiva sarebbe un semplice rispecchiamento antropomorfico.

Un esempio della nostra tendenza all’antropomorfismo si evince nel modo in cui perfino la ricerca descrive la crescita in super-colonie della formica argentina uni-coloniale. In effetti, sarebbe una storia familiare e si potrebbe riepilogare come la storia di un piccolo gruppo di insetti che vivono in una prateria boscosa e un giorno, contro ogni previsione, iniziano a popolare la Terra. Inizialmente hanno occupato un posto ecologico specifico nel paesaggio, tenuto sotto controllo da altre specie. Poi, qualcosa è cambiato. Questi insetti hanno trovato il modo di viaggiare in nuovi posti. Hanno imparato a far fronte all’imprevedibilità e si sono adattati a nuovi tipi di cibo e riparo. Infine, considerando queste portentose azioni e interpretandole con la nostra visione di noi stessi si potrebbe dire che si tratta da un gruppo di insetti intelligenti e, addirittura, aggressivi.

La descrizione della fenomenologia della formica argentina nei nostri soliti termini antropomorfici, ci porta a raccontare, senza porci alcun dubbio sulla insita visione del mondo del nostro racconto, che nei nuovi luoghi i vecchi limiti sarebbero stati sorpassati. Il paragone, con noi umani, tende a farsi irresistibile man mano che la loro popolazione cresce e la loro portata si espande, rivendicando più territori, rimodellando le relazioni in ogni nuovo paesaggio per mezzo dell’eliminazione di alcune specie e l’allevamento di altre. In effetti, nel corso del tempo, la formica argentina avrebbe creato le più grandi società animali, in questo caso di insetti, in termini di numero di individui, che il pianeta abbia mai conosciuto. E ai confini di quelle società la formica argentina combatterebbe gli scontri più distruttivi tra specie, in termini di vittime individuali, che il pianeta abbia mai conosciuto, nel parere di Whitfield.

Certamente, cablati come siamo possiamo dire che sembra la nostra storia: la storia di una specie di ominidi, che visse nell’Africa tropicale qualche milione di anni fa, diventando, poi, globale. È, invece, semplicemente la storia di un gruppo di specie di formiche, che è vissuto nell’America centrale e meridionale, qualche centinaio di anni fa. Queste formiche si sono diffuse in tutto il pianeta inserendosi nelle reti europee di esplorazione, commercio, colonizzazione e guerra, alcune, addirittura, nascoste nei galeoni spagnoli del XVI secolo che trasportavano l’argento attraverso il Pacifico da Acapulco a Manila. Negli ultimi quattro secoli, questi hanno globalizzato le loro società accanto alla nostra, adoperando per la descrizione di quanto accaduto una metafora antropomorfica.

Sì, la tentazione di cercare paralleli con gli imperi umani è forte. Forse è, cognitivamente, molto difficile non vedere un parallelo tra il mondo cosiddetto naturale e quello cosiddetto umano. Ma solo perché le fenomenologie degli eventi possano sembrare simili, non significa che le loro definizioni siano allineate. Le società globali delle formiche non sono, però, semplici echi delle lotte umane per il potere. Sarebbero, invece, qualcosa di nuovo nel mondo. Secondo alle stime degli studiosi ci sono, su una scala che possiamo misurare, ma che facciamo fatica a comprendere, circa 200.000 volte più formiche sul nostro pianeta rispetto ai 100 miliardi di stelle nella Via Lattea.

 

La formica rossa Solenopsis invicta

Alla fine del 2022, colonie della più particolare esportazione sudamericana, la formica rossa Solenopsis invicta, sono state trovate, con sorpresa, per la prima volta in Europa, lungo l’estuario di un fiume vicino alla città siciliana di Siracusa, come documentano i ricercatori Mattia Menchetti, Enrico Schifani, Antonio Alicata, Laura Cardador, Elisabetta Sbrega, Eric Toro-Delgado e Roger Vila.1 I ricercatori sarebbero rimasti scioccati quando alla fine furono individuate 88 colonie, ma la comparsa della formica rossa in Europa non dovrebbe essere una sorpresa. Era del tutto prevedibile: un’altra specie di formica proveniente dagli habitat nativi della S invicta in Sud America era stata già avvistata in Europa. Ciò che dovrebbe sorprenderci sarebbe, stando agli esperti, quanto poco comprendiamo ancora le società globali delle formiche. In pratica, ci sarebbe un’epopea di fantascienza in corso sotto i nostri piedi. In termini metaforici antropomorfici, una geopolitica aliena, negoziata dai 20 quadrilioni di formiche che vivono oggi sulla Terra. Potrebbe sembrare a prima vista una storia familiare, ma più vengono studiate queste colonie, meno sembra familiare la loro storia e più la conoscenza accumulata spinge a resistere alle analogie umane. I loro comportamenti sarebbero strani, le scale delle loro colonie sarebbero difficili da concepire da noi. In effetti, se si presta attenzione a ciò che accade, ci si rende conto che non si potrebbe raccontare la storia delle società globali di queste formiche raccontandola come un parallelo della nostra storia.

Stando agli studiosi della materia, alcune società animali restano unite perché i loro membri si riconoscono e si ricordano a vicenda quando interagiscono. Affidarsi in questo modo alla memoria e all’esperienza, in pratica, fidarsi solo degli amici, limiterebbe la dimensione dei gruppi alla capacità dei loro membri di sostenere relazioni personali tra loro. Le formiche, tuttavia, opererano in modo diverso, formando quelle che l’ecologista Mark Moffett chiama “società anonime” in cui ci si può aspettare che individui della stessa specie o gruppo si accettino e collaborino tra loro anche quando non si sono mai incontrati prima. Ciò da cui dipenderebbero queste società, scrive Moffett, sarebbero “segnali condivisi riconosciuti da tutti i suoi membri”.

 

Distintivi chimici di identità

Il riconoscimento sembra molto diverso per gli esseri umani e gli insetti. La società umana si basa su reti di reciprocità e reputazione, sostenute dalla lingua e dalla cultura. Gli insetti sociali, formiche, vespe, api e termiti, fanno affidamento su distintivi chimici di identità. Nelle formiche, questo distintivo è una miscela di composti cerosi che rivestono il corpo, mantenendo l’esoscheletro impermeabile e pulito. Le sostanze chimiche presenti in questa miscela cerosa e i relativi punti di forza sono geneticamente determinati e variabili. Ciò significa che una formica appena nata può imparare rapidamente a distinguere tra compagni di nido ed estranei poiché diventa sensibile al profumo unico della sua colonia. Gli insetti che portano il giusto profumo verrebbero nutriti, curati e difesi e chi porta quello sbagliato viene rifiutato o combattuto.

Le formiche invasive di maggior successo, tra cui la formica di fuoco tropicale Solenopsis geminata e la formica di fuoco rossa Selenopsis invicta,2 condividono questa qualità. Condividono anche tratti sociali e riproduttivi. I singoli nidi possono contenere molte regine (a differenza delle specie con una regina per nido) che si accoppiano all’interno delle loro tane domestiche. Nelle specie con una sola regina, la regina appena nata lascia il nido prima dell’accoppiamento, ma nelle specie uni-coloniali, le regine accoppiate a volte lasciano il nido con un gruppo di operaie per creare un nuovo nido nelle vicinanze. Attraverso questo germogliamento, una rete di colonie alleate e interconnesse iniziano a crescere.

Stando alla letteratura disponibile, nei loro areali3 nativi, queste colonie multi-nido possono crescere fino a poche centinaia di metri di diametro, come documenta il lavoro dei ricercatori Pedersen, Krieger, Vogel, Giraud e Keller, limitate da barriere fisiche o da altre colonie di formiche. Ciò trasforma il panorama in un mosaico di gruppi separati, con ciascuna società, chimicamente distinta, che combatte o evita le altre ai propri confini. Specie e colonie convivono, senza che nessuna prevalga sulle altre. Tuttavia, per le “società anonime” delle formiche uni-coloniali, come sono conosciute, il trasporto di un piccolo numero di regine e operaie in un nuovo posto potrebbe causare la rottura della disposizione relativamente stabile dei gruppi. Man mano che vengono creati nuovi nidi, le colonie germogliano e si espandono senza mai tracciare confini perché soldati o operaie che siano trattano tutti gli altri della loro specie come alleati. Tuttavia, quello che una volta sarebbe stato un mosaico di relazioni complesse, diventa un sistema sociale semplificato e unificato. La relativa omogeneità genetica della piccola popolazione fondatrice, replicata attraverso una rete crescente di nidi, garantisce che i membri delle specie uni-coloniali si tollerino a vicenda. Risparmiate dal costo della lotta tra loro, queste formiche possono vivere in popolazioni più dense, diffondendosi sul territorio come farebbe una pianta e dedicando le loro energie alla cattura di cibo e alla competizione con altre specie. I distintivi chimici tengono insieme le società di formiche uni-coloniali e consentono anche a tali società di espandersi rapidamente.

Tutte e cinque le formiche incluse nell’elenco delle 100 specie esotiche più invasive del mondo stilato dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) sono, conformemente a tale documento, uni-coloniali e, dunque tendenti ad una certa omogeneità genetica. Tre di queste specie, la già citata formica rossa Selenopsis invicta, la formica argentina Linepithema humile e la piccola formica rossa Wasmannia auropunctata, risultano originarie dell’America centrale e/o meridionale, dove si trovano, secondo quanto riportato, condividendo gli stessi paesaggi. Seguendo l’interpretazione degli studiosi è probabile che almeno le prime due specie abbiano iniziato la loro espansione globale secoli fa sulle navi salpate da Buenos Aires, segnalando che alcuni di questi viaggi oceanici potrebbero essere durati più a lungo della vita di una singola formica operaia.

Dalle descrizioni dei ricercatori le formiche uni-coloniali sono spazzini superbi e senza fronzoli che possono cacciare prede animali, mangiare frutta, libare nettare e prendersi cura di insetti come gli afidi per la melata zuccherina che espellono. Si sono anche adattate a vivere in ambienti regolarmente soggetti a inondazioni, come i delta dei fiumi, in quanto le formiche riescono a superare la linea di galleggiamento, arrampicandosi su un albero, ad esempio, o riunendosi in zattere viventi e galleggiando finché non si abbassa il livello dell’acqua. Per queste formiche la perturbazione è una sorta di ripristino ambientale durante il quale i territori devono essere bonificati. I nidi, tane semplici e poco profonde, vengono abbandonati e rifatti in breve tempo. In effetti, si potrebbe considerare, come propone Whitfield, che ci troviamo di fronte ad una formica generalista sociale, proveniente da un ambiente imprevedibile e intensamente competitivo. Sarebbe una formica perfetta per invadere città, periferie, terreni agricoli e qualsiasi ambiente selvaggio.

In effetti, quando queste formiche si presentano in altri luoghi, fanno sentire la loro presenza in modo inquietante. Un primo esempio, riportato da Whitfield, risale al 1850, quando la formica dalla testa grande, cioè la Pheidole megacephala, un’altra specie ora elencata nella top 100 della IUCN, è arrivata dall’Africa alla capitale di Madeira, Funchal. “La mangi nei budini, nelle verdure e nelle zuppe, e ti lavi le mani in un suo decotto”, si sarebbe lamentato un visitatore britannico nel 1851. Quando la formica rossa di fuoco Selenopsis invicta, probabilmente la specie uni-coloniale più conosciuta, si diffuse attraverso le comunità agricole statunitensi che circondavano il porto di Mobile, in Alabama, negli anni ’30, provocando il caos in diversi modi. EO Wilson nel 1958 descrisse l’esito del loro arrivo in questi termini: gli agricoltori che avevano terreni fortemente infestati e che non erano in grado di assumere manovalanza sufficiente, furono costretti ad abbandonare la terra alle formiche. Oggi, la formica rossa provoca danni per miliardi di dollari ogni anno e infligge il suo morso distruttivo a milioni di persone. Ma le colonie più grandi e i momenti più drammatici nella diffusione globale delle società delle formiche, appartengono alla formica argentina Linepithema humile.

 

La diffusione del commercio globale e la propagazione della formica argentina

Osservando la storia dell’espansione di questa specie tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo con il nostro sguardo antropomorfico potrebbe sembrare che la diffusione del commercio globale fosse un complotto delle formiche argentine per il dominio del mondo. Un focolaio si manifestò a Porto, in seguito all’Esposizione delle Isole e delle Colonie del Portogallo del 1894, come riporta Queiroz. Probabilmente gli insetti avrebbero viaggiato con prodotti e merci esposti alla mostra provenienti da Madeira: le piante ornamentali, che tendono a viaggiare con un ciuffo del loro terreno natale, sarebbero state particolarmente adatte per il trasporto di specie invasive. Seguendo la documentazione di Queiroz, nel 1904, il Bureau of Entomology degli Stati Uniti d’America inviò un agente sul campo, Edward Titus, a indagare su un’epidemia di formiche argentine a New Orleans. Avrebbe sentito parlare di formiche che strisciavano nelle bocche e nelle narici dei bambini in un numero tale che potevano essere rimosse solo immergendo ripetutamente il bambino nell’acqua. Altri rapporti descrivevano formiche che entravano negli ospedali e portavano via alacremente l’espettorato di un malato di tubercolosi. Quando, qualche anno dopo, la specie sarebbe arrivata sulla Costa Azzurra, le ville per le vacanze sarebbero state abbandonate e un ospedale pediatrico sarebbe stato evacuato, stando a Edward Titus.

Per quanto riguarda l’Italia, come riferisce Whitfield, nel dicembre 1927, Vittorio Emanuele III e il suo primo ministro Benito Mussolini firmarono una legge che stabiliva le misure da adottare contro la formica argentina, dividendo i costi con le province invase. L’efficacia dello Stato, o piuttosto la sua mancanza, sarebbe dimostrata nel racconto La formica argentina (1952) di Italo Calvino.4 Calvino, i cui genitori erano biologi vegetali, ambienta la sua storia in una località balneare senza nome, molto simile a quella in cui è cresciuto, nella provincia nordoccidentale della Liguria. La formica è sopravvissuta sia a Mussolini che alla monarchia e satura la città senza nome, scavando sottoterra e anche nelle teste delle persone. Alcuni residenti inzuppano le loro case e i loro giardini di pesticidi o costruiscono trappole elaborate che utilizzano martelli ricoperti di miele; altri cercano di ignorare o negare il problema. E poi c’è il signor Baudino, un impiegato della Corporazione per il controllo delle formiche argentine, che da 20 anni distribuisce ciotole di melassa arricchite con una debole dose di veleno. La gente del posto sospetta che dia da mangiare alle formiche per mantenersi un lavoro.

In realtà, le persone che si trovarono a vivere sul percorso di tali infestazioni di formiche impararono a mettere i piedi dei loro armadi, letti e brande in contenitori di cherosene. Tuttavia, questa non era una soluzione a lungo termine: uccidere le operaie lontano dal nido produce ben poco quando la maggior parte, insieme alle loro regine, rimangono al sicuro a casa. Gli insetticidi ad azione più lenta (come il veleno di Baudino), che le operaie riportano nel nido e danno da mangiare alle regine, possono essere più efficaci. Ma poiché le operaie uni-coloniali possono entrare in un numero qualsiasi di nidi nella loro rete, ciascuno contenente molte regine, le possibilità di consegnare una dose mortale diventano molto più scarse.

 

Il ‘900 e la guerra alle formiche

All’inizio del XX secolo, periodo intenso nella guerra umana contro le formiche, i ricercatori nel controllo dei parassiti sostenevano l’uso di veleni ad ampio spettro, la maggior parte dei quali ora sono vietati per l’uso come pesticidi, per creare barriere o fumigare i nidi. Al giorno d’oggi, gli insetticidi mirati vengono considerati efficaci per ripulire aree relativamente piccole. Ciò si sarebbe rivelato utile nei frutteti e nei vigneti dove la protezione delle formiche nei confronti degli insetti succhiatori di linfa li rende un pericolo per i raccolti e in luoghi come le Galápagos, come documentano Causton, Sevilla e Porter, 5 come riferisce il ricercatore Krushelnycky, dove le formiche minacciano specie rare. Le eradicazioni su larga scala sarebbero una questione diversa e pochi paesi ci avrebbero provato. La Nuova Zelanda, leader mondiale nel controllo delle specie invasive, sarebbe l’unico Paese ad aver impedito la diffusione della formica rossa, soprattutto sradicando i nidi sulle merci in arrivo negli aeroporti e nei porti. Nel paese vive anche uno spaniel addestrato per fiutare i nidi delle formiche argentine e impedire agli insetti di raggiungere le piccole isole importanti per gli uccelli marini.

Stando agli studiosi i disagi umani impallidiscono in confronto agli effetti delle formiche su altre specie. Esplorando la campagna intorno a New Orleans nel 1904, Titus  trovò la formica argentina che sopraffaceva le specie di formiche indigene, portando via i cadaveri, le uova e le larve degli sconfitti per essere mangiati: “colonna dopo colonna di coloro che arrivavano sulla scena della battaglia”. Altri entomologi dell’epoca impararono a riconoscere la scomparsa delle formiche autoctone come un segno dell’arrivo di un invasore. Le specie uni-coloniali vengono descritte dagli entomologi come aggressive, veloci nel reperire fonti di cibo e tenaci nel difenderle e sfruttarle. A differenza di molte specie di formiche, in cui una lavoratrice che trova una nuova fonte di cibo ritorna al nido per reclutare altre formiche raccoglitrici, la formica argentina arruola altre lavoratrici già fuori dal nido, reclutando, così, come documentano Flanagan, Pinter-Wollman, Moses e Gordon,  le formiche raccoglitrici più rapidamente. Tuttavia, il vantaggio decisivo delle specie di formiche uni-coloniali risiede nella loro pura forza numerica, che di solito è ciò che decide i conflitti tra le formiche. Spesso diventano le uniche specie di formiche nelle aree invase.

Gli effetti di queste invasioni, segnalano gli entomologi, si riversano sugli ecosistemi. A volte il danno è diretto: alle Galápagos, le formiche rosse predano i piccoli di tartaruga e i pulcini di uccelli, mettendone a rischio la sopravvivenza. In altri casi, il danno ricade sulle specie che un tempo dipendevano da formiche autoctone. In California, la minuscola formica argentina, di solito lunga meno di 3 mm, ha sostituito, come documentano Suarez, Richmond e Case, le specie autoctone più grandi che un tempo costituivano la dieta delle lucertole cornute, lasciando i rettili affamati. Al riguardo l’ipotesi dei ricercatori suppone che queste lucertole non riconoscano l’invasore molto più piccolo come cibo. Riguardo l’impatto della formica argentina, i ricercatori Bond e Slingsby sostengono che nelle boscaglie della brughiera sudafricana del fynbos, che vanta una delle flore più caratteristiche della Terra, molte piante producono semi contenenti una massa grassa. Le formiche autoctone piantano i semi trasportandoli nei loro nidi, dove mangiano il grasso e scartano il resto. Le formiche argentine, quasi certamente importate in Sud Africa intorno al 1900 insieme ai cavalli spediti da Buenos Aires dall’Impero britannico per combattere la guerra boera, o ignorano i semi, lasciandoli mangiare dai topi, oppure spogliano il grasso dove si trova, lasciando il seme a terra. Ciò rende, effettivamente, più difficile la riproduzione della flora endemica come le protee, spostando l’equilibrio verso piante invasive come acacie ed eucalipti.

Stando a quanto riportano i ricercatori negli ultimi 150 anni, la formica argentina si è diffusa praticamente ovunque con estati calde e secche e inverni freddi e umidi. Un’unica super-colonia, forse discendente da una mezza dozzina di regine, si estende ora lungo 6.000 chilometri di costa nell’Europa meridionale, come documentato da Tatiana Giraud, Jes Pedersen e Laurent Keller. Un’altra percorrere gran parte della California. La specie sarebbe arrivata in Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda e Giappone e avrebbe persino raggiunto, come documenta l’esperto entomologo Barry Bolton, l’Isola di Pasqua nel Pacifico e Sant’Elena nell’Atlantico. Le sue alleanze, nelle parole di Wilgenburg, Torres e Tsutsui, abbraccerebbero oceani. Operaie provenienti da diversi continenti, attraverso milioni di nidi contenenti trilioni di individui, si accetteranno a vicenda come se fossero nati nello stesso nido.  Le lavoratrici di tutto il mondo unite, davvero. Ma non del tutto unite, suggerisce Whitfield.

Quando le super-colonie si scontrano: aggressività territoriale in un insetto sociale invasivo e uni-coloniale

Parallelamente alla super-colonia mondiale si stanno espandendo gruppi separati di formiche argentine che portano distintivi chimici diversi, l’eredità di altri viaggi dalla madrepatria. Stessa specie, “odori” diversi. Nei luoghi in cui queste distinte colonie entrano in contatto, le ostilità riprendono.

In Spagna, una di queste colonie occupa già un tratto della costa della Catalogna. In Giappone, quattro gruppi reciprocamente ostili già si combattono intorno alla città portuale di Kobe, come documentano i ricercatori Maki, Sunamura, Suhr, Ito, Tatsuki e Goka.6 La zona di conflitto meglio studiata è nel sud della California, poco a nord di San Diego, dove The Very Large Colony, come è noto il gruppo che si estende su tutto lo stato, condivide un confine con un gruppo separato chiamato colonia di Lake Hodges, con un territorio che misura appena 30 chilometri intorno. Monitorando questo confine per un periodo di sei mesi tra aprile e settembre 2004, il team di ricercatori composto da Thomas, Payne-Makrisâ, Suarez, Tsutsui e Holway ha stimato che 15 milioni di formiche sarebbero morte su una linea del fronte larga pochi centimetri e lunga diversi chilometri. Stando alle loro descrizioni ci sarebbero stati momenti in cui ciascun gruppo sembrava guadagnare terreno, ma nei periodi più lunghi la situazione di stallo era la regola. Coloro che cercano di controllare le popolazioni di formiche credono che provocare conflitti simili potrebbe essere un modo per indebolire il dominio delle formiche invasive. Ci sarebbero anche speranze, ad esempio, che i feromoni artificiali, in altre parole la disinformazione chimica, possano indurre i compagni di colonia ad attaccarsi a vicenda, sebbene nessun prodotto sia ancora arrivato sul mercato, stando a Wallace Ravven.

Nel lunghissimo termine, il destino delle società uni-coloniali non è chiaro. Un’indagine sulle formiche di Madeira tra il 2014 e il 2021, condotta da Rhian Guillem e Keith Bensusan, ha rilevato, contrariamente ai timori che le formiche invasive hanno ripulito l’isola da altri insetti, pochissime formiche dalla testa grande e, sorprendentemente, nessuna formica argentina. In pratica, sostengono Lester e Gruber, le formiche invasive sarebbero soggette a crolli demografici  per ragioni che non sono comprese ma che potrebbero essere correlate, come argomentano Helanterä, Strassmann, Carrillo e Queller all’omogeneità genetica. Una singola colonia di formiche argentine nella loro terra natale contiene la stessa diversità genetica dell’intera super-colonia statale della California. Come accade ovunque con le specie consanguinee, ciò può renderle soggette a malattie. Un altro potenziale problema è che la mancanza di discriminazione da parte delle formiche riguardo a chi aiutano può favorire l’evoluzione di “lavoratori pigri” nelle colonie, che prospererebbero, egoisticamente, sfruttando gli sforzi dei loro compagni di nido, come propongono i ricercatori Khajehnejad, García e Meyer. Anche se si presume che questa distribuzione ineguale del lavoro possa alla fine portare al collasso sociale, non sarebbe stato trovato ancora alcun esempio.

Stando all’ipotesi divulgata da Whitfield, a meno che la selezione naturale non si rivolga contro di loro, uno dei freni più efficaci sulle formiche uni-coloniali sarebbero le altre formiche uni-coloniali. A sostegno di questa possibilità Buczkowski, Vargo e Silverman documentano che negli Stati Uniti d’America sudorientali, le formiche rosse sembrerebbero aver impedito alla formica argentina di formare un’unica vasta super-colonia come in California, restituendo invece il paesaggio a un mosaico di specie. Nell’Europa meridionale, tuttavia, la formica argentina avrebbe avuto un secolo in più per affermarsi, quindi, anche se la formica del fuoco riuscisse a prendere piede in Europa, non ci sarebbe garanzia che si ripeta la stessa dinamica. Negli Stati Uniti meridionali, le stesse formiche rosse del fuoco vengono ora sostituite dalla formica pazza fulva o Nylanderia fulva, un’altra specie sudamericana, che sarebbe immune al veleno delle formiche del fuoco, come documentato dalle ricerche del professore e studioso Daniel J.C. Kronauer.

 

Interpretazione della fenomenologia delle formiche in termini antropomorfici

Scorrendo e studiando la letteratura in materia risulta palese quanto possa rivelarsi irresistibile il linguaggio della guerra umana e dell’impero quando si cerca di descrivere la storia globale dell’espansione delle formiche. La maggior parte degli osservatori, sia nelle vesti di scienziati, giornalisti o d’altro, sembrano non rendersene conto. Per cogliere ciò che si intende dire, è sufficiente pensare che gli sforzi umani per controllare le formiche vengono regolarmente descritti come una guerra, così come la competizione tra invasore e formiche autoctone. In effetti, risulta anche facile capire perché vengono fatti paragoni tra la diffusione delle società di formiche uni-coloniali e il colonialismo umano. Le persone tracciano collegamenti tra gli insetti e le società umane da millenni. Ma oggi, con la conoscenza disponibile, sia sulle nostre umane modalità cognitive sia sull’entomologia stessa, ciò che gli studiosi vedono e descrivono dice più su di loro che sugli insetti.

Al riguardo si pensi semplicemente che un alveare è organizzato in modo simile a un formicaio ma la visione umana della società delle api tende ad essere benigna e utopica. Quando si tratta di formiche, le metafore spesso si polarizzano verso qualcosa di simile al comunismo o qualcosa di simile al fascismo, parafrasando il pensiero di Whitfield sulla questione. Un eugenista statunitense della metà del XX secolo ha utilizzato addirittura l’impatto della formica argentina come argomento a favore del controllo dell’immigrazione. Per l’entomologo Neil Tsutsui,  che studia le formiche uni-coloniali all’Università della California, a Berkeley, gli insetti sarebbero come i test di Rorschach.7 Alcune persone vedono la propria ricerca come una prova del fatto che dovremmo andare tutti d’accordo, mentre altri vedono la necessità della purezza razziale.

Oltre a confondere natura con potere politico, insistere in un’interpretazione della fenomenologia delle formiche in termini antropomorfici potrebbe portare decisamente ad una visione limitata e limitante della storia naturale. Sicuramente l’abitudine delle formiche operaie nei nidi argentini di uccidere circa il 90% delle loro regine ogni primavera, come documentano gli studiosi Laurent Keller, Luc Passera e Jean-Pierre Suzzoni nel loro lavoro Queen execution  in the Argentine ant, 8 apparentemente eliminando il vecchio per far posto al nuovo, risulta sufficiente a scoraggiare i paralleli tra le società delle formiche e la politica umana.

In effetti, come ammette John Whitfield, più si impara, più si rimane colpiti dalla stranezza delle formiche piuttosto che dalle loro somiglianze con la società umana, pur se siano classificate come insetti eusociali. Probabilmente si potrebbe suggerire che esiste un altro modo di organizzarsi in una società globalizzata, completamente diverso dal nostro. L’euristica in materia pur se consente di postulare la capacità di una colonia di prendere frammenti di informazioni da migliaia di minuscoli cervelli, non può postulare che abbiano la capacità di trasformarli in un’immagine distribuita e costantemente aggiornata del loro mondo, come è il caso di noi società umane. Talmente diversi sono i concetti di società globalizzata riferito al mondo delle formiche che nemmeno si potrebbe parlare di “olfato” per descrivere la capacità delle antenne delle formiche di leggere le sostanze chimiche presenti nell’aria e tra loro. Come si può legittimare un’interpretazione antropomorfica del mondo delle formiche che ci costringono ad immaginare una vita in cui la vista è quasi inutilizzata, nella quale ciò che è simile alla funzione dell’olfatto umano costituisce invece il canale primario di informazione, una vita nella quale i segnali chimici mostrano la strada per il cibo, mobilitano una risposta alle minacce, distinguono le regine dalle operaie e perfino distinguono i vivi dai morti, come puntualizzano gli entomologi Dong-Hwan Choe, Jocelyn Millar e Michael Rust.

 

La capacità della vita di sfuggire alla nostra comprensione

John Whitfield suggerisce che mentre il nostro mondo diventa alieno, provare a pensare come un alieno è una strada migliore per trovare l’immaginazione e l’umiltà necessarie per stare al passo con i cambiamenti piuttosto che cercare modi in cui altre specie risulterebbero come noi. Ma cercare di pensare come una formica, piuttosto che pensare a come le formiche sono come noi, non ci evita di pensare a come affrontare la questione che queste formiche ci pongono in termini alle calamità che seguono la scia delle società delle formiche globalizzate. La cosa più preoccupante tra queste è il modo in cui le specie uni-coloniali possono alterare in modo schiacciante la diversità ecologica quando arrivano in un posto nuovo. In pratica, le formiche uni-coloniali possono trasformare un mosaico di colonie create da diverse specie di formiche in un paesaggio dominato da un singolo gruppo. Di conseguenza, le comunità ecologiche strutturate e complesse diventano più semplici, meno diversificate e, soprattutto, meno diverse tra loro. Questo, come puntualizza Whitfield, non è solo un processo ma un’epoca. Il periodo attuale in cui un numero relativamente piccolo di animali e piante in grande diffusione si espande sulla Terra viene talvolta chiamato Omogecene, come segnala Whitfield. E questa non sarebbe una parola incoraggiante. Essa presagisce un ambiente che favorisce gli animali, le piante e i microbi più pestilenziali. Le formiche uni-coloniali contribuirebbero ad un futuro più omogeneo ma, e questo è il punto che vorrebbe suggerire quest’argomentazione, parlano anche della capacità della vita di sfuggire alla nostra comprensione, indipendentemente da come potremmo cercare di ordinare e sfruttare il mondo.

La portata e la diffusione delle società delle formiche ci ricorda che noi umani non dovremmo confondere l’impatto con il controllo. Potremmo essere in grado di cambiare il nostro ambiente, ma siamo quasi impotenti quando si tratta di manipolare il nostro mondo esattamente come vogliamo. La società globale delle formiche ci ricorda che non possiamo sapere come le altre specie risponderanno al nostro rimodellamento del mondo, ma solo che lo faranno.

______________Note _________________

1 Mattia Menchetti, Enrico Schifani, Antonio Alicata, Laura Cardador, Elisabetta Sbrega, Eric Toro-Delgado, Roger Vila. The invasive ant Solenopsis invicta is established in Europe. Current Biology. Volume 33, Issue 17, pages R896 – R987, 11 Sept 2023 In meno di un secolo, la formica sudamericana S. invicta si stabilì e si diffuse in gran parte degli Stati Uniti, Messico, Caraibi, Cina, Taiwan e Australia, mentre l’eradicazione riuscì solo in Nuova Zelanda. In Europa ci sono state almeno tre intercettazioni documentate di S. invicta, in Spagna, Finlandia e Paesi Bassi. Questi ricercatori avrebbero documentato 88 nidi che si estendono su circa 4,7 ettari durante l’inverno 2022/2023 in Sicilia, vicino alla città di Siracusa.

2 La formica di fuoco o formica guerriera è una formica appartenente alla sottofamiglia Myrmicinae.

3 L’areale è la superficie abitata da un taxon, di solito una specie. Taxa che occupano areali vastissimi vengono detti “cosmopoliti” mentre quelle che occupano areali estremamente ridotti si dicono “endemici”. 

4 «La formica argentina È il racconto più realistico che abbia scritto in vita mia; descrive con assoluta esattezza la situazione della invasione delle formiche argentine nelle coltivazioni a San Remo e in buona parte della Riviera di Ponente all’epoca della mia infanzia, anni Venti e anni Trenta”. Italo Calvino.

5 Charlotte E. Causton, Christian R. Sevilla, and Sanford D. Porter. Eradication of the little fire ant, Wasmannia Auropunctata (Hymenoptera Formicidae), from Marchena Island, Galapagos: On the edge of success? Florida Entomologist 88 82), 159-168, 1 June 2005

6 Maki N. Inoue, Eiriki Sunamura, Elissa L. Suhr, Fuminori Ito, Sadahiro Tatsuki, Koichi Goka. Recent range expansion of the Argentine ant in Japan. Diversity and Distribution, vol. 19, Issue 1, pages 29-37, January 2013

7 In psicologia e psichiatria, il test di Rorschach, così chiamato dal nome del suo creatore Hermann Rorschach, è un noto test psicologico proiettivo utilizzato per l’indagine della personalità

8 Laurent Keller, Luc Passera, Jean-Pierre Suzzoni. Queen execution in the Argentine ant, Iridomyrmex humilis. In Physiological Entomology, Vol. 14, Issue 2, pages 157-163, June 1989 / Censimenti sul campo ed esperimenti di laboratorio mostrano che nella formica argentina, Iridomyrmex humilis (Mayr), c. Il 90% delle regine vengono giustiziate dalle operaie nel mese di maggio, all’inizio della stagione riproduttiva. La riduzione del numero delle regine probabilmente diminuisce l’inibizione esercitata dalle regine sulla differenziazione dei sessi e consente quindi la produzione di nuove regine e maschi poco dopo. In laboratorio non è stata trovata alcuna correlazione tra la percentuale di regine giustiziate e il loro peso o fecondità. Al momento dell’esecuzione delle regine, quasi tutte le regine avevano la stessa età; meno di 1 anno. Pertanto non è probabile che l’età delle regine abbia un ruolo nella scelta che le operaie fanno delle regine da giustiziare. L’esecuzione di queste regine comporta un pesante costo energetico per la colonia che ammonta a ca. 8% della biomassa totale. Questo comportamento delle operaie che giustiziano le regine compagne di nido viene discusso per quanto riguarda il possibile significato evolutivo a livello della regina e delle operaie.

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